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Aurelio Peccei e i limiti dello sviluppo: quando gli italiani pensavano in grande

Aurelio Peccei fondò il Club di Roma e promosse il dibattito internazionale sulle disfunzioni della crescita economica e la difesa dell’ambiente. Si tratta, come in altri casi, di un italiano più noto all’estero che in patria. Ma vale la costruzione di un futuro migliore passa anche attraverso la consapevolezza dei nostri grandi del passato. L’attenzione di Peccei per quei temi così attuali faceva parte del suo essere “cittadino del mondo”. Assunto come dirigente in Fiat negli anni Trenta, la straordinaria attitudine al management lo portò a ricoprire incarichi di responsabilità in Cina e URSS. Dopo aver partecipato alla Resistenza, militando in Giustizia e Libertà, si dedicò a rilanciare la Fiat in Sud America.

Già durante la golden age del rilancio economico postbellico, Peccei rifletté sui limiti e sulle contraddizioni di una crescita economica non coordinata a livello globale e che non tenesse conto degli squilibri tra Nord e Sud e dell’impatto ambientale delle attività umane. Dalla metà degli anni Sessanta, contemporaneamente al suo incarico di amministratore delegato della Olivetti, si dedicò con maggiore intensità ai problemi e alle disfunzioni della società contemporanea e dei suoi modelli culturali e di sviluppo. La sua vasta e diretta esperienza in tante parti del mondo sviluppò in lui la consapevolezza che fosse necessario agire a livello globale per risolvere i tanti mali derivanti dall’impatto incrociato di fattori come l’aumento demografico, la povertà, il degrado della biosfera, i problemi energetici, le crisi del sistema finanziario e industriale.

Queste riflessioni lo spinsero nel 1968 a creare un network di esperti, il Club di Roma, volto ad affrontare in modo innovativo e globale i problemi mondiali, e a comunicare e diffondere in maniera chiara e diretta ad un pubblico sempre più vasto una nuova visione delle sfide globali. Il primo rapporto del Club, I limiti dello sviluppo, commissionato ad esperti del Massachusetts Institute of Technology, fu pubblicato nel 1972 ed ebbe un successo editoriale mondiale. Le conclusioni del rapporto mettevano in discussione il mito della crescita senza fine, sostenendo che i ritmi della crescita, demografica ed economica, e dello sfruttamento delle risorse ambientali, se invariati, entro 100 anni avrebbero condotto il pianeta al collasso del sistema produttivo e al disastro ecologico globale.

La soluzione era la definizione di un nuovo equilibrio tra necessità umane e sostenibilità ambientale, mettendo in evidenza l’importanza del comportamento dell’individuo nel suo ambiente. I limiti dello sviluppo, apprezzato, ma anche duramente criticato per gli allarmanti dati espressi, condivideva con il suo ispiratore una visione ottimistica e centrale del potenziale umano. Con notevole lungimiranza, Peccei vedeva nell’alba della rivoluzione microelettronica e nella massificazione dell’informazione i segnali della capacità dell’uomo di affrontare i problemi del futuro, fondando su una nuova etica globale istituzioni transnazionali e regole efficienti per un nuovo ordine mondiale.

Di questi tempi, il tema della sostenibilità è particolarmente coinvolgente per i Paesi occidentali che, dall’inizio dell’Ottocento, hanno detenuto – pur con avvicendamenti tra singole potenze – la leadership mondiale. Oggi l’intero modello occidentale, su cui si è in vari modi basata l’epoca atlantica, appare in crisi. Il nostro paese attraversa questi frangenti con sofferenza ma possiamo invece rivendicare una sorta di primigenia sul tema dello sviluppo sostenibile, grazie in particolare alla lungimiranza di Peccei.

Proprio quest’anno ricorre il quarantennale della pubblicazione del famoso studio del 1972. Probabilmente vi si sottostimavano le capacità di innovazione, di risparmio energetico ecc., però la questione posta da Peccei è ancora lì e a nulla è valso rimuovere il problema per decenni. Si pensi a come, specie con l’affermarsi a partire dagli anni Settanta del credo neoliberista, l’Occidente si era a lungo convinto di aver raggiunto una nuova era dell’oro, detta della “grande moderazione” (permanenti bassa inflazione, bassa disoccupazione e alta crescita), proprio mentre invece si andavano accumulando i grandi squilibri che hanno portato alla crisi corrente. Per poter continuare a esercitare un ruolo propulsivo verso la sostenibilità, la comunità internazionale deve rimuovere pudicizie e infingimenti, invece di distogliersi dalle premonizioni del Club di Roma.

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