L’accoglienza dei mercati finanziari nei confronti del “Piano Juncker” e, soprattutto, del programma di “Quantitative Easing” della Banca Centrale Europea (BCE) è stata positiva, ma non è affatto scontato il modo con cui questi progetti si tradurranno in pratica e neppure se tutti i Paesi dell’Unione ne beneficeranno allo stesso modo.
1. Piano Juncker
Il “Piano Juncker” prevede la costituzione di un Fondo Europeo per gli investimenti strategici, il FEIS, che inizierà ad operare il 5 prossimo giugno con una dotazione iniziale di 21 miliardi di euro. Nelle stime dei legislatori comunitari questa massa d’urto dovrebbe rappresentare un volano per finanziamenti privati ed attivare risorse complessive per 315 miliardi, di cui 240 destinati a finanziamenti per gli investimenti a lungo termine (in infrastrutture, trasporti, ricerca, energia) e 75 miliardi a finanziamenti per le PMI. Una parte significativa della capacità di finanziamenti privati potrebbe giungere a livello europeo dal settore assicurativo. Il FEIS selezionerà i progetti da finanziare e finora ne sono stati identificati a livello continentale circa 2.000 per un valore totale di 1.300 miliardi. Nei prossimi mesi si passerà alla fase esecutiva e ciascun Paese cercherà, come è ovvio, di attirare nel proprio territorio le maggiori risorse. Le premesse, per l’Italia, non sono positive. Lo scorso dicembre una speciale task force composta da BEI, Commissione europea e Stati membri ha pubblicato una prima lista di 44 progetti potenzialmente selezionabili. La lista non è esaustiva né ipoteca le scelte finali ma è rappresentativa dei criteri di selezione che verranno utilizzati. Ebbene, nell’elenco compaiono soltanto 4 progetti italiani, uno di dimensioni ragguardevoli relativo alla ristrutturazione delle scuole (8,7 miliardi), ed altri tre di dimensioni più contenute (tra i 170 ed i 480 milioni di euro) concernenti finanziamenti per l’integrazione elettrica italiana nel mercato unico, per una rete europea di ricerca biomolecolare, per incentivi alla produzione industriale di alta tecnologia. Ma l’elenco non include, ad esempio, il piano strategico per la banda larga italiana che pure era compreso nella lista dei progetti presentati. Il rischio, concreto, è dunque che l’Italia non riesca ad utilizzare per l’ammodernamento della propria rete infrastrutturale neppure le risorse apportate per la costituzione del nuovo Fondo Europeo. Migliorare la qualità dei progetti risulterà essenziale non solo per consentire loro di superare la selezione ma anche, e soprattutto, per attirare sufficienti investimenti privati. In gioco vi sono anche le compagnie d’assicurazione che ovviamente seguono con interesse quello che sta avvenendo ma che, in mancanza di un quadro certo e affidabile, potrebbero rinunciare ad intervenire oppure decidere di finanziare progetti in altre aree del continente dove le condizioni d’investimento risultino più favorevoli. È quanto è accaduto in passato per i piani di project finance e potrebbe ripetersi in futuro anche per il nuovo Fondo Europeo per gli investimenti. Affinché il piano riesca a incanalare gli investimenti in attività a sostegno dell’economia reale con efficacia e nell’interesse generale del Paese è auspicabile incentivare – anche dal punto di vista fiscale – per i risparmiatori l’investimento nelle categorie di progetti proposte dal Piano Juncker stesso al comma 2 dell’art. 5 (Condizioni d’impiego della garanzia dell’UE). In particolare, si tratta dei progetti finalizzati alla realizzazione dei seguenti obiettivi: i. sviluppo delle infrastrutture comprese nell’ambito del settore dei trasporti, specialmente negli agglomerati industriali, del settore dell’energia, in particolare per le interconnessioni energetiche, e del settore digitale; ii. investimenti nei settori dell’istruzione e formazione, sanità, ricerca e sviluppo, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, e dell’innovazione; iii. espansione delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica e delle risorse; iv. progetti infrastrutturali nei settori dell’ambiente, risorse naturali, sviluppo urbano e società; v. sostegno finanziario alle imprese che contano un massimo di 3000 dipendenti, con particolare attenzione alle piccole e medie imprese, anche sotto forma di finanziamento con capitale di rischio. Siamo certi che un forte incentivo all’investimento in progetti nazionali potrebbe generarsi da misure di questo genere. Per questo abbiamo proposto, innanzitutto, di applicare le categorie del “Piano Juncker” al decreto previsto dall’articolo 1, commi 91 e 92, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (“Legge di Stabilità 2015”). Al fine di mitigare l’inasprimento della tassazione a carico in particolare delle forme pensionistiche complementari, è prevista, infatti, a decorrere dal periodo d’imposta 2015, la possibilità di fruire di un credito d’imposta pari al 9% del risultato netto maturato, a condizione che un ammontare corrispondente al risultato netto maturato medesimo sia investito in “attività di carattere finanziario a medio o lungo termine” individuate con il citato decreto. Occorrerà poi ragionare su come estendere l’incentivo fiscale – per ora garantito agli aderenti dei fondi pensione – anche ai risparmiatori che tramite polizze di assicurazione o altri strumenti decidessero di investire a medio e lungo termine nell’economia italiana. Così facendo sarà più facile raggiungere quell’effetto leva necessario per raggiungere gli obiettivi del Piano e assicurare all’Italia una consistente quota di investimenti. Un obiettivo da perseguire può individuarsi nel conseguimento del 15 per cento del flusso di investimenti in Italia, pari a circa 45 miliardi in tre anni.
2. “Quantitave Easing”
Impatto ancora maggiore è atteso dal “Quantitative Easing” annunciato il 22 gennaio scorso dalla BCE e volto a ridurre ulteriormente il costo dei finanziamenti per imprese e famiglie, in un contesto caratterizzato dal diffondersi nell’area dell’euro di pericolose tendenze deflazionistiche. Il programma prevede l’acquisto di titoli, di istituzioni europee e governativi, in aggiunta a quelli, già avviati nei mesi scorsi, di prestiti bancari cartolarizzati (ABS) – limitatamente alle tranche senior e, se assistite da adeguate garanzie, mezzanine – e di covered bonds. Sono previsti acquisti mensili di titoli per 60 miliardi dal prossimo mese (marzo 2015) fino, almeno, al settembre 2016 e comunque fino a quando la dinamica dei prezzi non convergerà verso l’obiettivo del 2 per cento nel medio periodo. In termini pratici, la ripartizione degli acquisti mensili, secondo le stime dei ricercatori di Unicredit, dovrebbe essere la seguente: 45 miliardi in bond pubblici nazionali, 5-10 miliardi in titoli privati (cartolarizzati e garantiti) e il resto in obbligazioni delle istituzioni europee sovranazionali. Concentrando l’attenzione sui soli titoli privati se l’Italia fosse destinataria del 15 per cento dei flussi potremmo immaginare finanziamenti freschi provenienti da Francoforte (remunerati con tassi vicino allo zero se si trattasse delle sole tranche senior) per un valore compreso tra 750 milioni e 1,5 miliardi al mese. La BCE ha finora acquistato (tra ottobre 2014, quando è partito il programma sui titoli privati, e il 13 febbraio 2015) 3 miliardi di euro in ABS e 46 miliardi in covered bonds. Come dichiarato dall’Istituto stesso, si tratta di un ritmo assai inferiore alle attese, in particolare per gli ABS; ciò è dovuto principalmente al fatto che non esistono in circolazione titoli della specie. Purtroppo nessuna operazione di cartolarizzazione italiana è stata finora portata all’acquisto della BCE, A noi sembra una grande occasione sprecata. Ci sono state diverse proposte, finalizzate a cartolarizzare crediti bancari in bonis, a segmentarli in tranche nonché, anche grazie ad una garanzia dello Stato sulla tranche mezzanina, ad 8 ottenere benefici per gli operatori coinvolti e, soprattutto, per le imprese che potrebbero godere di maggiori finanziamenti. Le banche, strutturando le operazioni, potrebbero liberare capitale di vigilanza e vedrebbero accresciuta la possibilità di concedere nuovi prestiti alle imprese. Gli investitori istituzionali (tra cui le compagnie assicurative) potrebbero risultare interessate all’acquisto di titoli per migliorare il rendimento e la composizione dei portafogli, attualmente molto concentrati sui titoli di Stato. L’interesse delle compagnie assicurative potrà realizzarsi però solo in presenza di un’elevata qualità della nuova “carta” offerta sul mercato, di un quadro di garanzie appropriato, di un rendimento che permetta di soddisfare gli impegni assunti nei confronti della clientela, di un sufficiente livello di standardizzazione dei prodotti e di trasparenza sui portafogli di credito sottostanti. È quindi essenziale agire con prontezza, rendendo l’offerta di titoli cartolarizzati italiani attraente per gli acquisti della BCE e appetibile anche agli occhi di investitori istituzionali italiani ed esteri. Se ne avvantaggerebbe il nostro sistema produttivo.