La crisi finanziaria in Europa si è andata attenuando e la situazione appare migliorata. Tuttavia se si vuole restituire una prospettiva di crescita all’Italia ci sono problemi da affrontare insieme e con estrema urgenza. L’obiettivo del governo in vista del semestre a presidenza italiana dell’Ue è quello di delineare un quadro di riforme radicali, ma condivisibili e comprensibili. Sono le parole del Prof. Vincenzo Visco intervenuto presso la Commissione Finanze della Camera dei Deputati.
Visco proprone vari e fondamentali punti da porre all’attenzione del governo: dall’eccessiva liquidità messa in atto dalla Banca centrale europea all’unione bancaria; dall’inversione delle politiche economiche finora adottate al ripianamento del debito nazionale e al problema della concorrenza fiscale tra i Paesi europei.
“L’enorme liquidità creata dalla politica monetaria della Fed e delle altre banche centrali e più recentemente il ritiro dei capitali da alcuni Paesi di nuova industrializzazione – ha spiegato il professore – hanno contribuito a determinare una parziale convergenza dei tassi di interesse nella zona euro con la riduzione degli spreads, nonché una sostenuta crescita delle borse europee compresa tra il 25 e il 30%”.
Tuttavia le difficoltà permangono e rischi rilevanti sono tuttora presenti. Per esempio gli interventi di sostegno ai paesi in difficoltà hanno fatto sì che l’Esm, la Bce e il Fmi abbiano fornito prestiti e acquistato debito di Paesi come Grecia, Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna e Italia; inoltre la Bce e le banche centrali nazionali hanno concesso rilevanti prestiti alle banche nazionali dei diversi Paesi in crisi. “Di conseguenza se dovessero rendersi necessari altri interventi di ristrutturazione dei debiti di tali Paesi (cosa non impossibile in Grecia o a Cipro) ci sarebbero immediate perdite in conto capitale per le istituzioni che sono intervenute a sostegno di questi Paesi, e quindi alla fine per i contribuenti dei Paesi direttamente o indirettamente coinvolti, cosa che risulterebbe molto indigesta sopratutto per la Germania”.
La soluzione proposta da Visco è dunque un processo di cartolarizzazione dei crediti delle banche che potrebbero essere forniti come collaterale alla BCE per ottenere la liquidità necessaria.
L’unione bancaria è stata dilazionata nel tempo per quanto riguarda la sua entrata a regime, ed inoltre, secondo Visco, manca proprio delle due caratteristiche fondamentali di una vera unione bancaria: un’assicurazione dei depositi, e un fondo centralizzato per la ricapitalizzazione delle banche in crisi, necessario vista l’insufficienza dell’Esm. “Se l’obbiettivo di fondo di una unione bancaria europea dovrebbe essere quello di rompere il circolo vizioso che si è creato tra banche e debiti sovrani dei vari Paesi, la politica seguita in concreto in questi anni è andata in direzione opposta, in quanto si è avuto un processo di rinazionalizzazione dei debiti sovrani massicciamente acquistati dalle banche nazionali ed usati come collaterale per ottenere finanziamenti da parte della Bce”.
L’aumento dell’offerta di moneta, quindi, non ha portato benefici all’economia reale, ma è servito a fornire il sistema bancario di liquidità e ad evitare il collasso dell’intero sistema dei pagamenti che avrebbe comportato conseguenze catastrofiche per l’economia di tutto il mondo. “Sarebbero stati invece necessari – ha commentato Visco – interventi pubblici di sostegno della domanda che invece sono risultati piuttosto carenti in tutti i Paesi”.
Le teorie economiche sulla cosiddetta “contrazione espansiva”, molto diffuse anche in Italia, secondo le quali una riduzione della spesa pubblica (possibilmente accompagnata da una riduzione della imposte) provoca un aumento della crescita, appaiono incerte e non concrete. Per cui il pofessore suggerisce di discutere la logica economica, politica, e anche giuridica, delle scelte compiute negli ultimi anni, con l’obiettivo di promuovere, sia pure gradualmente, un’inversione delle politiche finora adottate.
Rimane poi il problema di conciliare il ripianamento dei debiti con la ripresa economica dei Paesi della zona euro. “In questa prospettiva fin dal luglio 2010 – ha detto Visco – ho avanzato una proposta che nella sua versione definitiva prevede che il debito nazionale di ciascun Paese della zona euro, eccedente il 60% del proprio Pil venga collocato in un apposito fondo che dovrebbe emettere obbligazioni a 25-30 anni con la garanzia congiunta dei Paesi partecipanti. Il finanziamento del Fondo sarebbe assicurato mediante il trasferimento di una quota del gettito fiscale nazionale proporzionale alla quota del debito trasferita”.
Va sottolineato che le obbligazioni emesse dal Fondo pur godendo di una garanzia collettiva, non sarebbero propriamente eurobonds perché ciascun Paese dovrebbe autonomamente finanziare la propria quota di debito fino al suo esaurimento.
C’è anche il nodo della concorrenza fiscale tra i Paesi che provoca perdite di gettito relative ai redditi prodotti dai fattori della produzione più mobili (profitti, interessi, ecc) che vengono inevitabilmente compensate a carico di quelli meno mobili (lavoro, patrimonio immobiliare) dati i vincoli di bilancio esistenti. Si tratta di un processo in cui ciascun Paese cerca di comportarsi come un potenziale paradiso fiscale nei confronti degli altri, innescando un processo competitivo verso il basso. “Sarebbe interesse del nostro Paese – ha concluso – porre con forza il problema di limitare la concorrenza fiscale dannosa in Europa e chiedere l’inizio di un processo di armonizzazione delle materie societarie e fiscali relative alle società per azioni”.