La soluzione federale globale e il metodo integrativo costituzionale proposti da Altiero Spinelli non sono mai stati veramente tentati nell’Ue, anche se questo o quell’aspetto del processo di integrazione – e in particolar modo la moneta unica – appartengono più al modello federale che a quello comunitario e il sistema europeo si è sviluppato inserendo nell’ingranaggio comunitario pezzi appartenenti al modello federale. Lo sono il Parlamento europeo, la Banca Centrale Europea o la Corte di Giustizia quando agisce come se fosse una Corte Costituzionale Federale per tutelare la priorità del diritto comunitario sul diritto di ogni singolo Stato.
Come lo spettro del comunismo di Karl Marx (soleva dire Spinelli), il modello federale tuttavia si è aggirato e si aggira per l’Europa quando appare necessario dotare la dimensione inter-statuale di un’autorità politica che sfugga alla (in-)capacità di decisione delle dimensioni statuali.
Smentendo il modello del gradualismo costituzionale, la crisi economico-finanziaria che ha colpito l’Unione a partire dal 2008 e la più recente sfida dei flussi migratori provenienti da paesi di guerra e paesi di fame hanno insinuato nel meccanismo comunitario elementi disgregativi e non più integrativi che hanno fatto per la prima volta apparire i rischi della reversibilità del processo di unificazione del continente. La presenza di questi elementi disgregativi ha progressivamente indebolito la forza positiva e sono così aumentati gli euroscettici che hanno creato in tutti i paesi membri, nessuno escluso, movimenti politici dichiaratamente euro-ostili divenuti maggioritari in Polonia e Ungheria.
In Italia, le elezioni del 24-25 febbraio 2013, con la perdita di nove milioni di voti delle due maggiori coalizione di centro-destra e di centro-sinistra, hanno portato in parlamento una nuova classe politica tendenzialmente e maggioritariamente euroscettica se non euro-ostile. Con la rara eccezione di chi apporta il suo periodico contributo di parole al miraggio degli “Stati Uniti d’Europa” senza tuttavia precisarne i contenuti del progetto, il metodo per realizzarlo e l’agenda affinché non rimanga un obiettivo indeterminato nel tempo, la maggioranza delle forze politiche italiane sembra essersi iscritta al futuro “patito della nazione”.
L’elemento unificante di questo partito virtuale risiede nell’intolleranza alle regole europee – che furono approvate a suo tempo da una larga parte del Parlamento a cominciare dalla sciagurata golden rule del pareggio di bilancio – insieme all’opinione prevalente sul dis-valore aggiunto della moneta unica, all’ignoranza dei meccanismi di decisione comunitari, alla distanza siderale fra la politica italiana e i nostri rappresentanti nelle istituzioni europee, alla cronica incapacità di spesa delle regioni e al livello elevato di infrazioni delle “leggi europee”.
Non può dunque stupire che in questi anni sia radicalmente mutato il rapporto fra gli italiani e l’Europa: “C’eravamo tanto amati”, si potrebbe dire riprendendo il titolo di un noto film italiano, se si tiene conto che l’ultimo Eurobarometro fissa al 38% il nostro livello di fiducia nell’Unione europea e al 62% l’opinione di chi ritiene che la voce dell’Italia non conti in Europa, anche se poi la maggioranza degli italiani chiede più Europa e cioè l’Euro e non la lira, l’Esercito e il governo europei e politiche comuni al posto di quelle nazionali.
L’associazionismo europeista italiano, erede di Altiero Spinelli ma educato alla scuola del federalismo ideologico di Mario Albertini, appare oggi sbandato, diviso e incapace di frenare le pulsioni populiste improntate ad un diffuso euroscetticismo che attraversano il mondo politico e la grande stampa di informazione in Italia, perché la sua debolezza è legata a posizioni ondivaghe che vanno dalla accettazione acritica e talvolta soddisfatta della nuova governance economica e monetaria – considerata come una tappa verso l’Europa federale secondo il modello funzionalista di Monnet – alla richiesta di una improbabile realizzazione, in tempi politicamente determinati, di uno Stato federale fra i paesi dell’Eurozona.
Aveva scritto Altiero Spinelli nel 1955: “Evidentemente, non basta che un ordinamento (federale) abbia meriti intrinseci. Perché venga realizzato, occorre vedere se intorno ad esso, a suo sostegno permanente, ci sia da attendersi che si schierino, nella civiltà moderna, imponenti forze vitali, non destinate a dissolversi rapidamente; tali che, per farsi valere, sentano di aver bisogno di quell’ordinamento e siano perciò disposte ad agire per mantenerlo in vigore. Sarebbe inutile costruire un edificio che nessuno fosse poi interessato a conservare, anche se, per qualche favorevole congiuntura, si trovassero forze sufficienti per costruirlo”.
Ogni giorno di più la realtà mostra, drammaticamente, che non ci può essere alternativa all’unità politica dell’Europa nella prospettiva di rinsaldare la secessione secolare con l’Oriente e con il Mediterraneo. Per costruire quest’alternativa serve con urgenza una “operazione verità” condotta da un vasto movimento di opinione ben al di là dell’associazionismo europeista, un’alleanza di innovatori che nasca dal mondo dell’economia e del lavoro, della cultura e della ricerca, delle organizzazioni giovanili e del volontariato coinvolgendo tutti coloro che vivono l’utilità dell’integrazione europea e pagano le conseguenze dei costi della non-Europa.