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Attacco all’Occidente: Putin non sta vincendo in Ucraina ma le sue ingerenze in Europa minano le democrazie

A prescindere dall’esito sul campo militare in Ucraina, Putin ha già fatto e fa danni enormi in Europa facendo vacillare le democrazie occidentali e alimentando politiche conservatrici. E’ ora di aprire gli occhi

Attacco all’Occidente: Putin non sta vincendo in Ucraina ma le sue ingerenze in Europa minano le democrazie

L’esito del conflitto bellico scaturito dall’attacco russo all’Ucraina non vedrà la parola fine nel breve termine ma Putin sta vincendo la battaglia che più gli sta a cuore: dare una spallata alle democrazie occidentali alimentando derive politiche conservatrici. Un’ingerenza avviata dieci anni in modo sistematico, e che ha prodotto i suoi frutti in particolar modo nei confronti di un’Europa che ha avuto l’ardire tra il 2013 ed il 2014 di sancire, con l’Accordo di Associazione tra Ucraina e l’Unione Europea, lo sgretolamento dell’ultimo brandello di Muro modificando il ruolo di Paese “cuscinetto inviolabile”, che la Russia gli aveva attribuito, sin dalla dichiarazione di indipendenza del 1991.

Sono in molti a dire ormai apertamente che ci troviamo di fronte alla fine di un’era geopolitica che va di pari passo con l’avvio di una terza fase del processo di globalizzazione mondiale, eventi epocali che vedranno un nuovo ordine mondiale post 2030 con nuovi attori sulla scena mondiale a prevalere su altri. Ma passiamoli in rassegna partendo da una solida base statistica offertaci dal Democracy Report 2022 pubblicato da V-Dem, con una base dati che spazia dal 1789 al 2021 su 202 Paesi, che vede il diffondersi delle autocrazie incrementare dal 50 al 70% in dieci anni, con una percentuale della popolazione mondiale coinvolta dal 5 al 36%. 

Russia: La caduta di un Impero

Mentre le opposizioni si ritrovano nei Paesi baltici per riorganizzarsi e attendere il momento giusto per colpire l’ultimo dei Cesari del Soviet, la situazione sociale all’interno della Russia racconta un paradosso. Da un lato c’è l’aggravarsi delle disuguaglianze sociali oppresse da piaghe di sempre, come l’alcolismo diffuso e la disoccupazione che vanno di pari passo, e dal reclutamento sistematico nelle fasce più povere della popolazione dei giovani militari da mandare al fronte allettati con stipendi elevati. E dall’altro lato la propaganda incessante dei canali televisivi e internet, oramai blindati e non penetrabili dall’esterno, promette premi e indennizzi alle famiglie in caso di morte, e così scorrono le immagini di famigliari orgogliosi di aver ricevuto un elettrodomestico, un’auto e/o delle sovvenzioni in “nome della patria” e del sacrificio del loro caro, morto combattendo.

Mentre la voce del Presidente del CDA di Lukoil, che aveva chiesto la fine del conflitto, si spegne con una morte sospetta cadendo dalla finestra di un ospedale, gli analisti si concentrano sulla figura dell’AD di Rosneft Igor Sechin. Ormai successore designato di Putin, che riporterà il gruppo dei siloviki, cupola di tecnocrati ex KGB, saldamente al potere sempre che l’impero putiniano non si sgretoli prima. Ma Sechin è un uomo molto sicuro di sè ed incarna perfettamente la strategia russa perpetrata in questi ultimi 10 anni per la cancellazione dell’economia sociale di mercato, alla base delle economie occidentali.

Le indecisioni dell’Europa sui limiti del prezzo del gas fanno gioco e permettono il rifinanziamento della macchina bellica russa che può contare comunque anche su altre alleanze preziose, dai BRICS (l’alleanza commerciale tra Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) alla Cina.

Cina contro America e i BRICS non stanno a guardare

Sullo sfondo del clima da tragedia instillato dalla Russia con video espliciti della serie “l’Europa non sopravviverà al rigido inverno se non soffrendo pene indicibili” i due attori in maggiore salute economica – La Cina e gli Usa – continuano il loro confronto sulle dispute commerciali con al centro materie prime e semiconduttori. Uno scontro inaspritosi dopo la visita di Nancy Pelosi a Taiwan, una sorpresa non gradita pare neanche dallo stesso Biden che l’ha apparentemente subita perché lo scopo per gli Usa invece era evidente: entrare nella roccaforte mondiale dei semiconduttori ed evitare l’irreparabile con un definitivo takeover cinesi sul principale produttore mondiale di micro o meglio nanochip!

Per entrambi quindi novembre segna uno spartiacque: dove le elezioni di mid term USA potrebbero vedere Biden sopravvivere ma con Senato e Congresso in mano ai Repubblicani e Xi Jinping consolidare il suo potere in un terzo giro di boa, non prima di aver preso una decisione cruciale sull’invasione o meno di Taiwan.

Certamente i BRICS non stanno a guardare e restano i convitati di pietra al tavolo del nuovo risiko mondiale.

In Brasile Bolsonaro tra meno di un mese perdendo le elezioni vedrà probabilmente smentito il suo anatema lanciato al suo insediamento sulla sua “missione divina”, e come tale imprescindibile dal consenso popolare. Ma intanto lascia un Paese a pezzi con il 14% della popolazione sotto la soglia di povertà.

L’India gioca una partita opportunistica mediando tra Cina e USA con l’unico scopo di dare priorità agli approvvigionamenti dell’energia russa dalla prima e accordi commerciali strategici dalla seconda, e senza mai schierarsi apertamente.

Il gruppo di Paesi ex emergenti, che negli anni’90 spopolavano nelle strategie di portafoglio dei fondi comuni di investimento, con l’inserimento di Iran ed Argentina – annunciato da Xi Jinping lo scorso giugno – assumono una missione politica ben chiara, in chiave antiamericana, e contro lo strapotere del dollaro USA. Attraverso la New Development Bank strettamente legata all’alleanza si crea così uno spazio economico alternativo alle banche per lo sviluppo legate al Fondo Monetario Internazionale dove soprattutto i Paesi sotto sanzioni possono attingere a fondi cospicui senza difficoltà.

Se si osserva più da vicino occorre valutare come lo scopo politico abbia ormai di gran lunga superato lo spirito iniziale di aggregazione commerciale e salvaguardia economica dalle crisi delle regioni più a rischio: basta sommare ai BRICS, anche alla luce del futuro allargamento a Turchia ed Egitto, l’Organizzazione di Shangai (SCO) e la leva finanziaria generata rispettivamente dalla New Development Bank e dalla AIIB Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, fondata dalla Cina nel 2014, per comprendere che il nuovo assetto geopolitico ripartirà da uno scontro tra Paesi NATO contro il resto del mondo, guidato saldamente dalla Cina.

Europa: terra di conquista o terra di riscatto delle democrazie?

Cinque colossi cinesi con una capitalizzazione che vale metà della Borsa italiana di Piazza Affari lasceranno il listino di New York, ma almeno altre 200 azioni di società cinesi potranno lasciare i listini statunitensi a seguito dell’applicazione della nuova legge di regolamentazione votata dal Governo Trump che permette audit finanziari e controlli capillari su conti e catena di controllo della aziende “straniere” quotate e che ha visto il Congresso USA confermare il 2024 come la data ultima per uscire in caso di irregolarità. Le due entità di Vigilanza coinvolte: China Securities Regulatory Commission e la U.S. Public Company Accounting Oversight Board, pare abbiano raggiunto un accordo che fa parte della strategia cinese per prendere tempo, mitigare gli effetti del delisting massino sui suoi mercati interni e dare tempo alle aziende per riposizionarsi per lo più nell’Unione Europea e/o in mercati BRICS.

I mercati europei sono l’approdo scelto dalla Cina per le sue società, nel momento in cui gli organismi comunitari spingono oltre che sui fondi Next Generation EU anche su una politica energetica e della cybersecurity comune per difendersi dalle minacce, soprattutto quelle russe, che vorrebbero un’Unione Europea disgregata e debole.

Solo dieci anni fa il mondo sembrava molto diverso da oggi. Dal 2021 il mondo è cambiato: ci sono più paesi in declino che quelli che avanzano su quasi tutti gli aspetti democratici catturati dalle misure della ricerca V-Dem. C’è un sostanziale deterioramento della libertà di espressione in un record 35 paesi quest’anno. E quando la polarizzazione raggiunge livelli tossici unendosi all’autocrazia, la democrazia viene tipicamente smantellata.

Lo smantellamento della democrazia misurata dall’indice è evidente in tutti i primi 5 Paesi che hanno guidato questa deriva autoritaria: Brasile, Ungheria, Polonia, Serbia e Turchia. Paesi che si uniscono a quelli autoritari già presenti da tempo sulla scienza mondiale dalla Cina all’Iran e sino all’Afghanistan. I discorsi d’odio e divisivi insieme alla cattiva informazione creano un’escalation nella polarizzazione delle nostre società come ha dimostrato l’assalto al Campidoglio USA mettendo a dura prova le democrazie. E questo Putin lo sa da sempre e per questo pensa di avere già la sua vittoria in tasca.

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