In attesa dell’inaugurazione del ponte di Genova i destini di Atlantia, cui pure fino a nuovo annuncio verrà assegnata la gestione dall’infrastruttura, precipitano in Piazza Affari. A metà giornata il titolo, già sospeso, viaggia sul listino di Piazza Affari attorno a quota 11,31 euro con un ribasso del 15,5%, in ulteriore peggioramento rispetto all’apertura. Le azioni (-44% da inizio anno) si avvicinano così ai minimi (9 euro a marzo).
È la conferma che, in attesa del consiglio dei Ministri di domani, non si profila nemmeno l’ombra di un accordo tra i soci di maggioranza della holding, cioè la famiglia Benetton, e il governo, a partire dal premier Giuseppe Conte che ha ormai sposato sulla questione l’intransigenza del movimento Cinque Stelle. In particolare Conte, intervistato dal Fatto, ha giudicato “inaccettabile” la richiesta di Autostrade per l’Italia di chiedere modifiche a una norma sull’indennizzo dovuto alla concessionaria in caso di inadempienza che avrebbe reso ‘non bancabile’ Autostrade.
Ma il premier, a differenza della componente Pd dell’esecutivo, non ha del resto nemmeno mostrato di apprezzare le novità della proposta che Aspi ha spedito all’esecutivo sabato pomeriggio per rinnovare la concessione. Un pacchetto che prevede che la società metta sul piatto un totale di 3,4 miliardi per chiudere il contenzioso e far ripartire l’azienda con un piano che prevede 14,5 miliardi di investimenti e 7 miliardi di manutenzioni nell’arco della convenzione che dura fino al 2038.
La proposta “seria” – come l’ha definita il presidente di Edizione, Gianni Mion, (che però non si è mai fatto alcuna illusione) – tesa a rinnovare la concessione fino al 2038 (purché resti rivisto il valore di indennizzo il caso di revoca, ridotto unilateralmente a 7 milliardi), non risolve però il nodo politico della questione: l’uscita del gruppo di Ponzano Veneto da Aspi rappresenta un obiettivo politico cui i Cinque Stelle non intendono rinunciare. E lo stesso vale anche per il premier intenzionato a consolidare la sua posizione. E così poco conta che i Benetton si siano dichiarati disponibili a valutare un diverso assetto azionario, ma non l’uscita definitiva dalla società che Atlantia controlla oggi all’88%. Il premier Conte chiede l’estromissione completa dei Benetton con la nazionalizzazione di Aspi. Anzi, come ha sostenuto il viceministro delle Infrastrutture, Giancarlo Cancelleri, “i Benetton possono uscire oppure no, ma se non escono c’è la revoca”.
Ovvero rischia di saltare la prospettiva di un accordo che preveda la cessione del controllo di Aspi a Cdp e soci (Macquarie, fondi pensione, magari Poste) per venire incontro alle richieste della pancia (o se volete, dell’anima pentastellata) sotto il denominatore comune della revoca della concessione con la prospettiva del subentro di Anas nella concessione.
Si apre così uno scenario pericoloso all’insegna dei ricorsi che potrebbero coinvolgere, al di là dei Benetton, gli altri soci illustri di Atlantia, da Allianz a Silk Road, ed incrinare la fiducia dell’Italia sui mercati. Ancor peggio, come ha già detto l’ad di Atlantia Carlo Bertazzo, in caso di revoca “Aspi andrà in default il giorno dopo” sotto la mole di almeno 20 miliardi di euro, tra obbligazioni, prestiti bancari e credito di fornitura. A meno che lo Stato non decida l’accollo di quel debito, l’ultima cosa di cui hanno bisogno le casse dello Stato.
Di qui la ricerca di una soluzione last minute. L’idea venuta a galla ieri è quella di un aumento di capitale per Autostrade, che rafforzerebbe la società, sollevandola dal limbo dello status di junk, e permetterebbe all’ala più dura dei Cinque Stelle di rispettare il giuramento politico di non dare neanche un euro ai Benetton. Ma la partita di questi giorni, ammonisce Banca Imi, “è davvero imprevedibile”. Atlantia, intanto si avvia a diventare una società sempre più spagnola, grazie ad Abertis (che vale più di Aspi) e a Cellnet. Per Equita sim il target è 15 euro, giudizio hold.