La corruzione non è fenomeno isolato che nasce casualmente dalla debolezza dell’etica pubblica della cittadinanza o delle imprese, ma rappresenta la normale e costante degenerazione del clientelismo presente in tutti i sistemi politici, ed è più grave nei sistemi politici a predominante struttura clientelare: sistemi nei quali la ricerca del consenso prende prevalentemente la forma di erogazione di favori, posti, sussidi e protezioni con risorse pubbliche in cambio di voti e sostegno politico. In questi sistemi le risorse pubbliche sono spoglie da spartire tra i partiti dominanti invece che strumenti per il perseguimento dell’interesse pubblico.
La corruzione è la maniera fisiologica con cui il sistema delle imprese, e anche i normali cittadini, convincono i partiti e un funzionariato pubblico asservito ai partiti in cambio di influenze e carriera, a destinare una parte di quelle risorse a loro vantaggio. Gli scienziati politici – da ultimo Francis Fukuyama nel suo bel volume Political order and political decay– sottolineano dunque che la corruzione non è che l’ultimo anello di una catena di comportamenti devianti. La radice da un lato si trova nel basso livello di educazione media e di senso civico della popolazione, che rende acuto il rischio che leader populisti si impadroniscano del governo con promesse irrealistiche e distruttive del bene comune; dall’altro in assetti politico-istituzionali deboli, nei quali i partiti occupano i gangli vitali dello Stato e dell’amministrazione e li gestiscono a proprio vantaggio. Non a caso, dunque, il clientelismo è diffuso nelle democrazie nascenti, nelle quali il consenso è fragile e l’educazione media della popolazione è inadeguata a garantire l’esercizio consapevole e responsabile del diritto di voto. Non a caso, la corruzione era rampante, nell’ottocento, nel nascente stato federale americano (soprattutto a livello locale), dove l’accesso al voto era fin dall’inizio quasi universale; così come in Inghilterra quando si iniziò ad allargare il diritto di voto alle classi medie, poi medio basse.
In entrambi i casi, però, a un certo punto le classi dirigenti economiche si ribellarono e pretesero una riduzione del costo e un aumento dell’efficienza dell’amministrazione pubblica. A partire dalla metà dell’Ottocento in Inghilterra, e dalla fine di quel secolo negli Stati Uniti, politiche efficaci di contrasto del clientelismo portarono ad eliminare, insieme ai connessi sprechi di risorse, anche la corruzione diffusa, riducendone la portata a fenomeni individuali prontamente stroncabili. Quelle politiche oggi forniscono un esempio illuminante di come si possa sradicare la corruzione, ma anche di come ciò passi necessariamente per la trasformazione del sistema politico da sistema clientelare a sistema efficiente al servizio dei cittadini. La modernizzazione del sistema politico coincide qui con la modernizzazione dello Stato a tutti i livelli di governo.
I partiti che lottavano per il potere furono ridimensionati, e insieme valorizzati, riportandoli alla funzione centrale di espressione degli interessi lungimiranti del Paese, seppure con visioni talora contrapposte sui modi migliori per realizzarli (destra e sinistra). Quella reazione, in sistemi economici in rapido sviluppo, nasceva da un’esigenza basilare: quella di ridurre il costo del clientelismo e degli associati costi della corruzione. In effetti, quei costi sono elevatissimi e vanno molto al di là dei costi diretti dell’erogazione o della prebenda, perché da essa discendono colossali distorsioni nei comportamenti dei soggetti privati che entrano in contatto con le amministrazioni pubbliche, le quali comprimono in maniera massiccia le stesse possibilità di sviluppo del Paese. Chi vende beni e servizi, venderà beni e servizi di scadente qualità.
Chi ottiene concessioni per la prestazione di servizi di pubblica utilità, presterà servizi peggiori e distrarrà risorse ottenute con le tariffe per soddisfare le richieste della controparte politica. Chi viene assunto per favore politico, non solo tipicamente lavorerà meno e lavorerà peggio, ma riserverà la sua lealtà al suo benefattore invece che al bene comune. Ne soffriranno la produttività e la crescita; le imprese buone andranno altrove, resteranno quelle più deboli e più esposte alle sirene del clientelismo. In Italia la corruzione è un fattore endemico e sistemico, profondamente radicato nelle istituzioni, nel mondo economico e nella società civile2 fin dall’avvento della Repubblica. Laddove il fascismo – dove la corruzione non mancava, ma era fenomeno principalmente di vertice – aveva usato i poteri dittatoriali e la comunicazione ‘imperiale’ per mantenere il controllo di masse ignoranti e credule, la Democrazia cristiana si affermò nel dopoguerra distribuendo posti e risorse pubbliche, dunque sviluppando un diffuso sistema clientelare, soprattutto nel Mezzogiorno. Nel corso del tempo il sistema è degenerato nell’occupazione diretta dei gangli vitali dell’amministrazione da parte dei partiti che lottavano per l’acquisizione del consenso.
Le imprese pubbliche furono inizialmente dirette da un gruppo dirigente di qualità e visione, che negli anni della dittatura si era annidato nella Banca d’Italia, le imprese pubbliche dell’IRI e qualche ufficio studi del settore privato (la Comit). Grazie anche all’impronta impressa da pochi uomini politici lungimiranti, come Luigi Einaudi e Alcide De Gasperi, e dai vincitori americani attraverso il piano Marshall, quegli uomini diedero al Paese una politica industriale e di sviluppo che ne favorì la rapida modernizzazione e uno sviluppo industriale ‘miracoloso’. Ma anche le imprese pubbliche e le banche caddero poi preda dei partiti; in molti casi furono portate fino al collasso tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta. In quegli anni vi fu un tentativo di reazione, con una stagione di inchieste che portò alla luce il ruolo centrale della corruzione per il finanziamento dei partiti, che in misura crescente avevano occupato le amministrazioni, sostituendone i centri di competenza e avocando le decisioni amministrative per finalità di parte. L’inchiesta fu sorretta da un vasto consenso popolare che contribuì a far emergere il fenomeno di ‘Tangentopoli’ ed ebbe rilevanti conseguenze sul piano politico e istituzionale. Essa portò alla condanna di un gran numero di amministratori e imprenditori e determinò la crisi dei principali partiti politici.
La disarticolazione dei partiti, tuttavia, non arrestò il fenomeno, anzi finì per accentuarne il carattere diffusivo e decentrato. Ogni corrente o gruppo organizzato ha iniziato a ricercare nuove fonti di esercizio abusivo del potere. Il sistema si è riorganizzato ed è evoluto verso formule più sofisticate, basate su un fitto tessuto di relazioni fiduciarie tra burocrati, imprenditori e soggetti collocati ai vertici dei centri decisionali. La corruzione, dunque, si origina e si sviluppa nel terreno di coltura del clientelismo e nell’occupazione partitica delle pubbliche istituzioni.
Non ci può essere miglioramento sul fronte della corruzione diffusa senza un passo indietro dalle istituzioni da parte dei partiti, che devono rinunciare a nominare i compari nell’amministrazione, negli ospedali, nelle autorità indipendenti, nelle aziende pubbliche, accettando di scegliere i migliori in base a selezioni pubbliche e trasparenti; che devono togliere le mani dagli appalti, le commesse, le concessioni, aprendo il sistema alla concorrenza; che devono rinunciare a offrire protezione dai meccanismi di mercato, puntando invece ad accrescere le capacità degli individui e delle imprese di competere. L’esperienza degli anni ’90 e la rapida e grave riviviscenza del fenomeno hanno contribuito a fare emergere in Italia la consapevolezza della necessità di politiche di prevenzione, volte a scoraggiare i comportamenti illeciti sia nell’esercizio dell’attività di impresa sia all’interno delle pubbliche amministrazioni3. Un primo importante passo in questa direzione è stato mosso con il decreto legislativo n. 231/2001, introdotto nel nostro ordinamento sull’esempio di modelli internazionali, per interrompere i fenomeni collusivi tra imprese e pubblica amministrazione finalizzati a scambi illeciti4.
Il decreto prevede da un lato un’onerosa responsabilità patrimoniale a carico dei soci e della società i cui soggetti apicali si siano resi responsabili di un reato di corruzione, dall’altro un esonero dalla responsabilità in presenza di adeguati presidi organizzativi predisposti dalla società con finalità di prevenzione. Il presupposto per l’esenzione della responsabilità a carico della società è che l’ente abbia adottato efficacemente, prima della commissione dell’illecito, un modello di organizzazione e gestione idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi e nomini un organismo di vigilanza dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo cui affidare il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello, nonché di curarne l’aggiornamento. Un decennio più tardi, il decreto n. 231/2001 è diventato fonte d’ispirazione per l’introduzione di misure di prevenzione del rischio di corruzione anche all’interno della pubblica amministrazione. La legge n. 190/2012 segna da questo punto di vista una nuova svolta, cercando di integrare il rafforzamento delle misure sanzionatorie con articolate misure di tipo preventivo.
L’idea centrale è quella di adeguare alla nuova realtà del fenomeno corruttivo l’organizzazione delle pubbliche amministrazioni, la disciplina della trasparenza e delle incompatibilità, la formazione e le regole di condotta dei pubblici dipendenti. Le misure previste dalla legge n. 190/2012 muovono nella direzione giusta, pur con qualche rischio, da un lato, che gli adempimenti richiesti si traducano in esercizi formali e, dall’altro, che le regole divengano troppo rigide, senza tenere dovuto conto delle caratteristiche dei soggetti destinatari, in termini di dimensioni, natura dell’attività svolta (pubbliche amministrazioni o imprese a partecipazione pubblica che operano sul mercato), complessità organizzativa.
In ambito privato, occorre continuare a incentivare le imprese a cooperare con lo Stato per la prevenzione degli illeciti. A livello internazionale i compliance programmes, quale forma di autoregolamentazione societaria, sono divenuti uno dei tratti evolutivi e più innovativi della disciplina penale della attività economiche. Essi puntano sull’interazione tra intervento repressivo dello Stato e self-regulation delle imprese e degli attori privati. Per incentivare le imprese ad adottare modelli efficaci di organizzazione si tenta di combinare il tradizionale apparato punitivo con misure premianti6. Riguardo a questi strumenti, l’esperienza di applicazione della disciplina del decreto legislativo n. 231/2001 ha evidenziato l’esigenza di evitare eccessi di formalismo e prassi aziendali di facciata, la cd. cosmetic compliance. Un tassello essenziale di una strategia integrata contro la corruzione è rappresentato dalla promozione in ogni ambito della cultura della legalità. Il primo e concreto ostacolo a un accordo corruttivo nasce dalla consapevolezza della sua gravità da parte di chi lo compie e dal rifiuto a compierlo.
La reazione all’assuefazione al malaffare e agli arricchimenti illeciti matura nella società civile quando si sviluppa e si diffonde una coscienza civica dell’illegalità e si rafforza il valore della reputazione. Si tratta di un processo che dovrà essere condotto con convinzione, a partire dalla formazione scolastica di tutti i gradi. Occorre ripartire dall’educazione. Questo documento nella prima parte sintetizza lo stato delle misure anticorruzione vigenti nel nostro ordinamento e nella seconda parte individua otto linee di azione per completare le politiche di contrasto. La prima consiste nel dare piena applicazione al pacchetto anticorruzione introdotto dalla legge n. 190/2012, con gli opportuni accorgimenti per renderlo pienamente efficace. Le altre sette linee di azione, che mirano a sradicare le occasioni della corruzione e a bonificarne il terreno di coltura sono le seguenti:
i. distinguere i ruoli della politica e dell’amministrazione;
ii. circoscrivere le aree di contatto pubblico-privato;
iii. semplificare la normativa e migliorare la qualità della regolazione;
iv. assicurare efficacia e trasparenza nell’esercizio dell’azione amministrativa;
v. adottare un nuovo approccio nella disciplina dei contratti pubblici;
vi. rafforzare l’azione preventiva nelle imprese;
vii. promuovere la cultura della legalità nella società civile.
Allegati: Le politiche di contrasto alla corruzione.pdf