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Assonime: caso Viareggio, holding e responsabilità penale dell’Ad

La sentenza d’Appello sul disastro ferroviario di Viareggio stabilisce che l’Ad della capogruppo, che allora era Mauro Moretti, può essere responsabile per le mancanze delle controllate – Però, secondo Assonime, la ricostruzione “presenta molti vizi di ragionamento”

Assonime: caso Viareggio, holding e responsabilità penale dell’Ad

L’amministratore delegato di una holding può essere responsabile penalmente se una o più controllate del gruppo non adottano le cautele necessarie a evitare un grave evento dannoso. Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Firenze con la sentenza n. 3733 del 16 dicembre 2019, che riforma il pronunciamento di primo grado in merito al disastro ferroviario di Viareggio.

Secondo quanto affermato dai giudici, la tragedia fu causata da un illecito imputabile alle società proprietarie del carro merci deragliato e alle società appaltatrici dei servizi di manutenzione. Ma non solo: la responsabilità ricade, indirettamente, anche sulle società controllate dalla capogruppo, la cui vigilanza sul rispetto delle regole di sicurezza nella circolazione ferroviaria si è rivelata insufficiente.

Nel dettaglio, per la Corte d’Appello la holding è responsabile perché ha interferito pesantemente nella gestione delle controllate attraverso una serie di atti di indirizzo e controllo. Di conseguenza, l’amministratore delegato della capogruppo viene ritenuto amministratore di fatto delle controllate e perciò responsabile di tutte le loro condotte omissive.

Secondo Assonime, l’Associazione italiana fra le società per azioni, questa ricostruzione “presenta molti vizi di ragionamento”. Ad esempio, sarebbe incongruente l’associazione fra “il legittimo esercizio dell’attività di direzione e una situazione di amministrazione di fatto”. Assonime contesta quindi il fatto che la responsabilità possa essere attribuita all’amministratore delegato della capogruppo “sulla base di un asserito ruolo di amministratore di fatto delle società controllate, non supportato da coerenti presupposti giuridici come richiesti da dottrina e giurisprudenza per aversi tale qualifica”, si legge in un approfondimento dell’Associazione.

Assonime sottolinea inoltre che, alla luce delle “recenti acquisizioni del diritto penale dell’impresa”, è necessario stabilire una “correlazione tra potere effettivo e responsabilità della gestione di un’area di rischio”, in modo che la responsabilità penale ricada solo “in capo a chi si trova nella posizione di poter effettivamente prevenire o impedire l’illecito all’interno dell’organizzazione”.

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