La recente sentenza della Cassazione del 23 gennaio scorso pone un punto fermo su un fenomeno di assenteismo “anomalo” che si verifica nei servizi pubblici e nel sistema produttivo, in particolare nelle regioni meridionali, ad ogni turno elettorale a livello nazionale, regionale o locale.
Sulla base della normativa vigente, in ogni sezione elettorale un partito, una lista di candidati o un candidato possono incaricare, con atto pubblico, due loro rappresentanti di lista, uno effettivo e l’altro supplente, per assistere alle operazioni di voto e di scrutinio delle schede; il supplente è autorizzato ad esercitare le sue funzioni soltanto nei casi di assenza temporanea del rappresentante effettivo.
I rappresentanti di lista, se lavoratori dipendenti, hanno diritto a un giorno di riposo retribuito dal datore di lavoro per ciascun giorno in cui sono impegnati nelle operazioni elettorali (dal sabato con l’allestimento del seggio al lunedì dello scrutinio): le cosidette tre giornate di ferie elettorali aggiuntive.
Al tempo dei partiti di massa organizzati i rappresentanti di lista erano funzionari o attivisti del partito, per cui erano sufficienti pochi incaricati, in gran parte della DC e del PCI, per presidiare tutte le sezioni elettorali presenti nello stesso edificio.
Tramontati i partiti storici, il proliferare di partiti più o meno liquidi, di partitini e liste personali ha snaturato la ratio sul riposo compensativo retribuito al rappresentante di lista che, analogamente agli altri componenti il seggio elettorale, si dovrebbe impegnare con la sua presenza in tutte le giornate delle operazioni elettorali.
Oggi l’ incarico del rappresentante di lista, e del suo vice, è diventata di fatto una opportunità per far godere di tre giornate di ferie aggiuntive retribuite ad una vasta platea di amici, prossimi e clientes : ogni lista, anche se marginale, presente in una sezione, può farsi rappresentare da due suoi fiduciari, l’ effettivo ed il supplente, purchè siano lavoratori dipendenti, pubblici o privati, ed i giorni di permesso retribuito siano a carico del datore di lavoro: insomma, un vero e proprio voto di scambio.
Non si spiegherebbe altrimenti l’assenteismo per permessi elettorali che tocca livelli elevatissimi nelle giornate successive alle domeniche elettorali, sia tra i lavoratori dei servizi pubblici (ospedali, trasporti, in alcuni casi anche le carceri, . . .) sia tra i lavoratori dell’ industria, con una inevitabile conseguenza negativa sul PIL.
Per ottenere il “benefit” non è infatti necessario essere costantemente presenti durante le operazioni elettorali (si sono mai visti capannelli di rappresentanti di lista affollare il seggio mentre si va a votare ?), ma è sufficiente presentarsi un po’ prima del termine dello spoglio delle schede per farsi timbrare dal Presidente di seggio l’ attestato di presenza in tali giornate.
E’ il caso trattato dalla Cassazione.
Alle elezioni regionali della Basilicata nell’aprile 2010 un lavoratore della Fiat di Melfi consegnava all’azienda un attestato di partecipazione alle operazioni elettorali come rappresentante di lista per potere fruire del permesso retribuito. L’attestato, regolarmente autenticato, si dimostrava però perfetto nella forma ma falso nel merito, in quanto, durante le attività di seggio, il lavoratore era in fabbrica presente al lavoro.
L’ azienda, già penalizzata dalla considerevole diminuzione dell’ attività produttiva nei giorni delle operazioni elettorali proprio in conseguenza delle molteplici assenze per gli incarichi dei suoi dipendenti (oltre quattromila rappresentanti di lista) procedeva, di fronte ad un fatto così grave anche per il suo rilievo penale, al licenziamento del lavoratore.
La Corte di Appello di Potenza annullava il licenziamento e disponeva la reintegra ex art. 18 Statuto dei Lavoratori, ritenendo il comportamento del lavoratore sì riprovevole ma non tale da concretare una giusta causa di recesso, riconducendo la mancanza ad una semplice assenza ingiustificata per il permesso retribuito impropriamente goduto, sanzionabile al limite con un provvedimento disciplinare di multa o sospensione.
La Suprema Corte ha ora, a distanza di otto anni, confermato invece il licenziamento, perché “barare” sui giorni di presenza al seggio elettorale come rappresentante di lista può configurare la giusta causa di recesso.
Afferma infatti la Cassazione che il comportamento del lavoratore non può ricondursi ad una assenza ingiustificata ma “il principio che il consapevole utilizzo di un falso certificato al fine di poter godere, peraltro in un momento di dedotto maggior bisogno lavorativo per l’ azienda, di un riposo non spettante, può concretare il concetto di giusta causa”.
Potrà questa sentenza temperare la “pandemia” di permessi elettorali dei rappresentanti di lista perlomeno, ad esempio, nelle aziende dell’area automotive del comprensorio di Melfi, dove nelle scorse tornate elettorali si sono verificati picchi di assenteismo per motivi elettorali di oltre il settanta per cento?