Nulla di fatto. Le dimissioni del segretario del Pd uscente, Matteo Renzi, sono state congelate e dunque Maurizio Martina resta segretario reggente. La situazione dunque in seno al Partito Democratica non si è sbloccata e rimane in stallo, con un segretario dimissionario e uno reggente, e soprattutto un partito che nei giorni in cui si sta formando il governo legastellato, non riesce a ricomporsi e resta più che mai diviso.
Questo il responso dell’Assemblea di Roma, alla quale partecipano più di mille delegati. L’assemblea ha appunto approvato a maggioranza la proposta del presidente, Matteo Orfini, di rinviare l’odg che aveva al primo punto la formalizzazione delle dimissioni di Matteo Renzi da segretario, per concentrarsi oggi sulla situazione politica con la possibilità della nascita del governo Lega-M5s. Sì 397, no 221 e 6 astenuti.
La proposta di Orfini (il collegio di presidenza l’aveva approvata all’unanimità) è stata accolta dalla platea con alcuni fischi e diversi “noooo” di contrarietà, ad indicare come un gruppo sostanzioso di eletti avrebbe invece preferito procedere con il voto sulle mozioni. “Siamo in un partito democratico, chi vuole fischiare lo faccia fuori. Chi vuole, voti alzando la delega. Questo distingue il Pd da altre forze politiche”, ha risposto il presidente. Ma come mai questo colpo di scena che ha preso in contropiede molti delegati e che non era stato previsto nei giorni scorsi? Secondo la lettura dei renziani, Renzi aveva i numeri in assemblea per far passare la mozione, ma ha scelto per senso di responsabilità, per il momento che c’è nel Paese, di non andare a spaccare l’assemblea.
Una maggioranza trasversale a cui hanno preso parte molti dei big che sostengono il reggente, quella che ha votato la modifica dell’ordine del giorno. Tra questi anche Areadem, la corrente che fa riferimento a Dario Franceschini. Allo stesso tempo, “tra quanti hanno votato contro la modifica ci sono state le aree di Michele Emiliano e Andrea Orlando, ma anche tanti renziani”, viene sottolineato tra i delegati vicini all’ex segretario. Evitata la conta, dunque, anche se un voto sulla relazione di Maurizio Martina ci sarà più tardi, come annunciato dal palco dall’ufficio di presidenza dell’assemblea.
L’assemblea si è comunque divisa in due grossi blocchi, mentre le dimissioni di Matteo Renzi (secondo lo statuto non devono essere votate, ecco perché si parla di ‘presa d’atto’) sono diventate ufficialmente “irrevocabili”. Orfini, infatti, nel chiedere il voto dell’assemblea sullo slittamento dell’odg che prevedeva l’elezione del segretario, ha sottolineato che le dimissioni di Renzi non saranno ritirate. Ma non saranno discusse e la presa d’atto non votata oggi. Questa la chiave su cui si è raggiunto l’accordo tra maggioranza e area Martina, che prevede di posticipare l’assemblea del dopo-Renzi. Le dimissioni di Renzi sono irrevocabili ma la presa d’atto e il voto dell’assemblea per il successore (o per il congresso) avverrà alla prossima riunione, prevista in teoria a luglio.