Se il cinema è spettacolo, il film di cui ora scriviamo è grande cinema e grande spettacolo. Si tratta di Assassinio sull’Orient Express firmato dal regista inglese Kenneth Branagh e tratto dal noto romanzo di Agatha Christie. Chi ha letto i titoli della scrittrice inglese e per chi ha già visto la sua illustre precedente versione cinematografica del 1974 (firmata da Sidney Lumet e con protagonisti del calibro di Ingrid Bergman, Laureen Bacal o Sean Connery) beninteso non trova nulla di nuovo nella struttura e nel contenuto del racconto ma, in questo caso, tornare ancora una volta sul luogo del delitto è di sicura soddisfazione.
La storia è semplice e si svolge a tra le carrozze del famoso e lussuoso treno che collega Istanbul con Londra. Una tormenta di neve lo blocca e, durante la notte, un passeggero viene ucciso in circostanze misteriose. A bordo si trova anche l’ispettore Hercule Poirot chiamato a risolvere una difficilissima indagine. Non si tratta solo di un “normale” omicidio: dietro il pugnale che uccide la vittima si cela un secondo racconto (peraltro ispirato ad una vicenda reale: il rapimento e la morte del figlio del celebre aviatore Charles Lindbergh) che sarà la chiave che consentirà la soluzione del delitto.
Si tratta di un noir, di un giallo, ed è quindi improbabile che si possa scrivere nulla che possa farvi mettere sulle tracce di chi, del perché e del per come è avvenuto l’omicidio. Vi possiamo parlare invece di quanto rende questo film, a nostro giudizio, tra i migliori visti in questa stagione cinematografica. Qualcuno potrebbe fare paragoni con la precedente pellicola che nel 1975 ha vinto un Oscar, ma sarebbe un confronto improprio: è profondamente mutata l’educazione, il linguaggio e la cultura cinematografica rispetto agli anni ’70.
In questa riproposizione il cast è di primo livello: Poirot è lo stesso regista Branagh, già candidato a 5 Oscar ed altri vari premi cinematografici, di solida e consolidata esperienza drammaturgica shakesperiana – si vede benissimo in questo film – e si accompagna ad altri interpreti di pari capacità: Johnny Deep, Penelope Cruz, Michelle Pfeiffer solo per citare i più noti. La scuola di recitazione inglese non fa sconti a nessuno e i risultati si vedono.
La sceneggiatura è confezionata bene: i dialoghi serrati, i tempi sono corretti, il montaggio rispetta le attese, le luci, la fotografia, gli ambienti sono tutti ricercati, accurati, dettagliati. Piani sequenze come raramente si vedono ancora, seppure con il supporto di effetti speciali in postproduzione. Ne citiamo uno su tutti, quando il treno si ferma in bilico su un ponte di legno e la cinepresa parte da una lunga panoramica e arriva ad un primo piano di un protagonista all’interno di una vettura: ineccepibile. Altra scena ad alto valore simbolico: tutti i protagonisti sono schierati su un lato di un grande tavolo e non si fatica a vedere una specie di “ultima cena” dove ognuno rappresenta il suo dramma. La sequenza finale, nella stazione ferroviaria immersa nella neve, dove l’ispettore Poirot scende per rendere la versione dei fatti alla polizia è da incorniciare per colori e suggestione. Lo stesso treno, con la locomotiva ripresa da diverse angolazioni, rappresenta una icona formidabile del viaggio, e quello dell’Orient Express lo è nella sua forma quasi assoluta. Opportuno notare che, tra i produttori, c’è un certo Ridley Scott che, a proposito di grande cinema e grande spettacolo ne sa qualcosa.
Il film spesso indugia eccessivamente in dettagli e in immagini coinvolgenti che sembrano inserite più per compiacere lo spettatore che per rendere lo svolgimento della trama più avvincente. Nota finale: non uscite subito quando partono i titoli di coda. Il brano musicale finale merita rimanere tre minuti in sala.
Rivedremo presto una nuova indagine di Poirot, chiamato in Egitto alla ricerca di un omicida sul Nilo.