Nei prossimi anni l’Italia deve usare parte dei fondi europei in arrivo per costruire asili nido e scuole per l’infanzia, ma il bando ministeriale pubblicato a questo scopo presenta già una serie di problemi. Lo sostiene l’Ufficio parlamentare di bilancio in una recente analisi, sottolineando che la questione rappresenta “un interessante banco di prova per la componente del Pnrr che passa attraverso il canale dei bandi per gli enti territoriali”.
Allo stato, gli asili nido e le scuole per l’infanzia sono distribuiti in modo eterogeneo fra le varie zone del Paese e il servizio è quasi sempre assente nei piccoli Comuni. Per risolvere queste difficoltà, lo Stato prevede di creare 265mila nuovi posti entro il 2025 e di raggiungere così l’obiettivo europeo del 33% di copertura nella fascia d’età fra i tre e i 36 mesi.
Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio, però, il bando pubblicato lo scorso 2 dicembre dal ministero dell’Istruzione è criticabile per due motivi.
I CRITERI PER LA DISTRIBUZIONE DEI FONDI ALLE REGIONI
Il primo riguarda le modalità con cui viene stabilita la distribuzione dei fondi alle Regioni. I plafond per i singoli territori regionali sono determinati dalla combinazione di due criteri:
- il divario attuale nella dotazione dei servizi, in base al quale è attribuito il 75% dell’importo complessivo;
- il numero di bambini sotto i due anni d’età al 2035 (stime Istat), sulla base del quale è assegnato il 25% dei fondi.
L’Upb ritiene che i pesi assegnati ai due criteri siano “determinati in modo discrezionale, senza alcun apparente fondamento”. Ma i problemi più gravi riguardano il primo punto. Innanzitutto, i divari regionali non vengono misurati rispetto all’obiettivo del 33%, ma, chissà perché, rispetto ai livelli della Valle d’Aosta, la Regione con più asili nido e scuole per l’infanzia in rapporto ai bambini. In secondo luogo, i divari sono calcolati a livello di territorio regionale, con il risultato che in alcune Regioni i Comuni con molti asili compensano le carenze degli altri, mentre in altre Regioni questo non avviene. Si crea così una disparità fra Comuni con lo stesso livello di copertura ma situati in Regioni con tassi di copertura differenti.
I CRITERI PER VALUTARE I PROGETTI
Il secondo fronte problematico riguarda i criteri per valutare i progetti presentati dagli enti territoriali nell’ambito dei plafond regionali. In tutto sono cinque e ognuno assegna un punteggio. Il primo, quello che vale di più, fa riferimento “all’assenza o alla grave carenza dei servizi educativi pubblici e privati”. Peccato che, stavolta, i divari nel tasso di copertura non siano più calcolati rispetto alla Valle d’Aosta, ma rispetto al raggiungimento dell’obiettivo del 33%. Nel confronto con la fase di ripartizione delle risorse c’è quindi una difformità di metodo difficile da spiegare.
Un altro criterio per la valutazione dei progetti ha a che vedere con “l’incremento del livello di copertura nell’ente proponente”. Anche questo “suscita perplessità”, scrive l’Upb, perché c’è il rischio attribuire lo stesso punteggio a due tipi di Comuni molto diversi: quelli che offrono già il servizio e lo incrementano e quelli in cui il servizio è totalmente assente e vengono creati dei posti dal niente (a prescindere dal numero).
Infine, “tra i criteri di valutazione – si legge ancora nell’analisi – manca il riconoscimento di un maggior punteggio nel caso di progetti presentati da aggregazioni di piccoli Comuni che favorisca l’iniziativa di quegli enti che hanno una dimensione della popolazione dei bambini in età d’asilo troppo piccola anche per l’attivazione di un micronido”.
L’Ufficio parlamentare di bilancio suggerisce quindi di utilizzare “metodologie più trasparenti e di immediata interpretabilità”.