La riforma del lavoro “non è più rinviabile: lunedì presento le mie idee, ci sarà il dibattito interno, ma poi si decide e si va avanti tutti insieme, come succede in tutti i partiti democratici”. Lo ha detto ieri il premier, Matteo Renzi, a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite.
“Non è pensabile che ci si fermi o che mi tiri indietro – ha aggiunto il Presidente del Consiglio -. La prima cosa è cambiare il mercato del lavoro in Italia, che è focalizzato sul passato. Le persone della sinistra, leader della mia parte politica e non della destra, pensano che va ad ogni costo mantenuto lo Statuto dei Lavoratori e che questo è l’unico modo per essere uomini di sinistra. Cambiare significa evitare la possibilità che un giudice decida se una persona può cambiare o meno posto di lavoro”.
Al premier si è rivolta poi la leader della Cgil, Susanna Camusso, minacciando lo sciopero generale “se Renzi non tratterà” con il sindacato. “Capisco che ci sia una stagione in cui l’articolo 18 non possa valere – ha aggiunto Camusso, aprendo alle proposte della sinistra Pd -, ma è necessario “he sia transitoria”.
Sul fronte opposto c’è Sergio Marchionne: per l’amministratore delegato di Fiat e Chrysler l’articolo 18 “sta creando disagi sociali e disuguaglianze: questa non è giustizia”.
Intanto la riforma, definita “cruciale” dal ministro del Tesoro Pier Carlo Padoan, sta per cominciare il suo cammino al Senato, dove sono stati presentati 689 emendamenti. La maggior parte è arrivata da Sel (353) e da M5s (158). Fi e Lega hanno presentato entrambi 48 proposte di modifica. Nella maggioranza, nessuna proposta è arrivata da Ncd, 31 dal Pd e 9 da Sc.