Sedici ore di mobilitazione, di cui otto per le assemblee e altre otto per lo sciopero generale, con tanto di manifestazioni territoriali. Questa la reazione della Cgil alle scelte fatte dal governo Monti, che ieri sera ha chiuso le trattative con le parti sociali sulle modifica da apportare all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori nell’ambito della riforma del lavoro. Quella del sindacato di Corso d’Italia è stata l’unica voce contraria al tavolo del negoziato.
La forma della mobilitazione è stata proposta dalla segreteria confederale al comitato direttivo Cgil. La data dello sciopero generale sarà fissata in base al calendario dei lavori parlamentari sulla riforma. La distribuzione delle altre otto ore sarà definita a livello territoriale per fare assemblee nei luoghi di lavoro.
“Non sarà la fiammata che si esaurisce in un giorno che il Governo ha messo in conto. Abbiamo il dovere di portare a casa dei risultati prima che si avvii un biennio di espulsioni di massa nelle aziende”, ha detto il segretario confederale Fulvio Fammoni, introducendo la riunione del comitato direttivo.
La nuova formulazione dell’articolo 18 prevede il reintegro sul posto di lavoro solo per i licenziamenti discriminatori. Per i licenziamenti dettati da motivi economici arriverà solo un indennizzo, mentre per quelli disciplinari sarà il giudice a decidere se il lavoratore abbia diritto al reintegro o al semplice indennizzo.
“Avendo costruito una norma che sui licenziamenti soggettivi non prevede il reintegro in caso di nullità del licenziamento – ha commentato ieri a caldo il leader della Cgil, Susanna Camusso – si fa venir meno l’effetto deterrente dell’articolo 18. Credo che sia evidente che è una proposta totalmente squilibrata e lontana da tutti i suggerimenti che sono stati dati”.
Ancora più duro oggi il leader della Fiom, Maurizio Landini: “Una follia che cancella l’articolo 18, siamo pronti a tutto”. Anche perché la riforma “non riduce la precarietà, non estende gli ammortizzatori, ma rende più facili i licenziamenti”.