Il “mecenatismo” se vogliamo, lo possiamo ricondurre all’umanesimo civile nato alla fine del XIV secolo a Firenze in particolare, in primis con l’opera di Boccaccio e Petrarca, dove si evidenziò la fusione tra cultura umanistica e impegno politico, creando così un solido legame tra letteratura e società. Mentre la “filantropia” è qualcosa di diverso, un modo riconducibile ad una corrente pedagogica riformista nata in Germania nel XVIII secolo e influenzata dall’illuminismo. Termine, quest’ultimo, oggi molto più usato in America che in Europa, dove sono innumerevoli le Fondazioni che si occupano di filantropia, anche se in realtà stiamo assistendo ad un nuovo e preciso cambiamento. Oggi, accanto ai big-dollar ossia ai miliardari americani di prestigiose e storiche famiglie, si stanno presentando sulla scena nuovi giovani filantropi che tendono a mettere in discussione il modello “tradizionale” sperimentando invece, nuove forme di filantropia.
È altresì vero che le fondazioni americane private – con le loro risorse flessibili e libere dal mercato, dalla politica e dalle pressioni della raccolta di fondi – possono contribuire a risolvere i problemi della democrazia nel ventunesimo secolo, ma è necessario che prima venga superata l’idea che siano una forma intrinsecamente antidemocratica usata dai “Paperoni” per eludere le tasse e confirmare la società americana con le loro risorse.
Un esempio nuovo di filantropia, se intendiamo ancora possa essere il termine appropriato, ci è invece offerto da Mark Zuckerberg che ha optato per società a responsabilità limitata invece di fondare fondazioni private e dichiarando che i loro investimenti saranno indirizzati a un ampio spettro di organizzazioni non profit e non solo a quelle che offrono vantaggi fiscali.
Mentre, ricordiamo che il mecenate utilizza gli strumenti che il mercato consente, per raggiungere necessariamente finalità di natura sociale.
Questo è il punto di forza che caratterizza il mecenate dal filantropo, che si limita solo a dare soldi. Non è certo un difetto, ma non basta, perché nel mondo del cosiddetto non profit o meglio definito come terzo settore oggi non c’è solo bisogno di esclusive risorse economiche bensì di più creatività e di maggiori capacità, capacità manageriali e quella creatività utile perché le risorse impiegate raggiungano l’obiettivo desiderato meritato. Nel mondo dell’arte, mentre i filantropi americani che sostengono l’arte e la cultura dichiarano di voler sviluppare nuovi programmi di appoggi economici per soddisfare le nuove esigenze che stanno emergendo nelle comunità artistiche e culturali come indicato dalla stessa Grantm (la più importante associazione nazionale che si occupa di arte), in Europa, Fondazioni o Associazioni Onlus che operano in questo preciso campo e con scopi di favorire lo sviluppo della Cultura, prediligono e attuano con successo modelli più vicini al mecenatismo.
Ecco allora che realtà come quella fondata da Valeria Napoleone: Studio Voltaire “Leading not-for-profit contemporary arts organisation” con sede a Clapham, nel sud di Londra, può essere un esempio concreto di operare a favore della sostenibilità culturale e sociale.
La peculiarità di questa mecenate è di aver scelto l’arte delle donne, cercando artiste di tutto il mondo – spesso ancora sconosciute – e promuovendole nel loro loro lavoro. Lavori che sono anche esposti nella sua casa-museo londinese, situato nella prestigiosa via delle ambasciate vicino ad High Street Kensington.
Scegliere di investire sostenendo le donne nelle professioni è sicuramente un modello nuovo ma anche necessario alla parità dei diritti. Nell’arte e nella cultura in genere le donne hanno sempre sofferto di discriminazione e le loro opere che entrano nei musei e nelle gallerie sono in netta minoranza. Storicamente le donne sono state sempre poco considerate nel talento e perciò sempre escluse, solo alcune sono riuscite, ma con fatica è sempre troppo tardi rispetto alla loro carriera e vita, a farsi apprezzare in egual misura degli uomini.
Ma ancora oggi nell’arte contemporanea, l’intero sistema è gestito esclusivamente da figure maschili che vedono ancora con diffidenza le donne artiste, quasi a relegarle al loro l’unico ruolo di madre di famiglia o al massimo un riconoscimento per creatività.
E anche se c’è un cambiamento in atto, questo è ancora troppo lento e tortuoso. Merito di questa pur lenta apertura va a molte curatrici di mostre, galleriste e direttrici di musei che propongono iniziative anche di confronto. C’è davvero bisogno di realtà no profit innovative e figure con reale concreto spirito di mecenatismo che sappiano distribuire parte del ricavato ottenuto dalle proprie attività per dare concretezza a progetti di sostenibilità su temi che consentano di “vivere i valori in tempo reale”!. Tra questi valori emergono l’equità, il merito, la giustizia razziale e cioè l’impegno da parte degli enti erogatori a finanziare artisti di differenti nazionalità in contesti, luoghi e ambiti ancora poco sostenuti.
Da Il Barone rampante di Italo Calvino “…le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno la gioia che raramente s’ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone; mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada.”
Immagine di copertina: (dettaglio) Artemisia Gentileschi, Conversione della Maddalena (Maria Maddalena penitente)