Dopo due anni di ardua battaglia, combattutasi nelle aule dei tribunali e nei Palazzi che contano, e con una crisi che ha lasciato qualche migliaio di posti di lavoro sul campo, il mercato delle sigarette elettroniche riparte. La novità arriva dal lancio in Italia di “JAI”, la prima sigaretta elettronica di una multinazionale del tabacco in Italia, Imperial Tobacco (che produce marchi come ad es. John Player Special e Gauloises), attraverso la sua controllata Fontem Ventures (che ha una sede a Roma), cambia lo scenario del mercato ecig. Si tratta. Una notizia che arriva come una ventata di aria fresca – anzi, di vapore – per questo settore. Il lancio in Italia (unica nazione dove non c’erano multinazionali nelle ecig) fa seguito a quello in Francia: i due paesi sono visti come quelli con più ampio margine di crescita in Europa.
Ad arrivare in Italia è quindi Fontem Ventures, società fondata nel 2012, diventata leader del settore a seguito dell’acquisizione nel 2013 per $75 milioni dei brevetti della Dragonite International Ltd. di Hon Lik, il famoso farmacista l’inventore della prima sigaretta elettronica, oggi tra i consiglieri dell’azienda. Una leadership destinata a crescere ulteriormente con l’operazione da 7,1 miliardi di dollari – attualmente in attesa dell’approvazione delle autorità antitrust USA – che porterà anche all’acquisizione di Blu eCig, società americana numero uno del mercato mondiale, da parte di ITG.
Salute. l bombardamento di notizie legato a questo nuovo prodotto è ormai quotidiano tra studi – o meglio, titoli di giornale su studi – che dicono che fanno male, a volte smentiti persino dagli stessi autori, e altri che invece ne decantano le caratteristiche di strumento utile come supporto anche a smettere di fumare. Al riguardo forse il lavoro portato avanti dall’Istituto Superiore di Sanità – che sembra stia dando ottimi risultati per le e-cig – contribuirà a far chiarezza sul tema.
Tassazione. Negli ultimi 18 mesi in Italia il tema e-cig ha ruotato principalmente intorno alla questione fiscale. Corsi, controricorsi, lobby, e chi più ne ha più ne metta. A seguito dell’emanazione da parte del Governo del Dlgs “tabacchi” che ha riformato il sistema fiscale per le e-cig (e avviato quello per le Heat not Burn), e dopo la Determina dell’ADM che ha stabilito la presunta equivalenza (€3,73 + IVA per 10ml di e-liquid), di fatto dallo scorso 21 gennaio la situazione fiscale è ormai definita (potrebbe ancora intervenire il TAR Lazio, ma – come diceva un noto sottosegretario – “In Italia un TAR non si nega a nessuno“).
Regolamentazione. Grazie al lavoro del Ministero della Salute e delle associazioni di settore, l’Italia è anni avanti rispetto agli USA e al resto d’Europa sul tema delle regole. Infatti, nel nostro paese è in vigore il divieto di vendita ai minori; esiste un sistema di autorizzazioni e controlli sulle produzioni di liquidi; le etichettature seguono norme molto restrittive, la pubblicità è regolamentata (ad es. vietata in certe fasce orarie, ecc.); il divieto di svapo è previsto in alcune aree (scuole, ospedali, ecc.) e ed è in piedi un sistema di autoregolamentazione controllata in altri (cinema, teatri, ecc.). Non è quindi assolutamente quel far-west che ogni tanto qualcuno – tecnicamente ignorante della situazione italiana – vorrebbe far pensare.
L’importanza della multinazionale
Fontem Ventures metterà in vendita le proprie e-cig JAI – a forma di sigaretta, in nero satinato, molto diversa dalle grosse ecig di tante foto – attraverso la rete dei tabaccai. Una scelta forte, e forse anche inevitabile per una società la cui controllante fa comunque il suo business tutto attraverso questa rete. Proprio l’assenza delle multinazionali dal mercato, e la contrapposizione frontale con i tabaccai, è stata la causa (insieme ad una campagna mediatica aggressiva) dello sboom del mercato delle sigarette elettroniche in Italia e di molti dei problemi esistenti. Nonostante siano da molti descritte come il diavolo, se pensiamo anche solo all’Italia, le multinazionali versano nelle casse dello Stato circa €10 miliardi, e lo fanno grazie alla rete di vendita di 55mila tabaccai sparsi su tutto il territorio.
Un bene per il settore e per i consumatori. I prodotti da svapo – in quanto mirati alla riduzione del danno – dovrebbero infatti essere il più accessibili possibili ai fumatori, e con prezzi adeguati. I tabaccai consentiranno al prodotto di diffondersi, specie quando gli stessi avranno chiaro che vendendo una e-cig, una ricarica o dei liquidi consentirebbe loro di guadagnare tre o quattro volte quello che fanno con un pacchetto di sigarette. Inoltre, grazie ai tabaccai, il prodotto potrà diffondersi su tutto il paese, soddisfacendo le necessità di tantissimi consumatori ancora alieni dagli acquisti via web (in fondo siamo uno dei paesi più arretrati d’Europa su questo) o che ancora non si sono avvicinati al prodotto.
L’assenza delle stesse multinazionali nelle e-cig, forti contribuenti ben conosciuti dallo Stato, è stato invece un problema per un Stato come il nostro, diffidente della libera impresa e di ogni innovazione, salutare o no. A ciò si è aggiunto che i tabaccai hanno vissuto la sigaretta elettronica con rigetto, anche comprensibilmente. La legge infatti preveniva loro di vendere le e-cig, e di lì il boom di migliaia di negozi spuntati in maniera finanche disordinata, che hanno creato “allarme sociale” (assurdo ma è un fatto) e hanno provocato la reazione della FIT (Federazione Italiana Tabaccai) e non solo, portando dopo un lungo processo alla situazione attuale. Un problema comunque risolto dalla Legge 99/2013, che consente la vendita di e-cig da parte dei tabaccai. Laddove invece tutta questa contrapposizione non c’è stata – vedi la Germania – il mercato vive un boom continuo.
“Riteniamo che in Italia la rete dei tabaccai sia il canale preferenziale anche in virtù del fatto che, da sempre, c’è una forte e particolare attenzione rispetto al divieto di vendita di alcuni prodotti e servizi (dai tabacchi ai giochi) ai minori”, spiega Valerio Forconi, portavoce di Fontem Ventures: “L’Italia presenta oggi una chiarezza regolamentare sulle sigarette elettroniche tale da consentirci di entrare nel mercato. E’ un mercato che negli ultimi anni ha registrato fluttuazioni significative dovute proprio all’incertezza normativa ed alle demonizzazioni strumentali da parte di alcuni sugli impatti sulla salute.
L’aspetto importante di questo ingresso sul mercato è però determinato anche dalla possibilità che un ritorno possa esserci per le aziende italiane, da sempre considerate un’eccellenza mondiale nella produzione di aromi.“Vedremo come andranno le cose – aggiunge Forconi – con la prospettiva di aumentare gli investimenti in Italia anche in base a come evolveranno la regolamentazione e soprattutto la fiscalità”.
Le aziende italiane. L’arrivo delle multinazionali e la vendita presso i tabaccai non sembra però spaventare le medie aziende italiane forti nella produzione di liquidi, in cui l’Italia è da sempre un’eccellenza mondiale. Al contrario, braccia aperte verso entrambi: “La scelta di Imperial Tobacco non può che far bene per la crescita del settore, nei confronti del quale forse si interromperà un bombardamento lungo due anni. Dove poi le multinazionali venderanno le e-cig, per noi è irrilevante, visto anche che crediamo nel libero mercato. A guadagnarci comunque saranno i consumatori, che avranno sempre più accesso ad un prodotto che – checché ne dicano alcuni studi di dubbia provenienza e in certi casi smentiti persino dagli stessi autori (ad es. quello sulla formaldeide) – sta aiutando milioni di persone in tutto il mondo. E indietro non si torna”.
Il mercato. Il mercato mondiale della sigaretta elettronica è stimato in oltre 2,5 miliardi di dollari, la cui crescita secondo la banca d’affari Wells Fargo nel 2014 è stata del 23%. In Italia nel 2012, prima della flessione intervenuta nel 2014 erano presenti oltre 1 milione e mezzo di svapatori (Dati ISS – DOXA) per un fatturato totale di 350 milioni di Euro (Fiesel Confersercenti). Dati tra i migliori d’Europa, a conferma dell’appeal del prodotto nel bel paese dove – nonostante un dimezzamento provocato principalmente dalla “sparizione” del prodotto determinato dall’inasprimento fiscale (e dal conseguente azzeramento degli investimenti su marketing e comunicazione) – gli spazi di crescita sono enormi.