“Per Armstrong non c’è più posto nel ciclismo. Merita di essere dimenticato”. Il re oggi è davvero nudo. Anche l’Uci, il massimo organismo del ciclismo mondiale, l’ha radiato cancellandogli i sette Tour vinti consecutivamente dal 1999 al 2005. Tolte le sette maglie gialle, gli resta solo il mantello rosso della vergogna, con gli sponsor milionari da Nike e Trek che lo abbandonano e con il mondo intero che gli sputa contro dopo averlo celebrato per anni, invincibile sulle due ruote, un autentico Superman capace di vincere anche il cancro. La riunione di Ginevra, che alle 13 di oggi doveva sentenziare sul clamoroso caso, è stata una ghigliottina per il corridore texano.
“Riconosciamo le conclusioni dell’Usada”, ha detto il presidente dell’Uci, l’australiano Pat Mc Quaid ringraziando “tutti quelli che hanno smascherato l’inganno”. Per il ciclismo e lo sport tutto è una macchia sconvolgente, difficilmente rimediabile. Per il Tour de France si apre una voragine nell’albo d’oro come se 23mila chilometri di corsa, tanti ne ha percorsi Lance nei suoi sette Tour vinti, fossero stati una fiction, una sorta di videogame con un diavolo come protagonista che con i suoi trucchi – che gli facevano mulinare le gambe più velocemente degli altri – seminava per strada i suoi avversari: fu epica ma vista oggi è solo una presa in giro la spasmodica volata in cima al Ventoux tra lui e Pantani, una burla il suo volo nella tappa al Sestriere, una farsa la sua ascesa imperiosa sul pirenaico Hautacam. Tanti ricordi di imprese tutte da cancellare.
Difficile per chi ama il ciclismo rendersi conto che tutto è stato fasullo. Ma ancora più difficile accettare, di fronte al mito abbattuto, che sulle strade del Giro e del Tour continuino a correre corridori che tentano con ogni mezzo di farla franca, frequentando camper e residenze mascherate di medici-stregoni, con sacche di sangue piene di epo pronte all’uso. Medici i cui nomi sono noti a tutti, che circolano indisturbati da anni, pur essendo oggetti di più inchieste giudiziarie: dal dottor Fuente dell’Operacion Puerto all’italiano Michele Ferrari che ha avuto un ruolo centrale nel “dopaggio” di Armstrong quando era alla Us Postal diretta dal belga Johan Bruyneel. Bonifici superiori al milione di euro testimoniano dell’intensità del rapporto tra il medico e l’ex campione texano. Le prove contro Armstrong, al di là delle agghiaccianti testimonianze dei suoi stessi ex gregari, sono state ritenute schiaccianti tanto che lo stesso Mc Quaid ha ritenuto inutile rimandare l’ultima parola al Tas.
Superman non c’è più. Ma c’è da interrogarsi se, scoperchiato il sistema Armstrong, sia giusto oltre alla radiazione, annullare tutti i risultati con una retroattività che vada oltre gli otto anni stabiliti per legge dopo i quali scatta la prescrizione. “Dovevano sospenderlo prima. Cancellare oggi i sette Tour di Lance è un furto”, è il parere di Felice Gimondi, condiviso anche da Gianni Bugno. Una giustizia ad hoc, pur ineccepibile sul piano morale, che potrebbe essere un pericoloso boomerang per terremotare gli ordini di arrivo di ogni epoca, a partire da quella del grande ciclismo di Coppi e Bartali, quando la simpamina la faceva da padrona. Si prenda il caso di un fuoriclasse come Jacques Anquetil, vincitore di cinque Tour, che candidamente ammetteva di sottoporsi ogni anno al ricambio del sangue, una pratica oggi messa al bando.
Bisogna allora revocargli tutti i suoi successi nella Grande Boucle? E ancora: se Armstrong nella sua carriera è stato sottoposto a circa 500 controlli con esito sempre negativo, c’è anche da domandarsi se non sia il caso di mandare sotto processo anche coloro che fecero i test al texano, magari chiudendo un occhio per compiacere gli stessi vertici del ciclismo mondiale ai tempi del predecessore di Mc Quaid, il potentissimo allora Hein Verbruggen. Il rischio è che il crollo di Armstrong apra una crisi politica senza precedenti nel mondo delle sport, delle sue istituzioni e di chi vi lavora: team, organizzatori, medici. Un rischio ben presente a Mc Quai che oggi ha tenuto a sottolineare come “all’epoca – riferendosi agli anni di Armstrong dal ’99 al 2005 – i mezzi a disposizione erano molto più limitati rispetto a quelli che ci sono oggi: mi dispiace se non siamo stati nelle condizioni di prendere ogni dopato e buttarlo fuori dal ciclismo”.
A essere buttati fuori con il criterio adottato per Armstrong dovrebbero essere anche alcuni corridori che, approfittando della squalifica per doping del primo arrivato, si sono trovati a tavolino in maglia gialla o in maglia rosa. Proprio per evitare di cadere dalla padella nella brace la direzione del Tour – che intende chiedere ad Armstrong anche la restituzione dei premi elargiti – ha già espresso la volontà di lasciare vacanti le relative caselle: sette Tour stralciati dalla storia, senza un vincitore, da dimenticare in vista del Tour del centenario che vede la luce nel momento più buio del ciclismo, con sponsor, dalla Rabobank alla Mapei di Giorgio Squinzi, che sempre più numerosi hanno deciso di stare alla larga da questo ciclismo malato, dove la cultura del doping è dominante malgrado gli attestati di vero rinnovamento che sono venuti da corridori leader come Gilbert e Wiggins.
Desolante ma emblematico il consiglio di papà Schleck ai suoi figli Andy e Frank (sospeso perché positivo al Tour) di lasciare la bici perché sta spendendo una fortuna tra medici e avvocati. Chi prova a guardare avanti con fiducia è invece Mc Quaid che da Ginevra, nel giorno in cui dà al macero tutte le pagine di storia scritte da Armstrong, si dice certo che il ciclismo ha ancora un futuro davanti, se è capace di espellere il suo più importante esponente che l’ha tradito.