Per il momento, le armi sono state messe da parte in Nagorno Karabakh, enclave dell’Azerbaijan abitato da armeni. FIRSTonline, dopo aver intervistato sull’argomento l’ambasciatore azero in Italia, Mammad Hamazada, ha chiesto di intervenire all’ambasciatrice dell’Armenia in Italia, Tsovinar Hambardzumyan. Ecco l’intervista che ci ha concesso.
Ambasciatrice, per quale motivo, nonostante gli appelli, il conflitto non si ferma? Cosa c’è alla base della guerra e della sua recrudescenza?
«Ormai è la terza volta che viene raggiunto un accordo di tregua umanitaria: il 10, il 17 e il 24 ottobre, con la mediazione della Russia, della Francia e degli Stati Uniti rispettivamente. Tutti i tre gli accordi di tregua, come vedete, sono stati violati dall’alleanza Azerbaijan-Turchia-terroristi. Penso che questo fatto sia una sfida non solo al popolo armeno, ma anche alle tre superpotenze: alla Russa, alla Francia e agli Stati Uniti. È un comportamento sprezzante e derisorio nei confronti dei tre grandi Paesi. Ogni volta che le parti hanno raggiunto un accordo di tregua, l’offensiva azera non si è fermata nemmeno per un’ora. Erdogan non solo non ha dato il permesso ad Aliyev (il presidente azero, ndr) di fermare la guerra, ma vuole dimostrare, in modo ostentato, che oggi la Turchia è padrona del mondo e che nessuno ha il diritto di darle consigli. E perché alla Turchia conviene che non ci sia un cessate il fuoco? Parlo della Turchia, perché l’Azerbaijan non ha più il controllo della situazione, ma obbedisce ciecamente alle decisioni di Ankara. La questione qui è molto più ampia e va oltre il conflitto dell’Artsakh (il Nagorno-Karabakh, ndr). La Turchia sta realizzando la sua politica della rinascita del nuovo impero ottomano. La situazione in Artsakh va letta nel contesto della politica che Ankara sta portando avanti nel Mediterraneo e in Medio Oriente, con l’arroganza senza precedenti dimostrata da Erdogan nei confronti della Grecia, di Cipro, delle superpotenze e dei loro leader».
Cosa dovrebbe accadere per far tacere le armi?
«La cosa più inaspettata in questa guerra è stata la partecipazione della Turchia e dei terroristi. Chi avrebbe immaginato che l’Azerbaijan mancasse di dignità fino al punto di coinvolgere la Turchia e i terroristi jihadisti per combattere contro l’Artsakh, che ha appena 150.000 abitanti? Questa è la lotta dell’Artsakh e della Repubblica d’Armenia contro il terrorismo internazionale. Le armi verranno messe a tacere quando i membri della comunità internazionale avranno piena consapevolezza del pericolo che i terroristi mercenari rappresentano anche per le loro regioni; quando capiranno quanto sia pericolosa anche per loro la politica neo-ottomana di Erdogan; quando si renderanno conto dell’eccessiva della tolleranza che il mondo civile dimostra nei confronti della politica del tandem Erdogan-Aliyev, basata su ricatti e menzogne. La comunità internazionale deve costringere le parti azera e turca, usando mezzi più duri, a ripulire la regione dai terroristi e a mettere fine immediatamente alle operazioni militari».
Karekin II, il papa armeno, come lo definiscono gli italiani, in una recente intervista a Repubblica ha dichiarato che, se non si fa nulla per fermare l’Azerbaijan, gli armeni sono destinati a un nuovo genocidio: cosa ne pensa? Siamo di fronte a una guerra di religione: cristiani contro musulmani?
«E come si possono chiamare le operazioni che la Turchia e l’Azerbaijan stanno svolgendo oggi nell’Artsakh, se non azioni genocidarie? In quale altro modo è possibile definire le azioni della Turchia e dell’Azerbaijan che bombardano tutte le infrastrutture civili, gli edifici, gli ospedali, le ambulanze, le strade, le infrastrutture idriche ed energetiche, persino le chiese? L’Azerbaijan e la Turchia stanno distruggendo l’Artsakh per renderlo inadatto alla vita quotidiana, in modo che la popolazione non possa più tornare nelle proprie case, e allo stesso tempo cercano di cancellare tutte le testimonianze del patrimonio storico, culturale e cristiano degli armeni. Ma il conflitto dell’Artsakh non ha mai avuto una componente religiosa. È l’Azerbaijan che per conquistare la simpatia del mondo musulmano cerca costantemente di dare al conflitto un carattere religioso. Anche il bombardamento da parte dell’Azerbaijan della Cattedrale della città di Shushi, in Artsakh, può essere considerato nel contesto dell’incitamento all’odio religioso. La maggior parte dei paesi musulmani ha relazioni molto migliori con l’Armenia che con l’Azerbaijan e con la Turchia».
Il gruppo di Minsk (Russia, Usa e Francia) sta lavorando a un documento da proporvi: cosa dovrebbe contenere a vostro parere?
«Innanzitutto, prima di parlare di un documento bisogna fermare la guerra. Un futuro documento, ovviamente, dovrebbe contenere tutti i principi che saranno concordati tra le parti e che sono stati oggetto dei negoziati per più di un decennio. Purtroppo, questi principi non sono stati finalizzati in un documento per la soluzione del conflitto, perché ogniqualvolta viene concordato tutto e l’Armenia annuncia che è disposta ad arrivare a un compromesso, l’Azerbaijan si rifiuta di negoziare e inizia ad avanzare nuove pretese. L’incontro di Kazan ne è un vivido esempio. Bombardando la popolazione e le infrastrutture civili dell’Artsakh, l’Azerbaijan ha gravemente violato uno dei tre principi alla base dei colloqui: il principio del non ricorso alla minaccia o all’uso della forza. Penso che questo vizioso modo di agire debba essere fermamente condannato. Fino a quando il mondo continuerà a mantenere la correttezza invitando tutte le parti nello stesso modo a rispettare gli accordi, l’Azerbaijan continuerà a comportarsi come si è comportato finora».
E cosa chiedete a tutte le grandi e medie potenze più o meno in primo piano sul palcoscenico? Russia e Turchia in primo luogo.
«Ci aspettiamo che tutte le potenze, grandi e medie, come anche i paesi piccoli, facciano pressione sulla Turchia affinché lasci in pace il Caucaso Meridionale, abbandoni i progetti neo-ottomani e torni nel proprio Paese. Per quanto riguarda la Russia, dal primo giorno dell’aggressione è stata in contatto quotidiano con l’Armenia, a tutti i livelli possibili, e sta facendo tutto il possibile per fermare la guerra. La Turchia invece non può in alcun modo fare da mediatore in questo conflitto, poiché sostiene, apertamente e con grande arroganza, una delle parti del conflitto».
E all’Italia cosa chiedete?
«La nostra aspettativa è che l’Italia continui a sostenere incondizionatamente gli sforzi dei copresidenti del Gruppo di Minsk e che solleciti la Turchia, in qualità di partner Nato, a ritirare i suoi terroristi dall’Azerbaijan e a cessare le operazioni militari. Non sto parlando dell’Azerbaijan perché, come ho detto poco fa, l’Azerbaijan non ha nessun controllo sulla situazione. La popolazione dell’Artsakh sta affrontando una grave crisi umanitaria, che la comunità internazionale, compresa l’Italia, non può ignorare».
Il Nagorno non è stato mai riconosciuto dalle grandi potenze e solo recentemente dall’Armenia: come se lo spiega?
«Nella situazione attuale, l’unico modo per salvare la popolazione dell’Artsakh dall’annientamento fisico è il riconoscimento internazionale della Repubblica dell’Artsakh. Non ci sono altre soluzioni. Altrimenti gli armeni dell’Artsakh saranno indubbiamente sottoposti ad una pulizia etnica nei territori controllati dall’Azerbaijan. Gli armeni sono l’ultimo ostacolo per la creazione del Grande Turan da parte della Turchia. L’Armenia ad oggi non ha riconosciuto l’indipendenza della Repubblica dell’Artsakh per non danneggiare i negoziati nell’ambito della Co-presidenza del Gruppo di Minsk, in modo da non predeterminare l’esito dei negoziati. Credo che sia un esercizio inutile andare a negoziati il cui risultato è predeterminato in anticipo. L’Armenia sa rispettare gli impegni assunti».
Pensa che, una volta che le armi saranno messe a tacere, possa essere presa in considerazione la proposta dell’ex presidente gruppo di Minsk, Mario Raffaelli, di uno statuto dell’area simile alla regione italiana dell’Alto Adige Sud Tirolo?
«Provi a immaginare come l’Artsakh, con la sua popolazione di 150.000 abitanti, stia combattendo per la libertà contro la Turchia e l’Azerbaijan. Suona come una follia, vero? Anche con le garanzie di sicurezza da parte dell’Armenia, che ha una popolazione di 3 milioni di abitanti. Secondo lei perché queste persone stanno combattendo fino alla morte per escludere la convivenza con l’Azerbaijan? Come vedete, preferiscono morire piuttosto che vivere sotto il governo dell’Azerbaijan. Il Presidente della Federazione Russa, nel suo discorso pronunciato al Valdai Club, ha affermato chiaramente che il conflitto dell’Artsakh è iniziato come seguito delle atrocità commesse contro il popolo armeno per motivi di rivalità etnica. Durante tutto il periodo sovietico, l’Azerbaijan ha condotto una politica oppressiva nei confronti degli armeni che vivevano nelle città azerbaijane e nell’Artsakh, una politica di pulizia etnica e di genocidio culturale e, infine, ha scatenato una guerra su larga scala contro l’Artsakh. La macchina della propaganda statale dell’Azerbaijan insegna agli allievi delle scuole azerbaijane a odiare gli armeni e definisce gli armeni come “il nemico numero uno”.
Durante un corso della Nato, a Budapest, un ufficiale azero ha ucciso con un’ascia un ufficiale armeno di notte, mentre quest’ultimo dormiva. Successivamente, l’assassino azero è stato dichiarato eroe nazionale nel suo paese e ha ricevuto tutti gli onori possibili. L’Azerbaijan porta terroristi jihadisti per combattere contro gli armeni, bombarda le infrastrutture di vitale importanza dell’Artsakh. Potrei continuare questo elenco all’infinito… L’Italia ha mai fatto qualcosa di simile nei confronti degli altoatesini? Come è possibile odiare gli armeni, dichiararli il tuo nemico numero uno, e allo stesso tempo voler avere queste persone all’interno del tuo paese? E, infine, l’Artsakh ha scelto un percorso di sviluppo democratico. Come possono queste persone essere obbligate a vivere in una dittatura corrotta? Io credo che paragonare l’Alto Adige con l’Artsakh significherebbe paragonare l’Azerbaijan con l’Italia».
Per molti osservatori è impossibile uscire dall’attuale situazione se non si è in grado di perdere qualcosa. Altri pensano addirittura che l’unica soluzione al conflitto sia quella che in termini politico-diplomatici si chiama “loose-loose”: tutti sconfitti. Cosa ne pensa?
«Francamente, la mia idea sulla risoluzione del conflitto è un po’ diversa dall’idea delle persone che hai menzionato. Io la chiamerei “win-win”, e non “loose-loose”. Il Primo Ministro dell’Armenia, subito dopo la sua elezione, ha dichiarato che la soluzione del conflitto dell’Artsakh deve essere accettabile per i popoli dell’Armenia, dell’Artsakh e dell’Azerbaijan. Come sempre, l’Armenia è pronta anche oggi ad arrivare a un compromesso ragionevole in nome della coesistenza pacifica nella regione, della prosperità dei popoli e del futuro pacifico delle nostre generazioni future. L’aspetto più importante per la parte armena è il diritto del popolo dell’Artsakh a vivere in sicurezza nella propria terra storica. Nelle attuali condizioni di minaccia esistenziale per il popolo dell’Artsakh, l’unico modo per esercitare questo diritto è il riconoscimento dell’indipendenza dell’Artsakh».
Signora ambasciatrice, qualcuno ha scritto che non esistono due popoli sul pianeta che si odino più di quanto gli azeri e gli armeni si odino fra loro e che era stata un’illusione quella della convivenza pacifica dei tempi sovietici: è vero secondo lei?
«L’Azerbaijan, a livello statale, conduce una propaganda armenofoba, cioè di incitamento all’odio verso gli armeni. L’odio non scorre nelle vene di una persona, l’odio nasce e viene inculcato con la propaganda. Da questo punto di vista, io farei una distinzione tra il popolo dell’Azerbaijan e la sua leadership. Perché il popolo azero è vittima della leadership del Paese, che non ama i suoi cittadini esattamente come non ama gli armeni, altrimenti avrebbe dimostrato almeno un minimo di rispetto per i caduti, per i prigionieri e per i feriti azerbaijani. La guerra scatenata dall’Azerbaijan un mese fa ha allontanato, dal punto di vista temporale, la possibilità di una pacifica convivenza tra gli armeni e gli azeri. Mi stupisco di come il leader azerbaijano possa pensare solo ai suoi interessi personali senza preoccuparsi delle generazioni future. Dopo tutto, una volta risolto il conflitto, i nostri popoli dovranno superare l’atmosfera di odio seminata per decenni. E riuscire a convivere in pace».