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Argentina: un anno di Milei presidente, tra successi macroeconomici e povertà in aumento

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Il 10 dicembre 2023, esattamente un anno fa, entrava in carica il 13esimo presidente argentino dagli anni ’80, dopo la re-democratizzazione del Paese sudamericano che un tempo era la locomotiva del Sudamerica e aveva indicatori economici da Europa: il turbo-liberista Javier Milei, 54 anni, ha fatto saltare il banco e ha sconfitto il peronismo da outsider, incassando il 55% dei consensi al ballottaggio. Un anno dopo, quale è il bilancio di questo traumatico esperimento? Milei si è presentato al grido di “Viva la Libertad, carajo!” ed è noto per essere l’uomo della “motosega”, ovvero dei drastici tagli alla spesa pubblica e delle privatizzazioni a tutto spiano. Le promesse, seppur tra polemiche e aggiustamenti, sono state in linea di massima mantenute e l’Argentina in 12 mesi ha effettivamente cambiato rotta, per lo meno sul fronte del risanamento dei conti pubblici e degli indicatori macroeconomici: l’inflazione, il dato che vedeva ormai proverbialmente Buenos Aires fanalino di coda a livello mondiale, è stata ridotta dal 25% mensile di gennaio al 2,7% di ottobre, ultimo dato disponibile. L’aumento del debito pubblico, che nel terzo trimestre aveva raggiunto il 158% del Pil, è stato ridotto tagliando del 30% la spesa pubblica, il che ha portato inoltre l’Argentina a registrare a gennaio di quest’anno il primo avanzo primario dal 2012, con il miglioramento dei conti che è poi proseguito per nove mesi consecutivi, fino ad ottobre.

Argentina: con Milei la Borsa vola e la fiducia internazionale cresce

Questi risultati hanno convinto la comunità finanziaria, tanto da incassare persino l’approvazione dell’Economist, per non parlare della Borsa, con l’indice S&P Merval di Buenos Aires che non ha fatto altro che crescere negli ultimi 12 mesi, più che raddoppiando il proprio valore e stabilendo il record storico a fine novembre. Le politiche liberiste di Milei hanno giovato soprattutto alle grandi imprese, in particolare bancarie ed energetiche: alcune banche hanno registrato un rally sotto la sua presidenza del 300%. Non solo: a Wall Street, il Global X Msci Argentina Etf, ossia lo strumento finanziario che consente di “scommettere” sull’Argentina, ha superato a fine novembre i 750 milioni di dollari raccolti, crescendo di ben più di 600 milioni rispetto ai 104 milioni incassati fino al momento in cui Milei è entrato nella Casa Rosada. La svolta è stata apprezzata dallo stesso Fondo Monetario Internazionale, che vanta nei confronti dell’Argentina un maxi credito da oltre 40 miliardi di dollari ma che a giugno ha riconosciuto al Paese sudamericano uno “sconto” sulla restituzione di 800 milioni di dollari. Lo stesso Fmi ha confermato le previsioni negative del Pil argentino per il 2024 (-3,5%), ma in compenso pronostica un rimbalzo del 5% per il prossimo anno, con l’inflazione su base annua che scenderà al 62,7%, rispetto all’attuale 230%. Morgan Stanley ha definito i progressi di Buenos Aires “straordinari”, mentre secondo Jp Morgan l’indice di rischio del Paese è crollato dal record di 2.102 all’inizio della presidenza Milei ai soli 720 punti dello scorso novembre.

Il prezzo del turbo-liberismo: privatizzazioni record, ma povertà e disuguaglianze in aumento

L’altro grande cavallo di battaglia del nuovo corso argentino erano le privatizzazioni, o per lo meno la chiusura dei rubinetti per le grandi aziende statali, costrette a tagli e licenziamenti. Ad ottobre 2024, ultimo dato disponibile, l’erogazione di fondi dallo Stato alle imprese pubbliche è diminuito del 67%, mentre nel novembre 2023, prima dell’elezione di Milei, era aumentata del 129%. Tuttavia, questi traguardi hanno un alto prezzo sociale. Sebbene la popolarità di Milei sia ancora alta, i suoi metodi poco diplomatici stanno mettendo in difficoltà larga parte della popolazione: l’inflazione, infatti, è scesa anche grazie ad una maxi svalutazione del peso, il che ha reso praticamente impossibile comprare dollari per le fasce più povere, che hanno visto aumentare il costo della vita, in particolare dei beni alimentari e di prima necessità. Il nuovo presidente inoltre ha completamente tagliato i sussidi sociali, ad incominciare dagli aiuti per le bollette di luce e gas e dal trasporto pubblico gratuito, e non ha adeguato a sufficienza il salario minimo e le pensioni. Il tasso di povertà ha così raggiunto il picco dal 2004: oggi il 53% degli argentini vive sotto la soglia della povertà, secondo i dati Indec, e il 18% è addirittura in una condizione di povertà estrema, con difficoltà ad alimentarsi. Nella fascia di età tra 0 e 14 anni, il tasso di povertà è del 66%. Il mercato del lavoro e degli affitti è stato del tutto liberalizzato, tra le proteste dei sindacati e con i tribunali che hanno provato ad arginare il maxi decreto Omnibus, che alla fine seppur ridimensionato è passato. In risposta a questi problemi, il presidente scommette tutto sull’attrattività del Paese per gli investitori stranieri, in modo da rilanciare l’economia e creare posti di lavoro. L’Argentina potrebbe tornare interessante pure per le imprese italiane, come Enel che aveva già deciso di uscire ma che dovrebbe ripensarci e investire nel Paese.

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