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Argentina, scoppia la crisi della carne: consumi ai minimi da un secolo

La carne bovina, che nel Paese sudamericano è religione, con la “cura Milei” è diventata un bene di lusso. E nemmeno l’export ne sta beneficiando, dato che la produzione nel 2024 è in calo dell’8%

Argentina, scoppia la crisi della carne: consumi ai minimi da un secolo

“Siamo il Paese della carne bovina, e ci stiamo riducendo a mangiare pollo”. Anche questo è un problema in Argentina, il Paese famoso in tutto il mondo per la qualità e l’abbondanza della sua produzione di carne e per la tradizione degli asados, le grigliate di manzo alle quali gli argentini proprio non intendono rinunciare, essendo tra i maggiori consumatori al mondo con una media storica di oltre 70 kg di carne rossa a persona ogni anno. Sarebbe come se noi italiani dovessimo di colpo rinunciare alla pasta, o alla pizza, o a scegliete voi cosa. Quest’anno però, a causa della terapia choc del nuovo presidente Javier Milei che sta ribaltando l’economia con notevole impatto sul costo della vita, anche questa certezza inossidabile sta venendo meno: secondo i dati della Bolsa de Comércio di Rosário, il consumo pro capite di carne rossa quasi si dimezzerà da 73 a 44,8 kg, il dato più basso da un secolo, scendendo praticamente ai livelli del pollo, il cui consumo nel 2024 è stimato a 44,3 kg. Un declassamento inaccettabile per la cultura gastronomica argentina (e in generale sudamericana), essendo pollo e maiale considerati scelte di serie B.

Meno carne consumata, la colpa è dell’inflazione

Questo determinerà, sempre secondo la Bolsa de Comércio di Rosário, un calo del consumo di carne in generale, da quasi 113 kg a 105,7 kg per persona all’anno. Il motivo è presto detto: l’inflazione, che seppur in fase di decelerazione ha ancora sfiorato il 290% su base annua a maggio, sta colpendo soprattutto i beni considerati di prima necessità, come appunto la carne, il latte, la benzina, o anche l’erba mate, l’infuso che rappresenta un altro rito irrinunciabile per gli argentini. Ciò sta facendo della carne bovina un bene praticamente di lusso, al punto che 1 chilogrammo di manzo può costare fino a 6.000 pesos, più del doppio di un chilogrammo di pollo o di maiale, in un Paese dove il salario minimo è stato da poco aumentato a 200.000 pesos, con circa metà della popolazione (cioè almeno 20 milioni di persone) che vive in condizioni di povertà, e dove sono stati tagliati tutti i sussidi sociali, dagli aiuti per le bollette di luce e gas – che da sole valgono quasi 30.000 pesos al mese – al trasporto pubblico gratuito per i meno abbienti. Sempre secondo la Bolsa de Comércio di Rosário, la carne bovina è diventata così cara che è scesa al 42% del consumo totale di carne, un dato fino a qualche anno fa impensabile, subendo l’aggancio del pollo e con il maiale che sale al 16%. Come nota di colore, per dare un’idea dei prezzi fuori controllo, vale la pena far notare ad esempio che un chilogrammo di pollo costa oggi in Argentina meno di un cappuccino, per dire.

La crisi dell’asado colpisce l’economia

La crisi dell’asado impatta non solo sui palati e sulla corretta alimentazione dei cittadini, ma anche sull’economia. Punto di forza dell’export argentino insieme ad altre commodities agricole come la soia – e Buenos Aires ha bisogno come il pane di vendere all’estero, per rinforzare le sue riserve di dollari -, la carne bovina ha registrato da gennaio a maggio un aumento del 10% del volume esportato rispetto allo stesso periodo del 2023, però in termini di valore i ricavi sono invece diminuiti dell’1%, anche perché nel periodo considerato la produzione è calata dell’8% a 1,26 milioni di tonnellate. Storicamente, l’85% della carne bovina prodotta veniva consumata internamente: nel 2023 il dato era già sceso al 75%, nei primi mesi di quest’anno siamo addirittura al 69%.

Il tutto mentre prosegue a spron battuto la rivoluzione liberista di Milei, con la maxi riforma “omnibus” appena approvata che prevede tagli draconiani alla spesa pubblica, privatizzazioni (quasi) selvagge e sempre meno protezioni per i lavoratori e per le classi più fragili. Al momento questo sta dando frutti sugli indici macroeconomici e finanziari (anche se il Pil argentino nel primo semestre ha perso oltre il 5%), ma il piatto – di carne – piange.

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