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Argentina, la ricetta Milei sul dollaro non piace agli imprenditori. Ma può vincere già al primo turno

Reuters

Promette, nel caso venisse eletto, di uscire dagli Accordi sul clima di Parigi, di uscire dai Brics (nei quali l’Argentina è appena entrata a far parte), di uscire dal Mercosur e soprattutto di dire addio al peso, alla Banca centrale, per dollarizzare definitivamente e totalmente l’economia del suo Paese. Sulla base di queste promesse, l’outsider ma ormai favorito Javier Milei rischia persino di essere eletto presidente dell’Argentina già al primo turno, il prossimo 22 ottobre. Ma questa ricetta così brusca, di rottura col passato e con la comunità internazionale (Usa a parte) è davvero ciò di cui ha bisogno la terza economia del Sudamerica? Ed è davvero quello che chiede il mondo imprenditoriale? A porsi la domanda è stata Reuters, che in un sondaggio condotto presso 125 grandi imprenditori argentini, ha rilevato che in realtà l’ambiente corporate è assolutamente contrario a questa soluzione estrema: solo due leader della comunità industriale hanno appoggiato la dollarizzazione totale voluta dal candidato “anarco-capitalista” Milei.

Fuori controllo il cambio peso-dollaro

Nel frattempo, con l’avvicinarsi di una delle tornate elettorali più importanti della storia dell’America Latina, il cambio peso-dollaro continua a battere record su record: all’inizio di questa settimana un dollaro, sul mercato ufficiale, si comprava con oltre 350 pesos, mentre sul mercato parallelo il cosiddetto “dolar blue” vale ormai oltre 1.000 pesos. Una situazione sempre più fuori controllo, che però una parte consistente degli imprenditori vorrebbe ancora provare a gestire: un terzo di quelli intervistati da Reuters è a favore del mantenimento del peso, nonostante la sua caduta a picco e l’inflazione ormai a tripla cifra in Argentina. La maggioranza, circa due terzi, è invece a favore di una formula più moderata, ossia un sistema bimonetario come è più o meno già adesso. Questa è la soluzione proposta da Patricia Bullrich, la candidata del partito dell’ex presidente Mauricio Macri, che rappresenta il centrodestra liberale. La Bullrich è però parecchio indietro nei sondaggi: viene data al terzo posto, quindi fuori dall’eventuale ballottaggio (Milei può passare al primo turno se raggiunge il 45% oppure il 40% ma staccando di almeno 10 punti il secondo), con il 23-25% delle preferenze.

Sfida elettorale tra Milei e Massa

La sfida dovrebbe invece essere tra il sovranista che ricorda Trump e Bolsonaro, dato in testa con il 35-36% da un recente sondaggio di El Pais, e il ministro dell’Economia uscente, il candidato peronista Sergio Massa, che sta trattando senza sosta col Fondo Monetario Internazionale per negoziare nuovi aiuti e tenere a galla il proprio Paese, ma che al momento insegue col 28-30% delle intenzioni di voto. Per ora il mondo economico e finanziario non si è schierato nettamente: il lavoro di Massa negli ultimi mesi è stato molto market-friendly, all’insegna dell’austerità e della priorità assoluta data al pagamento del debito con il Fmi, ma pure il falco Milei non dispiace e la sua ascesa ha favorito una spirale speculativa alla Borsa di Buenos Aires, anche se solo il 7% del market sostiene apertamente Milei.

La maggior parte degli intervistati da Reuters “tifa” in verità per Patricia Bullrich e vorrebbe comunque una soluzione graduale, per “mantenere flessibilità e competitività, ed evitare di ripetere le esperienze infelici di altri Paesi latinoamericani che hanno economie totalmente dollarizzate, come Ecuador o El Salvador”, riporta l’agenzia statunitense. Ma quanto può incidere l’opinione delle elite, in un Paese che ha un tasso di povertà oltre il 40%?

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