Carne, latte, gas e persino l’immancabile mate, la bevanda preferita degli argentini. Sono queste le quattro spine nel fianco del presidente Javier Milei al giro di boa del primo semestre alla guida dell’Argentina e della sua disastrata economia. Proprio mentre alcuni indicatori iniziavano a dare ragione alla cura della “motosega”, ossia la terapia da lacrime e sangue proposta dal nuovo inquilino della Casa Rosada, sono tornate le grane. O forse non era vero che i problemi si stessero risolvendo in così poco tempo, come è arrivata a sostenere persino parte della stampa occidentale nel dare giudizi sempre meno negativi su Milei, forse abbagliata da un’inflazione che su base annua è ancora allarmante (290%) ma che su base mensile sta visibilmente rallentando (8,8% ad aprile dopo l’11% di marzo), o dal primo avanzo primario dal 2008 registrato nel primo trimestre. Questi traguardi stanno però presentando il conto sul potere d’acquisto e dunque sui consumi e dunque sulla qualità della vita. Tanto per cominciare il dollaro blue, quello venduto sul mercato parallelo, ha raggiunto pochi giorni fa il record di sempre a 1.300 pesos, e anche sul cambio ufficiale l’iper svalutazione voluta da Milei ha costretto l’Argentina ad emettere una nuova banconota addirittura da 10.000 pesos, che vale poco più di 10 euro.
Austerity in Argentina: benefici per i conti pubblici, ma a costo della crescita
Non solo. Se è vero che l’austerity sta dando respiro ai conti pubblici e restituendo una certa affidabilità del Paese sui mercati finanziari, è altresì provato che per lo meno nell’immediato incide pesantemente sulle prospettive di crescita e dunque di effettiva ripresa dell’Argentina. Ne ha dovuto prendere atto persino il Fondo Monetario Internazionale, che pure ha pubblicamente elogiato il nuovo governo dopo i tagli alla spesa pubblica e concesso nuovi finanziamenti, ma che non ha potuto confermare le iniziali previsioni di Pil al +2,8% nel 2024, girandole in negativo: quest’anno l’Argentina chiuderà in recessione col -2,8%, per poi risalire del +5% nel 2025. Ma soprattutto, la cura Milei sta incidendo pesantemente sul potere d’acquisto e sulle condizioni delle classi più povere, che nel Paese sudamericano rappresentano praticamente la metà della popolazione. Proprio in questi giorni è scoppiata la crisi del gas: non solo i prezzi sono aumentati dopo il taglio dei sussidi statali per le bollette, ma l’eccesso di domanda (in Argentina è inverno e solo la domanda domestica è esplosa da 45 a 70 milioni di metri cubi) ha costretto la TGN – Transportadora Gas del Norte – a razionare la distribuzione di gas, privilegiando abitazioni, ospedali e commercio e tagliando i rifornimenti alla grande industria e ai distributori di carburante.
Inflazione in calo, ma crollano i consumi e manca il gas
Una situazione di totale emergenza, una “tempesta perfetta” secondo gli analisti del settore, anche se Milei giura che la situazione sta tornando alla normalità, grazie però all’aiuto del vicino Brasile dell’avversario Lula: mercoledì scorso Petrobras ha mandato una nave cargo contenente 44 mila metri cubi di GNL, che dovrebbero bastare per compensare la scarsità di offerta almeno fino a questo fine settimana, poi arriverà altro gas – già programmato – da altri Paesi. Non è questa però l’unica preoccupazione degli argentini: mentre il loro presidente esulta per i primi timidi risultati delle sue ricette choc, ora applaudite anche da parte della comunità internazionale, nonostante il calo dell’inflazione la vita quotidiana non sta migliorando. Anzi, l’iper svalutazione del peso, il dollaro al record di sempre e il taglio ai sussidi pubblici stanno costringendo milioni di cittadini ad arrangiarsi, rinunciando a beni di consumo anche di prima necessità in particolare in un Paese come l’Argentina, come la carne, il latte e il mate. Secondo alcuni dati, il potere d’acquisto del salario minimo è diminuito del 34% da quando Milei si è insediato e i consumi di massa si sono ridotti del 19%. Gli acquisti di carne, l’alimento più comune nella dieta degli argentini, sono caduti del 18% nel primo trimestre di quest’anno secondo Ciccra (la Camera di commercio locale): rispetto a un anno fa un argentino è passato dal consumare 50,5 kg di carne l’anno a 42,6 kg.
Export in crescita, ma a che prezzo?
Forse questo calo rientrava a sua volta nei piani di Milei, visto che il crollo del consumo interno ha favorito le esportazioni, salite in questo periodo al 30% della produzione totale di carne, di cui l’80% con destinazione Cina. Discorso analogo per il latte, il cui prezzo tra dicembre e marzo è aumentato del 123% (ma del 300% su base annua, il valore più alto tra tutti i beni considerati nel paniere dell’inflazione), costringendo sempre più persone a rinunciarvi e determinando una diminuzione dei consumi del 18,7%. Anche in questo caso ne hanno beneficiato le esportazioni, cresciute nel trimestre del 6,4%. Infine la yerba mate, l’erba con cui si fa il famoso infuso al quale gli argentini difficilmente rinunciano, tanto è vero che nonostante l’aumento del prezzo gli acquisti sono calati solo del 9% nel trimestre. Secondo molti esperti, questo dato è più di altri indicativo delle difficoltà che stanno attraversando le classi meno abbienti, che in Argentina non sono una minoranza, anzi: solo nel primo trimestre di quest’anno, secondo uno studio dell’Universidad Di Tella, altre 3 milioni di persone sono finite sotto la soglia della povertà.