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Argentina, i produttori di soia rovinano i piani di Milei: ecco perché

Braccio di ferro tra governo argentino e esportatori agricoli, che vorrebbero aspettare che i prezzi della soia risalgano per vendere un raccolto già magro, il che sta impedendo l’ingresso di dollari nel Paese e rallentando i piani del presidente Milei

Argentina, i produttori di soia rovinano i piani di Milei: ecco perché

In queste settimane sta accadendo che i produttori di soia, di cui l’Argentina è uno dei maggiori produttori mondiali e che rappresenta metà dell’export del Paese, stiano temporeggiando sulla vendita del raccolto, il che sta alimentando l’incubo di Milei e cioè la scarsa disponibilità di dollari, che danno respiro all’economia ed arrivano a Buenos Aires quasi solo attraverso le vendite di commodities agricole all’estero.

Raccolto magrissimo insieme a prezzi in continuo calo

I motivi di questa mossa sono vari: intanto, il raccolto finora è stato magrissimo. A causa dei cambiamenti climatici il 2024 sta andando persino peggio dell’anno scorso, che era stato uno dei peggiori della storia. Fino a maggio, gli agricoltori avevano raccolto solo il 60% dei campi di soia e questo ha fatto sì che l’ingresso di dollari dalla vendita di grani e cereali sia crollato del 38% rispetto allo stesso periodo del 2023, stando ai dati di Ciara-CEC.

Non solo: i prezzi della soia sul mercato sono in costante calo dall’inizio dell’anno, al punto che i produttori argentini sono arrivati ad essere pagati in questi mesi non più di 270 dollari a tonnellata. E’ intuitivo dunque che vendere adesso non sia così conveniente, meglio aspettare che i prezzi risalgano anche perché se si vendesse tutto in una volta e poi si verificasse una ulteriore svalutazione del peso, come scommettono gli agricoltori, si perderebbero parecchi soldi. Dall’altro lato, se ora ci dovesse essere davvero carenza di dollari il cambio andrebbe ancora di più fuori controllo: già oggi sul mercato parallelo la valuta statunitense ha ampiamente superato la soglia dei 1.000 pesos, con una differenza tra cambio ufficiale e “blue” del 40%.

Il Fmi vorrebbe eliminare entro giugno il “dollaro delle esportazioni”

Questo braccio di ferro tra mondo agricolo e governo è peraltro un classico, con i primi che pensano al modo migliore di gestire i loro affari e il secondo che spinge per liquidare i dollari incassati dalle esportazioni, in modo da rimpolpare le riserve presso la Banca centrale. In tutto questo, in un rapporto pubblicato lunedì 17 giugno il Fondo monetario internazionale ha chiesto al governo Milei di eliminare il cosiddetto “dollaro delle esportazioni” (il blend) entro la fine di giugno. Attraverso questo tipo di dollari, gli esportatori oggi possono ricevere fino all’80% delle esportazioni in dollari ufficiali e il 20% in dollari CCL, la tipologia più vantaggiosa e una delle più utilizzate nelle operazioni sui mercati finanziari. La squadra del ministro dell’Economia Luis Caputo esclude al momento qualsiasi cambiamento in tal senso, mentre il vulcanico presidente Milei, che in campagna elettorale diceva di voler dollarizzare interamente l’economia argentina, abolendo la Banca centrale, oggi si limita ad assicurare che la fine delle restrizioni sull’acquisto di dollari “si avvicina ogni giorno di più”.

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