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Argentina, ecco la nuova trovata anti-crisi: il “dollaro supermercato”

FIRSTonline

Dopo quello ufficiale, quello parallelo – il famoso “blue” – e i tanti altri cambi peso-dollaro creati negli ultimi anni per dribblare un’inflazione senza precedenti (da ricordare anche quello usato nei viaggi all’estero e chiamato “Qatar” in onore della sede del Mondiale di calcio vinto e che vide un’invasione di argentini nel Paese arabo), l’Argentina ne tira fuori un altro: il “dollaro supermercato”.

Argentina: il nuovo “dollaro supermercato”

Per la precisione, la nuova valuta informale dovrebbe chiamarsi Diarco, dal nome della catena di grande distribuzione che l’ha lanciata: per invogliare i cittadini a fare la spesa in un momento di grande crisi dei consumi a causa delle misure draconiane del nuovo presidente Javier Milei, la rete di supermercati ha deciso di accettare anche banconote statunitensi vecchie, di piccolo taglio e persino rovinate, a patto che per lo meno metà del pezzo di carta sia rimasta intatta. E soprattutto, ha ideato l’ennesimo cambio parallelo: per gli acquisti viene comunicato ogni giorno il valore del peso rispetto al dollaro, con cartelli all’ingresso dei punti vendita e persino aggiornando il sito Internet. Valore più conveniente rispetto sia al cambio ufficiale, che ha ormai abbondantemente sfondato la soglia dei 1.000 pesos per un dollaro, che del “blue”, che è in zona 900.

Argentina: Pil in calo del 5,1% e inflazione +80% nel primo semestre

Questa è soltanto l’ultima trovata per venire a capo di una fase di impasse sociale ed economica che l’Argentina non conosceva da decenni. Sebbene infatti la “cura della motosega”, ovvero dei tagli alla spesa pubblica e delle politiche ultra-liberiste di Milei, stia dando i primi frutti a livello di indicatori macroeconomici, la realtà quotidiana degli argentini è ancora quella di una crisi profonda, iniziata negli anni ’90 del secolo scorso, mai del tutto risolta e di nuovo precipitata sotto la presidenza del peronista Alberto Fernandez, oggi pure indagato per violenze sulla ex moglie. L’Argentina è in recessione tecnica, avendo chiuso il primo semestre dell’anno col Pil in calo del 5,1%, e benché il nuovo governo stia riuscendo a far rallentare la spirale inflazionistica – dal 25% di dicembre ad appena il 4,6% a giugno, ma ancora il 271,5% su base annua – ciò non sta producendo gli effetti desiderati sull’economia reale e in particolare sui consumi, che a luglio sono ancora crollati del 16% rispetto allo stesso mese del 2023. Questo perché, nonostante un’inflazione che decelera, i salari non compensano: a giugno hanno finalmente avuto la meglio sui prezzi, crescendo del 6,2%, ma il salario minimo da quando Milei è presidente è salito solo del 62% a 262.000 pesos, contro un’inflazione che da gennaio a giugno ha registrato +80%.

Licenziati 177mila impiegati pubblici

Inoltre, nell’ottica del “sacrificio necessario” imposto ai cittadini per raddrizzare un’economia disastrata a colpi di tagli e di privatizzazioni, il nuovo inquilino della Casa Rosada ha disposto il licenziamento di 177.000 impiegati pubblici, provocando un aumento del tasso di disoccupazione dal 5,7% al 7,7%, in particolare per via del crollo del settore delle costruzioni, che in un anno è caduto del 35%. In tutto questo va anche ricordato che quasi il 50% degli argentini svolgono un lavoro informale e precario e che secondo alcuni dati oltre metà della popolazione vive oggi sotto la soglia di povertà, vale a dire più di 25 milioni di persone. Un dato degno del Venezuela di Nicolas Maduro, e che è dovuto anche alla spietata abolizione dei sussidi pubblici, in particolare quelli per i trasporti e per le bollette di luce e gas, che permettevano a milioni di famiglie povere di rimanere in qualche modo a galla. In questo scenario è facile immaginare che una effettiva ripresa della vita economica e dei consumi sia ancora lontana, e che il Paese sudamericano stia oggi come mai vivendo di espedienti. Incassando però l’approvazione del mercato. Milei infatti ha ottenuto a gennaio il primo avanzo primario dal 2008 (cioè le entrate dello Stato hanno superato i costi), e la politica restrittiva sulle importazioni ha spinto in positivo la bilancia commerciale, favorendo il fondamentale ingresso di liquidità in dollari nel Paese.

Oggi le riserve internazionali dell’Argentina, decisive per garantire il suo spaventoso debito pubblico e per generare fiducia presso gli investitori esteri, sono aumentate da 21 a quasi 30 miliardi di dollari. Un valore ancora insufficiente, secondo il Fondo Monetario Internazionale che ne pretenderebbe circa il doppio, 62 miliardi, a copertura degli oltre 40 miliardi di finanziamenti versati a Buenos Aires proprio dall’istituto con sede a Washington. Per premiare gli sforzi del nuovo governo per riportare l’Argentina nei parametri del mercato globale, nello scorso febbraio l’Fmi ha concesso uno sconto sulla restituzione del debito di 4,7 miliardi. La strada è ancora lunga, ma la comunità finanziaria vede segnali positivi e infatti anche la Borsa di Buenos Aires è in rally da mesi. Molto più indietro però è rimasta, per ora, l’economia reale.

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