“Arancino “o “Arancina “? È l’eterna diatriba gastronomica siciliana. Non c’è fritto perfetto senza effetto “crunch“: una panatura croccante e dorata che incornicia un ripieno morbido e che si scioglie in bocca ad ogni singolo morso. Lo street food siciliano per eccellenza è a base di riso e viene declinato in tantissime versioni dal dolce al salato per soddisfare tutti i palati. Com’è nato l’arancino/a? Qual è il nome corretto di questo amatissimo street food: arancino o arancina? Questo è un dilemma che divide in due fazioni la popolazione siciliana. A Palermo, infatti, viene chiamato “arancina“ a ricordare la forma tonda dell’arancia, mentre a Catania “arancino“ a forma conica, quindi con un’estremità a punta, per richiamare alla memoria l’Etna. Da qui è nata una vera e propria diatriba gastronomica di un piatto siciliano, la cui forma ricorda l’arancio, frutto di cui è ricca l’isola. Chi può cercare di sciogliere l’enigma letterario è l’Accademia della Crusca. Ma scopriamo prima com’è nato l’arancinu siciliano.
Le origini dell’arancinu fatte risalire alla dominazione araba
Sembra che questo street food affondi le sue origini ai tempi della dominazione araba in Sicilia che si prolungò dal 9°-11° secolo. Gli arabi preparavano uno scrigno di riso rotondo allo zafferano con all’interno della carne d’agnello. Da qui i siciliani potrebbero aver tratto ispirazione per realizzare l’arancinu, che viene arricchito nel ripieno di riso e completato da una panatura croccante.
Nel “Liber de ferculis “di Giambonino da Cremona si legge che tutte le polpette di forma tonda, nel mondo arabo, prendevano il nome della frutta da cui più facilmente potevano essere paragonate per forma e dimensione. Nel caso dell’arancino era l’arancio, ma vi sono altri piatti che vengono paragonati per le stesse caratteristiche ai datteri o alle nocciole. A quando risalgono, però, le prime ricette dell’arancinu? In realtà non vi sono testi che affermino con certezza la prima ricetta e sembra che comunque non sia stata realizzata prima della seconda metà del 1800.
Nel dizionario siciliano-italiano di Giuseppe Biundi del 1857 si trova, per la prima volta, la definizione di “arancinu “: “una vivanda dolce di riso fatta alla forma di melarancia “. L’arancinu, inoltre, in origine era solo presente nella versione dolce, e non salata, ma spesso il passaggio da dolce a salato veniva fatto. Nel decennio successivo nel Nuovo Vocabolario siciliano-italiano di Traina (1868) dalla voce “arancinu “si viene reinviati a “crucchè “: “specie di polpettine gentili fatte o di riso o di patate o altro “. In queste prime definizioni ritrovate non vi sono accenni, però, dell’utilizzo del pomodoro e della carne che, ad oggi, si trovano nella ricetta originale. Non si ha certezza, inoltre, di quando questi due ingredienti siano stati inseriti nella preparazione. La cosa certa è che il pomodoro cominciò ad essere coltivato nel sud Italia all’inizio dell’Ottocento. Emerge da ciò che forse l’arancinu non ha molto a che fare con la tradizione araba. Sembra, infatti, più probabile che questo piatto sia nato nella seconda metà dell’Ottocento come dolce di riso e che, successivamente, abbia trovato una connotazione salata.
La panatura, dunque è stata aggiunta successivamente e ha permesso di trasformare questo piatto in uno street food ante litteram da passeggio. Sembra che questa idea sia venuta al sovrano svevo Federico II, molto ghiotto di arancinu, che non voleva rinunciarvi nemmeno durante le sue lunghe battute di caccia lontano dal castello. La panatura permetteva di non avere problemi di conservazione nei giorni successivi.
L’arancinu è quindi maschio o femmina? Una questione irrisolta dall’Accademia della Crusca
Alla diatriba gastronomica sul nome corretto dell’arancinu che va avanti ormai da secoli ha cercato di rispondere l’Accademia della Crusca, massima istituzione linguistica nella nostra penisola. La diatriba gastronomica su questo nome non viene però completamente risolta a causa delle poche ed incerte fonti letterarie presenti. L’Accademia ha decretato la correttezza di entrambi i termini. “Arancino “: tenendo conto che le prime radici del termine sono maschili, risalgono al 1857 e sono presenti per la prima volta in un dizionario siciliano-italiano. Al tempo stesso anche “arancina “è un termine corretto, perché il timballo di riso richiama alla mente, per la sua forma, l’arancia e quindi si può ritenere corretta anche la versione femminile del termine. Insomma, la diatriba gastronomica è ancora in studio e non si sa se ne verrà mai a capo di questo antico dilemma.
Le ricette infinite: oltre alle classiche bianche e al ragù se ne contano anche al pistacchio, al cioccolato e all’amarena
Non importa che venga chiamato “arancino “ o “arancina “, questo piatto non ha bisogno di molte presentazioni, perché è tra gli street food più famosi d’Italia e, soprattutto, della Sicilia. Queste enormi “palle di riso “vengono presentate con una forma rotondeggiante o conica e con diversi tipi di ripieni, da salati a dolci. Vengono realizzati sia rossi, a base di pomodoro, che bianchi. La versione più semplice è quella bianca al burro. Tra le versioni più corpose ci sono gli arancini a base di ragù con piselli e carote o ragù e mozzarella o besciamella e prosciutto. Esistono rivisitazioni più creative di questo street food che prevedono, oltre al ripieno a base di riso anche l’utilizzo di pistacchio siciliano, funghi, salsiccia, salmone, pesce spada, frutti di mare, pesto, nero di seppia e gamberetti. Ampio spazio dunque alla creatività, anche nella versione dolce a base di cacao, crema gianduia (soprattutto a Palermo), cioccolato siciliano e amarena. Per distinguere i vari gusti si possono variare le forme degli arancini.
In conclusione, riportiamo di seguito la ricetta che Pellegrino Artusi scrittore critico letterario e gastronomo inserì nel suo monumentale libro “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” pubblicato nel 1891, primo testo a raccontare la cucina nazionale raccogliendo le tante tradizioni locali edito da oltre 100 anni e tradotto in diverse lingue. La ricetta antesignana degli arancini e delle arancine non li vede ma figurano come “crocchette di riso “.
La ricetta delle “Crocchette di riso semplice “di Pellegrino Artusi
Ingredienti:
– latte, mezzo litro
– riso, grammi 100
– burro, grammi 20
– parmigiano grattato, grammi 20
– uova, n.2
Procedimento:
Cuocete molto sodo il riso nel latte, e a mezza cottura aggiungere il burro e salatelo. Levatelo dal fuoco, versateci il parmigiano e così a bollore scocciateci dentro un uovo mescolando subito per incorporarlo.
Quando sarà ben diaccio prendetelo su a cucchiaiate ed involtatelo nel pangrattato dandogli forma cilindrica; con questa dose otterrete dodici crocchette. Frullate l’uovo rimasto, gettateci dentro le crocchette a una a una, involtatele di nuovo nel pangrattato e friggetele.
Si possono servire sole, ma meglio accompagnate con altra qualità di fritto.