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Apple, sulla privacy non si scherza: in crisi la tregua con Facebook

Pixabay

Una bomba è caduta sulla fragile tregua tra Apple e Facebook. L’ordigno si chiama App Tracking Transparency (ATT) che permette all’utente dell’iPhone di negare il suo tracciamento durante l’utilizzo di un’app. Ci siamo già occupati delle caratteristiche di questa nuova funzione del sistema operativo Apple (iOS) per dispositivi mobili e delle sue conseguenze su un certo modo di condurre gli affari online.

La Apple ha presentato l’ATT come il trionfo per la privacy. Ma per Facebook non è così felice. In realtà è un siluro alla sala macchine del suo sistema economico, cioè quello della raccolta dei dati personali degli utenti tramite applicazioni di terze parti.

Ci sono stati degli sviluppi importanti e anche sorprendenti.

In un recente intervento sul podcast “The Daily”, Mike Isaac, il technology correspondent del “New York Times” dalla Silicon Valley, ha sollevato il quesito centrale di questa disputa: “Alla gente interessa davvero la privacy?” La risposta è importante per il futuro di questa industria e ridefinirà i rapporti di potere tra le Big Tech in un mercato che resterà ipercompetitivo e non regolato.

Il 94% sceglie la privacy

Man mano che gli utenti di iPhone hanno iniziato ad utilizzare l’ATT, con enorme sorpresa di molti si è appreso che c’è un fortissimo “desire for privacy” per usare le parole di un editoriale del “New York Times” a firma di Greg Besinger. Lo stesso Besigner definisce questa desiderio come “Shocking!”.

Ed ecco in cosa consiste l’aspetto scioccante per moltissimi osservatori. Consiste nel fatto che solo il 6 per cento degli utenti americani dell’iPhone ha scelto l’opzione che permette ad aziende come Facebook, e ai suoi molti imitatori, di raccogliere dati su di loro e venderli agli inserzionisti. La cifra sale al 15% a livello globale. Si tratta di possessori iPhone, quindi di utenti di un certo tipo e sicuramente una minoranza rispetto ai possessori di smartphone.

È noto che Facebook traccia ogni minimo movimento online degli utenti con lo scopo di offrire agli inserzionisti informazioni personali altamente dettagliate che i media center acquistano a un prezzo più alto per costruire una pubblicità mirata. La partita economica si gioca tutta qui.

Viene anche da chiedersi che cosa ne guadagnano gli utenti dal loro tracciamento: niente, a parte la certezza di poter continuare ad usare gratuitamente i servizi che propongono il modello zero euro vs dati.

Un scambio ineguale? Pe gli utenti dell’iPhone sì. Si tratta di un bel segnale per chi ha a cuore la privacy e anche il futuro delle nostre comunità.

Interviene Shoshana Zuboff

Soprattutto per la prima volta si è avuta una chiara manifestazione del pensiero della gente, intesa come massa di utilizzatori di un servizio tecnologico. Questo pensiero è che i dati hanno un valore. Shoshana Zuboff, la studiosa di Harvard della nuova economia, lo predica da tempo.

Shoshana Zuboff è autrice di un libro molto importante e presentissimo nel dibattito su questi argomenti, L’età del capitalismo della sorveglianza, pubblicato in Italia dalla Luiss. Ci siamo già occupati dell’autrice e del libro e quindi si rimanda a quel contributo.

Pochi giorni fa sul “New York Times” la Zuboff, proprio dopo il rilascio dell’App Tracking Trasparency, ha dato una intervista a Lauren Jackson, editor del postcast “The Daily”. Di questa conversazione vi riportiamo di seguito ampi stralci.

Ciò che fa e non l’App Tracking Transparency

Lauren Jackson: Nel suo libro, lei descrive i dati personali come la fonte economica primaria delle piattaforme come Facebook che monetizzano i dettagli più riposti delle nostre vite digitali. Quanto è significativa l’azione di Apple nel limitare questo potere?

Shoshana Zuboff: “È significativa. Ma quello che penso è che molte persone che leggono i titoli dei giornali forse non capiscono che cosa fa davvero l’App Tracking Transparency sul loro iPhone. Quello che fa è limitare il tracciamento attuato da applicazioni come Facebook attraverso il veicolo di applicazioni di terze parti. Quello che, invece, non fa l’App Tracking Transparency è impedire il tracciamento diretto di una applicazione come Facebook, che è la grande balena in questa discussione. Si tratta di un enorme impero della sorveglianza che vale centinaia e centinaia di miliardi di dollari. Ma noi lo chiamiamo semplicemente un’app. E l’App Tracking non ha alcuna potere sulla capacità di Facebook, o di qualsiasi altra applicazione, di continuare a tracciare gli utenti, raccogliendo ogni aspetto del loro comportamento, delle loro attività, dei loro pensieri e dei loro sentimenti. Quindi, sì, si tratta di un grande passo avanti rispetto alla situazione attuale, specialmente perché va a limitare l’abilità di un’app di mettere le mani sulla ricca miniera di dati dei suoi utilizzatori. Limita, cioè, la sua capacità di convertire illegittimamente le nostre vite in dati, che poi dichiara di sua esclusiva proprietà”.

Pensa che questo sia un punto di svolta?

“È presto per dirlo. Penso che questo spinga Apple verso un bivio, cioè in direzione di un nuovo livello di intensità nell’azione tesa a salvaguardare i suoi clienti”.

La distruzione della privacy

Perché è importante discutere se queste grandi aziende tecnologiche abbiano il diritto di estrarre dati personali per profitto?

“Quando permettiamo a queste aziende di accumulare una tale enorme quantità di dati generati dalle persone, vuol dire che stiamo cambiando la natura della nostra società. Perché, prima di tutto, stiamo permettendogli di generare queste enormi asimmetrie di conoscenza. Invece di essere entrati nell’epoca d’oro della democratizzazione della conoscenza, questa epoca si è trasformata in qualcosa di molto diverso da quello a cui miravamo. Negli ultimi 20 anni abbiamo visto, specialmente nell’ultimo decennio, la distruzione della privacy. E di fatto, quello che è successo è che siamo arrivati a un punto in cui le grandi aziende tecnologiche sanno così tanto di noi da creare qualsiasi meccanismo di targeting. Non stiamo parlando solo di annunci pubblicitari mirati. Stiamo parlando di stimoli subliminali, microtargeting psicologico, premi e punizioni in tempo reale, strumenti di raccomandazione algoritmici e dinamiche ingegnerizzate di controllo sociale. Abbiamo visto il flagello della disinformazione avvenuto sui social media. Lo abbiamo visto dall’enorme numero di morti inutili per Covid a causa di campagne di disinformazione e lo abbiamo visto nel ruolo che i social media hanno giocato nel produrre la sedizione del 6 gennaio. È importante che la gente capisca che questi sono tutti punti collegati all’interno di uno schema. E lo schema si chiama conoscenza che diventa potere.

La Apple non è il governo

Apple oggi ha più di un miliardo di utenti attivi sull’iPhone. È preoccupata per il crescente controllo dell’azienda sui nostri mezzi di accesso all’informazione?

“La cosa mi preoccupa profondamente. Apple è la società più ricca e potente nella storia moderna, ma fors’anche nell’intera storia del capitalismo. E la Apple adesso esercita un controllo unilaterale, essenzialmente totale, sulle infrastrutture critiche di comunicazione, attraverso il dominio completo del sistema operativo dei suoi smartphone e degli altri dispositivi. Penso che sia importante che la gente capisca che la Apple non è il governo. La Apple è un’azienda. È una corporation. E in una corporation, gli amministratori delegati vanno e vengono, i consigli di amministrazione cambiano, oggi è così, domani chi sa. Ci sono cicli di business e ci sono crisi di mercato. Oggi, la Apple può guardare alla privacy con l’obiettivo di preservarla. E tra un anno, potremmo incontrarci di nuovo per discutere come Apple ha rinnegato tutti i valori di privacy perché c’è stata una crisi da fronteggiare, con un nuovo amministratore delegato e un consiglio di amministrazione diverso. Apple può cambiare completamente posizione”.

In che modo Apple può rinnegare il suo motto che “la privacy è un diritto umano fondamentale”?

“Uno scienziato dei dati l’altro giorno mi ha detto: “Guarda, la regola di fondo di tutti i software e le app progettate oggi è la raccolta dei dati”. A tutti gli effetti, ogni app è progettata per impegnarsi nella sorveglianza. Ora, la Apple realizza ancora la maggior parte dei suoi ricavi attraverso le vendite di iPhone e di altri dispositivi. Tuttavia, una parte crescente delle sue entrate proviene dai servizi e una grossa fetta dei servizi è rappresentato dalla vendita di applicazioni. Quindi, anche se non è un capitalista della sorveglianza, è un potente abilitatore. È di fatto un complice dei crimini perpetrati dal capitalismo della sorveglianza. E, naturalmente, ci sono delle situazioni nelle quali la Apple e Mr Cook violano gli stessi principi che affermano così eloquentemente di voler difendere. La politica della Apple in Cina ne è ovviamente un esempio macroscopico. La relazione di Apple con Google è un altro. Quindi Apple è profondamente compromessa. La domanda nella mia mente è: ora che Mr Cook è sotto i riflettori, che ha acceso per illuminare se stesso e la sua società, vestirà davvero le vesti del difensore della privacy, o continuerà a essere una specie di Arlecchino servitore di due padroni, giocando su entrambi i tavoli?”.

Che dobbiamo aspettarci da Apple

Solo per chiarire, pensi che la Apple sia effettivamente interessata a preservare la privacy, o pensi che l’azienda introduca aggiornamenti come l’App Tracking Transparency per ottenere un vantaggio competitivo sui concorrenti?

“Non credo che dovremmo mai aspettarci che una società privata possa fare qualcosa di diverso dal proprio tornaconto. Le corporation sono, per loro natura, egoiste. Apple ha già chiarito che sta cercando un modo di espandere il proprio modello pubblicitario, che è diverso dalla pubblicità mirata online. Sta definendo gli elementi di un paradigma alternativo di pubblicità. C’è un’opportunità per questo nuovo paradigma di convergere con i valori della privacy a di abbandonare il modello della raccolta surrettizia su larga scala di dati generati dalle persone”.

Cosa ti piacerebbe che la Apple facesse?

“Questa è un’opportunità storica per Mr Cook e la Apple per dire: “Gente, stiamo per diventare l’hub di un ecosistema alternativo”. In effetti questo ecosistema alternativo sta aspettando una guida. Apple è la società in grado di fornire questa giuda e può immediatamente realizzare alleanze con altre grandi, medie e anche piccole aziende per fondare un ecosistema in cui l’intero modello economico non sia basato sulla raccolta dei dati. Gli investitori sono pronti per questo passo, perché gli investitori vogliono tenere botta alla regolamentazione che sta per dare un colpo ai profitti del capitalismo della sorveglianza. E questo significa che la Apple ha un’opportunità d’oro per iniziare, proprio partendo dal suo App store. La maggior parte dei fornitori di applicazioni sente di avere la responsabilità di sviluppare prodotti che siano sicuri. La Apple potrebbe finalmente assumersi la responsabilità di ciò che risiede sul suo App Store e dire che ci sarà posto solo per applicazioni che rispettano i principi di tutela della privacy. Può aiutare gli sviluppatori con modelli alternativi di monetizzazione. Può lavorare con gli investitori per sviluppare modelli alternativi di investimento. La Apple potrebbe lavorare con i legislatori, mettendo a disposizione personale e know-how in modo che i legislatori e i loro staff abbiano una comprensione adeguata del tipo di interventi da effettuare”.

E i governi?

Come vede i profili normativi che stanno emergendo in questo momento?

“Li giudico benissimo. Quello che l’UE sta facendo è portarci verso il modello normativo di cui abbiamo bisogno che è qualcosa che dobbiamo raggiungere in questo decennio o nel terzo decennio del secolo digitale. Nel corso degli ultimi anni, sapete, abbiamo solo indietreggiato e visto l’imbarazzante svantaggio della politica nel confronto con le imprese tecnologiche. Beh, quelle situazioni sono davvero cambiate. A marzo, abbiamo visto per la prima volta i membri del Congresso mettere in discussione il modello economico del business dei dati e il potere che ne deriva per le aziende. E per la prima volta, li abbiamo sentiti dire di aver compreso che l’informazione stessa è un sottoprodotto del quel modello. E a questo modello sarà messo finalmente fine”.

I prodotti Apple sono costosi. C’è un premio per la privacy che solo alcuni possono permettersi.

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“Android, naturalmente, è di gran lunga il sistema dominante nella maggior parte dei paesi. Ci sono persone che non possono permettersi la privacy degli utenti iPhone. E l’idea della privacy come un lusso è un’idea profondamente insopportabile”.

Pandemia e dati

Può parlare di come la pandemia abbia aumentato il potere di queste aziende tecnologiche nella raccolta di dati? Quello che sta accadendo ora con le lezioni a distanza è davvero spaventoso.

“L’enorme ironia qui è che lo scoppio della pandemia è coinciso con il momento nel quale il procuratore generale del New Mexico ha presentato una class-action contro Google Classroom, citando le sue pratiche illecite di estrazione di dati dalla ì attività in classe dei bambini. Ora c’è tutto questo settore chiamato tecnologia per la sicurezza scolastica. E poi un altro settore chiamato sistemi di proctoring. Un settore costituito da quelle aziende che, a scopo di lucro, si attaccano a Google Classroom. Quando si scava in quello che fanno questi cosiddetti sistemi di sicurezza — pagati dai distretti scolastici — si scopre che effettuano il tracciamento di tutto: le notifiche dei social media, i file di posta elettronica, le chat, i post, i messaggi, i documenti, insomma tutto ciò che ha a che fare con le attività scolastiche a distanza. Inoltre i sistemi di controllo stanno attuando il riconoscimento facciale. Analizzano lo sguardo e i movimenti degli occhi dei ragazzi per verificare l’attenzione. Stanno producendo quelli che chiamano “suspicion scores” (punteggi di sospetto). Stanno anche controllando i microfoni. Stanno controllando le telecamere. Dicono che le telecamere registrano l’ambiente circostante e trasmettono i risultati di quest’azione di sorveglianza al supervisore. E gli studenti e le loro famiglie non hanno alcuna voce in capitolo perché non possono nemmeno accedere ai dati. Sono messi di fronte al fatto compiuto e non possono nemmeno intervenire sulla faccenda della conservazione o della condivisione di questi dati con terze parti. Le aziende possono farne quello che vogliono”.

Durante la pandemia, questa raccolta di dati ha toccato quasi ogni aspetto della nostra vita, dal lavoro a distanza, alla scuola, alla socializzazione. Ti sembra che questa ubiquità sia in qualche modo un dato di fatto accettato?

“Sento che questa ubiquità può diventare un veicolo per diffondere la resistenza a questo stato di cose. Accurati sondaggi d’opinione mostrano che la pandemia non ha determinato la fine del “techlash”, cioè della reazione al potere eccessivo della grandi società tecnologiche. Questo trend è una conferma della mia ipotesi che più siamo esposti e dipendenti alla sorveglianza, più si sviluppa la resistenza, l’avversione e il rigetto del capitalismo della sorveglianza”.

Da: Shoshana Zuboff Explains Why You Should Care About Privacy, di Lauren Jackson, The New York Times, 21 maggio 2021

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