I pre-requisiti dell’innovazione
L’innovazione di contenuto nello scenario digitale può essere prodotta solo dalla convergenza di due forze: i creativi e la tecnologia. Non c’è simultaneità in questa convergenza, spesso c’è sfasatura, ma quando questi due fattori si allineano l’innovazione si feconda e si diffonde velocemente.
Prendiamo in esame la tecnologia degli ebook. L’infrastruttura tecnologica che è il prerequisito, come lo erano le ferrovie nella seconda rivoluzione industriale, c’è ed è di ottimo livello. Nel mondo ci sono 2 miliardi di device mobili adatti alla lettura e c’è un modello di distribuzione che funziona molto bene con molte opzioni per il consumatore. Quello che difetta è il software che non ha ancora sviluppato quegli elementi che sono essenziali ai creativi per attuare l’innovazione di contenuto oltre qualche ragguardevole tentativo pionieristico e spontaneo.
Paradossalmente è proprio la Apple, che si trova nell’insolito ruolo di inseguitrice, ad avere il software più avanzato che però rimane prigioniero del territorialismo della casa di Cupertino.
Il regalismo di Apple
iBooks, l’applicazione di Apple per la lettura degli ebook, ha tutto quello che serve per creare un contenuto di nuova generazione che vada oltre la mera riproduzione digitale della forma libro. “Surpass print experience” è lo slogan di iBooks. Dal 21 giugno 2010 iBooks supporta pienamente l’HTML5, il linguaggio del web, permette di includere audio, video e widget, dà la possibilità di visualizzare e ruotare oggetti 3D, supporta il linguaggio JavaScript per introdurre funzioni interattive e miniapplicazioni, aggiorna automaticamente la libreria in caso di nuove edizioni del libro acquistato, offre la possibilità di condividere passi significativi su Facebook, Twitter, iMessage o mail, permette di gestire le formule matematiche con MatML, supporta gli alfabeti non latini, consente l’ascolto di un audiolibro, sincronizza la lettura ad alta voce (Read aloud) con il testo illuminando in sequenza le parole recitate (funzione per i libri per bambini). iBooks è in grado di riprodurre ebook a layout fisso dove l’integrazione tra illustrazione, testo ed elementi multimediali è cruciale per la comprensione del contenuto, come avviene nei libri per bambini o nel libro illustrato o nei libri di cucina.
Agli inizi del 2012 Apple ha presentato un’applicazione, denominata iBooks Authors, con un’interfaccia grafica simile a Word, per creare ebook interattivi anche orientati alla didattica. È facile da usare e permette agli autori, ai grafici e agli appassionati di creare un ebook senza la necessità di ricorrere a uno sviluppatore. L’unico neo è che un formato proprietario non esportabile verso altre piattaforme.
Quella di Apple è una suite reale. Ma c’è un problema con cui Apple prima o poi dovrà confrontarsi.
Gli ebook creati con e per iBooks funzionano solo sui sistemi iOS e sui Mac. Apple ha il 10% del 25% dell’intero mercato librario. È veramente una frazione al limite dell’irrilevanza. Ora, la Apple ha i mezzi e le potenzialità per crescere, come l’esperienza di AppleMusic dimostra (in tre anni 20 milioni di abbonati), ma dovrebbe cambiare veramente l’approccio proprietario e iPhone centrico. Finora i servizi sono stati ancillari all’hardware, sono strumenti che spingono la vendita dell’hardware e aiutano a incapsulare il consumatore nel suo ecosistema. Se i servizi di Apple affiancano e alla fine sormontano l’hardware nel modello di business, si apriranno nuovi scenari. E forse è quello che sta accadendo. Ma lo stato di fatto è che gli ebook sono marginalizzati e si nota ben poca attenzione da parte del management Apple a questo segmento.
Quali sono le conseguenze? Le conseguenze sono che un creativo, un editore o una start-up non trova le condizioni per investire risorse, tempo e azioni in un prodotto, per il quale non esiste ancora un paradigma, che va a collocarsi in una frazione così esima del mercato. L’85% per cento del mercato è escluso. Vince pertanto l’attendismo. Che cosa succede nell’ altro 85% quasi interamente controllato da Amazon.
Il voluto minimalismo di Amazon
Succede che Amazon, sulla forma libro, ha un approccio parecchio diverso da Apple e sorprendentemente prudente per un’azienda che innova furiosamente senza troppi riguardi per gli equilibri di mercato. Amazon ha un approccio conservativo, non innovativo. Invece che “surpass the print experience” è “improve the print experience”. Nella sua proposta tecnologica Amazon è rimasto fedele al suo approccio originario esposto da Bezos nel 2007: che cosa si può aggiungere a un libro? Niente! La forma libro è una forma storicamente definita e vitale; è anche una tecnologia molto evoluta. Difficile pensare a un’innovazione di contenuto efficace nei confronti di qualcosa che è già efficace. Ne consegue che il contenuto elaborato per i nuovi media non può essere che essenzialmente mimetico e rispettosamente modificativo. Ecco perché l’ebook per il Kindle è un libro in un altro formato.
Il formato file dei Kindle, AZW, è proprietario. Sostanzialmente è un sottoinsieme del Mobipocket (.mobi) acquistato da Amazon. Pur essendo HTML5, AZW supporta in minima parte le funzioni pienamente sviluppate in iBooks. Non esiste nessuna applicazione con una qualche sorta di GUI per editarlo, e migliorare il codice ottenuto dagli strumenti di conversione, forniti da Amazon, dai principali formati di word processor e dal PDF. Con il Kindle Fire l’originario formato è stato aggiornato per includere l’ebook a formato di pagina fisso.
Amazon, se lo volesse, ci mettere poco più di un pomeriggio a migrare verso l’ePub3, peraltro già incluso nel formato file dei suoi ebook, e aprire così un nuovo scenario che potrebbe veramente diventare il laboratorio dell’innovazione di contenuto. Questa volta i creativi, gli editori e gli autori incontrerebbero le condizioni di mercato per andare veramente oltre uno sperimentalismo da laboratorio e incontrare il grande pubblico. Ma Amazon non si decide ad effettuare questo passo.
La rivoluzione dei nuovi media può applicarsi invece a tutto quello che circonda questo contenuto e lo porta ai suoi fruitori. È in questo ambito che Amazon ha concentrato la sua azione disruptiva ed è in questo ambito che innova furiosamente.
Amazon barriera allo sviluppo del mercato?
Nell’approccio minimalista di Amazon nei confronti del contenuto dell’ebook non c’è soltanto la nobile intenzione di portare la forma libro, ancora vitale e priva di reali alternative, nel territorio ostile dei nuovi media dove tendono a dominare l’intrattenimento, l’evasione e ad affermarsi le forme più pavloviane di consumo culturale come possono essere l’immagine in movimento o il videogame. Amazon, essendo immerso totalmente in questo universo, ha messo più volte in guardia gli editori, gli autori e gli attori dell’industria del libro dal rischio di essere sopraffatti dalla concorrenza economica e culturale dei media digitali a presa rapida sui cinque sensi del consumatore. Il tempo libero di quest’ultimo non va a crescere con il ritmo dell’offerta di contenuti; bisognerà aspettare l’avvento dei robot perché ne possa avere a sufficienza per soddisfare tutta l’offerta.
Nell’approccio pro-libro di Amazon c’è anche una componente, diciamo, egemonica che è l’ambizione di controllare, attraverso la tecnologia e i servizi, la transizione dell’industria del libro dai mass-media ai nuovi media. Non dimentichiamoci che il laboratorio di Amazon e il suo core business sono stati i libri e tutt’oggi sono una componente importante, seppur secondaria, del suo business. Perché scardinare il libro se costituisce una fonte così importante di business? Perché metterlo in competizione con qualcosa che può sostituirlo, aprendo la porta ai concorrenti e ai disrupter che possono, nel medio-lungo periodo, sostituire l’egemonia di Amazon con la propria? Seconda la nota teoria della “disruptive innovation”, formulata Clayton M. Christensen e divenuta una sorta di vangelo delle imprese tecnologiche, i distruttori di oggi sono i distrutti di domani.
Creare un software che stimoli l’innovazione di contenuto e spinga i creativi a produrre nuovi paradigmi non è certo nel campo visivo del management di Amazon. Amazon ragiona da incumbent non da disrupter.
Finora questo approccio ha funzionato benissimo, ma sarà ancora così appagante nel futuro anche vicino? L’interrogativo è serio. Con lo xerox-ebook che inizia a mostrare un certo affanno anche nel pianeta della nuova editoria, per non parlare di quella maggiore, occorre iniziare a proporre ai consumatori contenuti di nuova generazione allineati con la tecnologia che può supportarli. Un primo passo potrebbe essere quello di allineare il software dei Kindle a quello della Apple, cioè implementare pienamente sui Kindle l’ePub3. Ma questa decisione, che costerebbe pochissimo sforzo ad Amazon perché il Kindle è già pronto per tutto questo, ancora non si vede.
Paradossalmente Amazon è diventata la principale barriera allo sviluppo di un nuovo mercato che affianchi e prenda l’eredità di quello del libro.
Le conseguenze di questo stato di cose
Il mancato allineamento del software alle potenzialità della tecnologia nella proposta di Amazon ha avuto delle conseguenze che sono tutt’altro che tecnologiche, come direbbe Heidegger. È successo che i creativi non sono stati messi nelle condizioni, seppur minime, per sviluppare nuove idee, per andare oltre la forma libro così da trasformare l’opportunità ebook in un laboratorio di innovazione. Si è tentato qualcosa con le applicazioni, ma quando le app non si sono dimostrate il veicolo corretto per incontrare il pubblico dei lettori, non ci sono state alternative. L’innovazione è rimasta congelata e si è bellamente concluso che il pubblico è troppo legato alla forma libro per dare soddisfazione a chi cerca nuove vie.
La seconda considerazione riguarda proprio il pubblico. Senza innovazione si continua a insistere sullo stesso pubblico. Per ora le statistiche sono benevole, nel senso che la lettura non sta subendo l’erosione tenuta e mostra ancora una certa vitalità, ma il pubblico non sta crescendo.
Farhad Manjoo, il tech columnist del New York Times, in un articolo dal titolo How the Internet Is Saving Culture, Not Killing It ha scritto: “In ogni media culturale, cinema o musica o libri o arti visive, la tecnologia digitale dà spazio a nuove voci, creando nuovi format sperimentali permettendo agli appassionati e ai creativi di partecipare a uno straordinario remix dei contenuti; dai blog ai podcast a YouTube gli ultimi venti anni sono stati contrassegnati da una sbalorditiva sequenza di formati che hanno abbattuto le barriere per nuove e pazzesche creazioni”. Difficile dirlo meglio.
Per usare una felice espressione dell’ex-giornalista di “Economist” e pari inglese, Matt Ridley, ogni cambiamento può avvenire solo quando “ideas have sex”. Purtroppo le idee nel mondo di Amazon stanno andando in bianco. Confortiamoci però con la storia.
Oggi purtroppo la storia è una disciplina dimenticata o asservita a qualche scopo perché possa servire ad illuminare la comprensione del nostro tempo e a ispirare le azioni dei decisori. C’è un esempio a cui bisognerebbe guardare con attenzione per capire come la tecnologia ha prodotto un’innovazione di contenuto che ha condotto a un nuovo linguaggio espressivo, stimolato le menti migliori a sperimentare e infine mobilitato un pubblico che giaceva nell’indolenza verso le forme culturali esistenti.
Questo esempio è la nascita del linguaggio cinematografico agli inizi del secolo scorso a cui bisognerebbe guardare per capire le potenzialità inimmaginabili di un nuovo media che, spinto dalla tecnologia, si stacca dalle forme conosciute e da quelle che lo hanno originato per trovare un proprio autonomo ed efficace spazio espressivo. Di questo tema ci occuperemo nel prossimo post.