L’orologio dell’Apocalisse che era fermo dal 2015 a tre minuti alla Mezzanotte (per gli scienziati dell’Università di Chicago che lo hanno creato nel 1947 e che qualificano la mezzanotte come la fine del mondo) dall’elezione di Trump segna solo due minuti alla mezzanotte. Come nel 1983, durante il periodo della prima guerra fredda tra gli Usa e Urss. Due le opzioni per una fine del mondo certa: i cambiamenti climatici oppure l’utilizzo nuovamente di armamenti nucleari. Che si creda o meno al Doomsday Clock, certamente dopo l’ultima strage di innocenti in ordine cronologico ad Aleppo le domande su chi finanzia il regime di Assad e gli oltre 70 gruppi di ribelli presenti sul teatro bellico siriano, e sul perché la Nord Corea continui bellamente a infrangere le sanzioni diventano sempre più pressanti.
Il vice presidente americano Pence tira fuori dal cappello il termine “pazienza strategica” e ci chiediamo se potrebbe connotare e quindi spiegare il comportamento passivo e incomprensibile dell’amministrazione Obama nel lasciare crescere ed agire il fenomeno Isis e nel lasciare gli Usa spettatori dell’immane massacro siriano. E dietro questa “strategia del non fare e dello stare a guardare” c’è chi come il leader nordcoreano, che invece si è dato da fare per rafforzare le relazioni commerciali internazionali aggirando le sanzioni. Continuando così ad usare le imprese cinesi come schermo e anche l’accesso ai canali bancari internazionali senza alcun ostacolo. Prima di tutto vendendo materie prime come i metalli terrosi rari alla Cina dei quali il territorio è ricco, che sono cruciali per l’industria tecnologica e con i quali si producono componenti per cellulari, computer, schermi Lcd ed automobili.
Kim Jong esporta non solo commodities ma anche forza lavoro verso Cina, Russia, Europa dell’Est e Sud Est asiatico. È noto infatti che non vi sono problemi di flussi di lavoratori con Paesi come la Malesia, dove i nordcoreani sono decine di migliaia. E poi ci sono gli FDI, i flussi di investimento dall’estero, a farla da padrone: per esempio gli egiziani hanno investito in maniera importante nel settore delle telecomunicazioni e in quello industriale lasciando ai cinesi il settore estrattivo della pesca e della grande distribuzione. I cinesi fino ad un anno fa fornivano alla Nord Corea petrolio ed energia a prezzi calmierati, in perfetto accordo con la strategia Usa di non belligeranza. Non bisogna poi dimenticare che, sempre fino a un anno fa e quindi prima della ripresa dei test nucleari, i tentativi di cooperazione con la Sud Corea avevano portato centinaia di milioni di dollari Usa verso i distretti industriali di confine.
Occorre chiarire che la Cina non vuole l’implosione del regime nordcoreano e tanto meno la riunificazione con la Sud Corea perché, esattamente come per il caso Ucraina, vorrebbe dire trovarsi le truppe Usa ai confini. Esattamente lo stesso problema della Russia con l’Ue.
È chiaro che Kim Jong sa perfettamente che la Cina non può permettersi la caduta della sua dittatura anche perché, laddove i cinesi tirano i remi in barca per evitare uno scontro con gli Usa subito, i russi rendono disponibili a coprire le esigenze del piccolo Stato che ha abbandonato la strategia della semplice minaccia per avere beni di sussistenza ed ha sviluppato un’industria bellica anche di violazione digitale alle reti informatiche occidentali piuttosto ben organizzata come nel famoso caso della Sony del 2014.
La Russia vede nella Nord Corea un partner ideale per un corridoio energetico verso il sud est asiatico e dalla Sud Corea verso l’Europa tramite la via transiberiana. Il paradosso poi delle sanzioni deriva anche da un’interpretazione di comodo per cui non bisogna stupirsi se soggiornando nel lussuoso Sky Resort di Masik tutti gli impianti di risalita siano stati forniti dall’Austria.
E se non mancano gli appuntamenti elettorali con le elezioni francesi e quelle inglesi recentemente annunciate, non bisogna dimenticare le elezioni Presidenziali del 9 Maggio nella Corea del Sud. Queste potrebbero riportare al centro del rischio di uno scontro bellico senza precedenti un dialogo costruttivo dopo i 10 anni, dal 1998 al 2008, di Sunshine Policy varata con Bill Clinton e interrotta da George Bush con le dichiarazioni sull’”asse del diavolo”, Iran, Siria e NordCorea. Perché Bush allora, come ora Trump, aveva bisogno di spostare l’attenzione degli Usa su uno scontro bellico per recuperare consensi e favorire le lobby delle armi che hanno da sempre un peso notevole nel sostegno delle amministrazioni governative americane.
Tra i finanziatori del Nord Corea poi anche il Regno Unito che ha supportato con oltre 4 milioni di sterline negli ultimi sei anni e 740 mila sterline solo nel 2015 progetti di aiuto tesi a “salvaguardare i valori occidentali”, secondo i documenti ufficiali.
Riassumendo: se sommiamo le elezioni anticipate nel Regno Unito (che si collocano tra le elezioni francesi e quelle tedesche), le tensioni con la Nord Corea, il crollo dell’acciaio e delle altre commodities tranne il petrolio e l’oro (per ovvi motivi legati all’incertezza politica diffusa), le nuove prospettive di riduzione del Qe di Draghi e le ansie belliche di Trump, abbiamo elementi sufficienti per avviare un riposizionamento dei portafogli a favore della sterlina inglese, dei mercati azionari europei core rispetto ai periferici e verso i mercati emergenti. Escludendo la Turchia ovviamente.
Così, nell’era del FinTech e della quarta rivoluzione industriale e tecnologica dei Big Data e delle BlockChain, se non si è mai trovato un accordo sul monitoraggio dei flussi finanziari verso conti correnti a supporto degli estremisti islamici o di Kim Jong, non ponendo nessun freno agli scambi finanziari legati agli armamenti nei Paesi sotto sanzioni, non bisogna stupirsi. Pare evidente che non c’è nessun interesse a far degenerare il conflitto ma piuttosto a trovare degli accordi favorevoli per il mantenimento di stati cuscinetto come la Nord Corea ed il prosieguo di quel dialogo con Sud Corea e Usa per evitare che un’intromissione dell’Iran crei una spirale negativa con il conflitto mediorientale in corso, dove Israele sta diventando un altro attore cruciale per riprendere il dialogo perduto sulla parola fine della guerra civile in Siria.