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Apocalisse 2030: riusciremo ad evitare la tempesta perfetta? Comin e Speroni raccontano come fare

Nel 2030 sulla nostra terra ci saranno 8,3 miliardi di persone, 1,3 miliardi in più rispetto ad oggi. L’aspirazione al miglioramento del tenore di vita comporterà la necessità di creare 2 miliardi di nuovi posti di lavoro. I consumi di cibo ed energia dovranno aumentare del 50%, quelli di acqua dolce del 30%, mentre si dovranno affrontare enormi problemi per contenere i fenomeni di riscaldamento globale o per cercare di adattarcisi. Il nostro pianeta subirà uno stress molto forte che potrebbe provocare sommovimenti sociali e politici determinando così una vera e propria “tempesta perfetta” dalla quale molti cittadini di tutti i continenti rischiano di uscire assai malconci. A meno che non si decida di intervenire da subito con politiche di medio termine. Non è una cosa impossibile, ma bisogna cominciare a pensarci per adottare le scelte giuste. Prima ci si avvierà su questa strada, minori saranno i costi economici e sociali e più facile sarà evitare che la “tempesta perfetta” determini un naufragio generalizzato.

Questo lo spaccato di futuro che Donato Speroni e Gianluca Comin ci descrivono nel loro libro “2030 La tempesta perfetta” (Rizzoli 18,50 Euro). Non è un libro di fantascienza, nè si può iscrivere al filone catastrofista. Anzi non c’è pessimismo nelle loro conclusioni. C’è allarme per una serie di problemi che si vanno accumulando con tassi di crescita esponenziali ed a cui i singoli Stati e la comunità internazionale nel suo insieme, stanno rispondendo nel migliore dei casi con eccessiva lentezza.

La prima preoccupazione sta proprio nel fatto che il dibattito politico corrente in quasi tutto il mondo non incorpora una visione di medio termine, ma appare quasi interamente assorbito da una visione di brevissimo temine se non da polemiche strumentali che nascono e vivono solo pochi giorni. In Italia, dove tutti i partiti politici sono impegnati a rifondare se stessi dopo il fallimento del tipo di politica praticato negli ultimi decenni, il libro di Speroni e Comin offre spunti e riflessioni molto appropriate per consentire alle forze politiche di costruire una propria visione di futuro e per fare proposte concrete su come affrontare i nuovi e gravi problemi che l’evoluzione naturale delle cose ci sta ponendo.

Il libro racconta in maniera vivace e con precisione di dati, tutte le principali tendenze evolutive del globo, dalla crescita demografica, ai consumi di energia, dalla carenza di acqua dolce alla evoluzione delle città, passando ovviamente per la prevedibile evoluzione del clima e per gli impatti positivi o negativi delle tecnologie fino ad arrivare a descrivere i tentativi di una nuova governance globale ed il ruolo della comunicazione e di internet.

L’intento non è quello di fare dell’allarmismo fine a sè stesso, ma sicuramente quello di lanciare qualche segnale di allarme soprattutto sulla disattenzione sia da parte della pubblica opinione sia nel mondo della politica, con cui questi temi vengono accolti. Sicuramente si tratta di una evoluzione a lungo termine, anche se il 2030 è dietro l’angolo, e considerando la lentezza con cui si adottano le opportune politiche di contrasto, vent’anni non sono poi molto distanti.

Le scelte da compiere non sono certo facili. In più esiste in molti casi una grande incertezza, sia tecnologica che economica, su quale sia la strada migliore da intraprendere. Per esempio sull’energia i due autori danno per scontato che le centrali nucleari giocheranno un ruolo solo residuale, mentre una certa fiducia viene accordata alle rinnovabili di nuova generazione anche se finora queste tecnologie hanno comportato costi molto elevati per i cittadini con risultati modesti sul contenimemto delle emissioni di CO2.

Grande fiducia viene data al miglioramento delle reti con forti riduzioni delle perdite durante il trasporto, e certamente al rispamio energetico con il necessario rinnovamento delle infrastrutture e delle abitazioni soprattutto nei paesi sviluppati.

Di grande interesse il capitolo dedicato all’acqua la cui carenza sia per l’irrigazione che per usi domestici rischia di farsi drammatica. Di qui la necessità di evitare contrapposizioni solo ideologiche e di ragionare su come si potranno fare i grandi investimenti necessari a garantire un volume sufficiente di acqua dolce ad una popolazione in forte crescita sia come numero che come esigenze. Viene demolita la teoria dell’acqua come bene pubblico che si basa essenzialmente sul timore che una gestione economica e privatistica di questa risorsa possa danneggiare i più poveri. In realtà – dicono Speroni e Comin – già oggi i più poveri, quelli che vivono nelle bidonville, pagano l’acqua loro fornita dalle autobotti anche 10 volte di più di coloro che sono collegati agli acquedotti. Non solo – si potrebbe aggiungere – gli abitanti delle favelas sudamericane, ma anche molti siciliani ai quali l’acqua pubblica viene erogata solo poche ore al giorno!

La comunicazione è senza dubbio un fattore critico. Il web ha accelerato enormemente la circolazione dei messaggi ed ha creato una voglia di partecipazione e di protagonismo che i decisori sia politici che economici non possono più trascurare. Che però il web, di per sè, stia creando cittadini più consapevoli, più colti e più disponibili a superare il proprio particolare interesse per connettersi al benessere collettivo non è affatto confermato. In Italia, ad esempio, basti pensare ai risultati del recente referendum sul nucleare e sull’acqua per capire come la visione a breve termine e del tutto gratis, sia ancora di gran lunga prevalente. Sicuramente la trasparenza e l’accountability, hanno fatto grandi passi avanti. Nessuno, nè Governi nè aziende può ormai prescindere dal soddisfare queste due fondamentali esigenze dei cittadini. E questo è un buon primo passo per la creazione di quella “coscienza collettiva”che secondo i due autori è la premessa indispensabile per poter avviare nuove politiche di lungo termine che possano evitare gli effetti più negativi della “tempesta perfetta”.

Il mondo non sta per finire. Non c’è alcun bisogno di puntare come Latouche, sulla decrescita, su una vita basata su piccole comunità rurali che producono in loco quasi tutto ciò che serve al loro fabbisogno. Certo bisognerà modificare molte abitudini individuali. Ridurre gli sprechi che sono enormi, specie nel mondo più sviluppato, riciclare il più possibile i rifiuti, vivere in città più organizzate come già si sta sperimentando con i progetti delle smart cities. Questo comporta un riorientamento dei consumi dei singoli cittadini e cioè una diversa destinazione dei loro mezzi finanziari. In questo senso, oltre agli indirizzi politici molto dovrà essere lasciato al libero operare dei prezzi sul mercato. Ma sono cose che si possono fare, senza bisogno di tornare al Medio Evo. Comin e Speroni dimostrano che prima si comincerà ad operare in questa direzione, più facile e meno traumatico sarà il cambiamento.

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