Il governo sta per varare i decreti attuativi dell’Ape, il nuovo anticipo pensionistico che permetterà di lasciare il lavoro prima del tempo. Giovedì il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha assicurato che non ci saranno slittamenti: la nuova misura diventerà operativa a partire dal primo maggio.
Come previsto dall’ultima legge di bilancio, i requisiti fondamentali per accedere all’Ape sono tre: 63 anni di età, 20 di contributi versati all’Inps e maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia entro i successivi 3 anni e 7 mesi. Esistono due tipologie di Ape: quella volontaria, che impone al lavoratore di chiedere un prestito in banca, e quella social, pensata per le categorie in difficoltà e interamente a carico dello Stato.
APE VOLONTARIA
L’Ape volontaria consente di ricevere un assegno mensile dal giorno in cui si smette di lavorare al momento in cui si ha diritto alla pensione di vecchiaia. La durata è compresa fra un minimo di 6 mesi e un massimo di 3 anni e 7 mesi.
Queste somme non contribuiscono a formare il reddito su cui si paga l’Irpef e vengono erogate in 12 mensilità dall’Inps, ma arrivano da un prestito bancario assicurato che dovrà essere restituito nei primi vent’anni di pensionamento effettivo.
Il rimborso avverrà in 13 rate annue attraverso un taglio dell’assegno previdenziale. Il tasso annuo nominale (Tan) sarà intorno al 2,75%: questo il valore su cui si starebbe per chiudere la trattativa fra il governo e la decina di banche che aderiranno alla convenzione.
Ma oltre agli interessi bancari sarà obbligatorio pagare anche il premio di una polizza assicurativa: in questo modo il costo delle rate salirà, in media, al 4,6-4,7% per ogni anno di anticipo ottenuto con l’Ape. L’assicurazione serve a tutelare la banca e gli eredi dal rischio che il sottoscrittore muoia prima di aver saldato il debito.
Alla luce di questi costi, l’Ape volontaria prevede anche un quarto requisito: la futura pensione, al netto della rata di restituzione del prestito, non deve essere inferiore a 700 euro al mese, cioè 1,4 volte il trattamento minimo Inps.
A ben vedere, quindi, l’Ape volontaria non è una vera pensione anticipata, perché non prevede alcuna riduzione dei requisiti pensionistici. Si tratta piuttosto di un anticipo finanziario il cui costo – tutt’altro che basso – viene solo in parte compensato da una detrazione fiscale del 50% sulla quota interessi e premio.
APE SOCIAL
Per quanto riguarda invece l’Ape social, le domande potranno essere presentate in due finestre: 1° maggio – 30 giugno e 1° luglio – 30 novembre. La seconda consentirà di accogliere le domande in rapporto alle risorse residue.
Ma l’Ape social non sarà accessibile a tutti. Potranno farne richiesta solo quattro categorie di persone:
1) disoccupati senza ammortizzatori sociali e con almeno 30 anni di contributi;
2) disabili con una riduzione della capacità lavorativa di almeno il 74% e con almeno 30 anni di contributi;
3) persone con almeno 30 anni di contributi che assistono da almeno sei mesi il coniuge o un parente di primo grado convivente con disabilità;
4) lavoratori che svolgono “attività gravose” da almeno 6 anni consecutivi e con almeno 36 anni di contributi (professioni infermieristiche e ostetriche; insegnanti d’asilo; badanti; facchini; addetti allo spostamento delle merci; operatori ecologici, raccoglitori e separatori di rifiuti, personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia; operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici; conduttori di gru e di macchinari mobili per la perforazione delle costruzioni; autisti di camion e mezzi pesanti; conduttori di treni e personale viaggiante; conciatori di pelli e pellicce).
Per avere diritto all’Ape social, inoltre, non si può superare un tetto di reddito da lavoro pari a 8mila euro l’anno, né percepire indennità di disoccupazione.
Quanto all’assegno che si riceve con l’Ape social, non è soggetto a rivalutazione ed è erogato su 12 mensilità. Il suo importo è pari a quello della rata mensile della pensione calcolata al momento dell’accesso all’Ape social, ma non può in alcun caso superare il limite massimo di 1.500 euro al mese.
Infine, il beneficio dell’indennità è riconosciuto, a domanda, entro i limiti annuali di spesa previsti dalla manovra: 300 milioni di euro per l’anno 2017; 609 milioni di euro per l’anno 2018; 647 milioni di euro per l’anno 2019; 462 milioni di euro per l’anno 2020; 280 milioni di euro per l’anno 2021; 83 milioni di euro per l’anno 2022; 8 milioni di euro per l’anno 2023.