Anna Pavlova, nata a San Pietroburgo nel 1881 fu la più grande ballerina di tutti i tempi, una leggenda capace di trascendere la bellezza della danza e del suo carattere. La sua era una una povera famiglia di contadini e a otto anni venne portata dalla madre a teatro a vedere una rappresentazione della “Bella addormentata” che le fece capire che voleva diventare una ballerina, è così fu.
Un memorabile ricordo di Anna Pavlova, tratto dal libro “Flight off the season” di André Olivéroff del 1932.
Il segreto della sua grandezza, era la sua stessa origine, il suo coraggiosa e ferreo impegno all’arte che amava, in lei viveva quel l’impegno senza sosta che é l’altro nome di una evidente genialità. Ogni mattina alla sbarra, giorno dopo giorno, ripetendo sempre gli esercizi che aveva imparato prima dei sedici anni alla Scuola imperiale di ballo di Pietroburgo. Cercava sempre di raggiungere la perfezione, che per tutti era raggiunta ma mai per lei stessa.
Anna, sembrava che volasse via con il vento, come le più leggere piume di un cigno. E ogni volta nel fare il suo ingresso c’era una cassetta di pece greca pronta per lei, che strofinava sulla punta delle scarpette per non scivolare sul palcoscenico. Poi restava immobile sulle punte, palpitando come una farfalla, per far entrare la pece. Tutto era un rito, dapprima si piegava in avanti e premeva il palmo delle mani a terra per scioglierei muscoli della schiena, e poi tendeva i piedi in avanti, indietro e infine lateralmente. Quando si sentiva nervosa si faceva il segno della Croce. Una volta finiti tutti i preparativi, rimaneva in piedi tra le quinte, appoggiandosi con la mano a una scena, una gamba più avanti dell’altra, con le punte delle scarpette ad angolo retto e attendendo che l’orchestra le desse il segnale per entrare. Gettava così le braccia all’indietro, dritte e rigide, in un gesto che sembrava lasciare alle spalle ogni cosa…e prendeva il volo sui piedi alati. Ciò che la contraddistingueva e la rendeva magica, era il suo modo di camminare, il suo portamento elegante, leggero ma sopratutto inconfondibile. Era così diversa, così raffinata, che esprimeva in ogni istante la quintessenza della sua personalità luminosa. Questo suo camminare non nascondeva alcun trucco per far presa sul pubblico, lei si muoveva in modo naturale, quasi come un uccello esotico e sussiegoso.
Non poteva sfuggire al fascino che la sua personalità sprigionava, così connesso con l’eleganza del suo corpo, del suo stesso incedere. La sua era una combinazione di grazia con una forza e resistenza straordinaria. Erano i suoi piedi arcuati a custodire un segreto che nessuno, guardandola dalla platea, avrebbe potuto scoprire, un segreto che dava una finezza inarrivabile alla sua danza. Poi il suo viso, espressivo a tal punto che sembrava fondersi con la forza espressiva dell’intero corpo, fino a fare un unicum, uno strumento di perfezione sul quale la sua immaginazione si esprimeva all’infinito.
Muoveva il suo corpo come fosse musica, ogni nota nella scala delle emozioni umane, così come quando la si vedeva ballare nel Valzer di Natale. Mentre nella parte di Cleopatra ammaliatrice, ella impersonava tutta la seduzione di un mondo sofisticato. Mentre in Gisella suscitava una tenerezza stravolgente per quella fanciulla troppo fragile per questa terra. Ma é nel Cigno che lei trasportava gli spettatori come su ali nel fantastico mondo della natura, un mondo che al tocco vinificatore di un genio, si faceva pieno di significato. Così che la morte del Cigno diventava il simbolo di tutte le morti, e il palpito della farfalla il simbolo di tutte le gioie. Anna Pavlova, un cigno danzante che nessuno dimenticherà mai.