Gli effetti del riscaldamento globale ci costeranno il 3,2% del Pil mondiale e più di 100 milioni di vittime da qui al 2030 se non si cambierà il modello energetico. A fornire le stime un report pubblicato pochi giorni fa e commissionato alla Ong DARA dal Climate Vulnerable Forum, che riunisce 20 delle Nazioni in via di sviluppo più a rischio per il cambiamento climatico.
Nel report si calcola che le conseguenze del global warming – dalla siccità ai fenomeni metereologici estremi – causano già ora 400mila morti all’anno. Per esempio per l’inquinamento le vittime sono 4,5 milioni ogni anno. Cifre destinate a salire: al 2030 fossili e clima estremo faranno 6 milioni di morti all’anno e dunque durante il ventennio 2010-2030 salirà a 100 milioni. Questi decessi per il 90% dei casi avverranno nei Paesi in via di sviluppo, spiega il report, che analizza gli impatti in 184 Paesi in questi 20 anni.
Gli effetti del riscaldamento globale e dei combustibili fossili già ora stanno costando al Pianeta 1,6 punti percentuali sul Pil mondiale: 1.200 miliardi di dollari ogni anno. Una percentuale che si prevede raddoppi fino ad arrivare appunto al 3,2% del Pil nel 2030.
Ma non saranno solo i paesi in via di sviluppo a dover pagare il surriscaldamento globale: anche i Paesi più poveri pagheranno, ma con il 10% del Pil nel 2030.
Come ha spiegato nel presentare il report Sheikh Hasina, primo ministro del Bangladesh: “Un grado Celsius di aumento della temperatura è associato a una perdita di produttività del 10% in agricoltura. Per noi, significa perdere circa 4 milioni di tonnellate di semi da cibo, pari a circa 2,5 miliardi di dollari: questo è circa il 2% del nostro Pil. Sommando i danni alla proprietà e altre perdite, siamo di fronte a una perdita totale di circa il 3-4% del Pil”.
Anche giganti come USA e Cina ci rimetteranno: perderanno il 2,1% del prodotto interno lordo, mentre per l’India il conto sale al 5%.
Secondo il “Rapporto Stern” del 2006, il capostipite dei lavori di calcolo dei danni da cambiamenti climatici su tempi più lunghi (entro fine secolo), si potrebbe perdere a causa del global warming dal 10 al 20% del Pil mondiale. Lo stesso rapporto affermava che per evitare che ciò accadesse occorreva investire annualmente l’1 o 2% del Pil mondiale in tecnologie e strategie per la “decarbonizzazione” dell’economia. Ma più tempo si aspetta e più occorrerà spendere per evitare il peggio: lo stesso Nicholas Stern alcuni anni dopo (nel 2009) ha rivisto la sua stima sugli investimenti necessari portandola al 4%.
La temperatura media del Pianeta, come sappiamo, è già salita di 0,8 °C rispetto alla media preindustriale, l’obiettivo condiviso da quasi 200 nazioni nel 2010 di fermare a 2 °C la febbre del Pianeta sembra sempre più difficile da raggiungere e per ora non si sta traducendo in azioni concrete.
“Dopo 17 anni di negoziati internazionali – ha commentato il Primo ministro del Bangladesh – siamo ancora senza alcun accordo significativo o azioni per ridurre il global warming. Come Paese vulnerabile al clima, ogni giorno vediamo e sentiamo le conseguenze di tale inerzia, come illustrato nel Climate Vulnerability Monitor. Questo rapporto esamina in modi nuovi gli impatti legati ai cambiamenti climatici e cerca di trarre nuove conclusioni. Fino a ora non abbiamo avuto accesso a tali informazioni.
Naturalmente, gli esperti possono mettere in discussione questo o quell’aspetto dei risultati del Monitor, ma siamo certi che la ricerca successiva continuerà a ribadire le conclusioni generali del rapporto. La sua pubblicazione è una pietra miliare per i negoziati sul clima. È nostra speranza che aiuterà a reindirizzare gli sforzi per affrontare in modo efficace i danni che sta facendo all’economia odierna. Continuiamo a lavorare con tutti i Governi e le altre parti interessate per realizzare un risultato equo e giusto per i negoziati. Quel che è possibile oggi con 100 miliardi di dollari, costerà dieci volte di più nel 2030”.