Il sospetto c’era, ma ora lo dice Eurostat. In Italia si pagano imposte ambientali fra le più alte d’Europa. Le casse dello Stato nel 2017 hanno ricevuto 46 miliardi di euro, pari al 6,3% del totale delle tasse versate dalle imprese. Dati stratosferici, certificati, appena sotto a quelli della Germania. La Germania ha, però, un Pil superiore a quello dell’Italia, ma soprattutto una struttura economica diversa dalla nostra. Nonostante ciò, noi la inseguiamo. Nello stesso 2017 ha incassato 57 miliardi, con una struttura del prelievo fiscale anch’essa diversa da quella italiana. Il dettaglio italiano diventa ancora ancora più interessante se si considerano le differenze tra Nord e Sud del Paese.
Le tasse ambientali sono quelle correlate all’intero ciclo ambientale, che tra alti e bassi stiamo cercando di rendere sostenibile. Si tratta di tutto quanto abbia a che fare con rifiuti, produzione di energia, carburanti, reti diffuse. Nel contesto di Eurostat non siamo affatto i più bravi. Importiamo l’80% di energia dall’estero, litighiamo sulle nuove esplorazioni che, invece, abbasserebbero la dipendenza, paghiamo multe salatissime per la cattiva gestione dei rifiuti e delle discariche ancora funzionanti e così via. Le imposte sull’energia, per esempio, sono i tre quarti delle entrate totali. A queste si aggiungono quelle sui trasporti, sull’inquinamento e sulle risorse energetiche.
Lo Stato ne beneficia a mani basse mentre le imprese e i cittadini ne soffrono. Ma, spiega Eurostat, contribuiscono a proteggere l’ambiente e le risorse naturali. Nella prospettiva di maggiore tutela dai cambiamenti climatici e sotto l’ombrello della strategia Ue si può pensare anche a un loro aumento. I ricercatori spiegano che la quota media negli stati Ue oggi supera il 10%. Ma è astratta, non recepisce interamente (come tutte le statistiche e le ricerche, del resto) le differenze strutturali e di organizzazione del settore. Anzi, stando all’agenda politica di questi giorni, si discute sulla fiscalità diffusa regionale che potrebbe far calare il dato macro di tassazione incassata dallo Stato centrale.
In Italia le performances e le buone pratiche di alcune Regioni sono contrastate da ritardi, disorganizzazione e – ahinoi! –incapacità gestionali. Ci sono aziende virtuose pubbliche o private, ed aziende che non riescono a raggiungere target soddisfacenti. Eurostat studia annualmente il fenomeno per verificare i progressi verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite. Il core business sono le imprese che tengono su il sistema e le differenze tra Paesi contano. La classifica è usata anche come indicatore del Resource Efficiency Scoreboard. Supponiamo che i Commissari Ue si siano molto rallegrati quando hanno saputo che nel 2017 l’intero gettito di imposte ambientali era salito a 369 miliardi di euro, con un aumento netto di 4 miliardi rispetto al 2016. Saranno stati contenti di sapere che l’Italia ampiamente multata su rifiuti, discariche, emissioni inquinanti è al secondo posto dietro la Germania di Angela Merkel. I soldi in cassa sono aumentati, ma le differenze dentro i Paesi restano tutte.