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Amazon, Google, Apple e FB: faro Antitrust al Congresso Usa

I grandi colossi del Web sfilano per la prima volta davanti ai deputati americani: devono difendersi dall’accusa di aver violato la concorrenza e accumulato uno strapotere sulle proprie piattaforme – “Processo” a un poker di Borsa che vale quasi 4.900 miliardi

Amazon, Google, Apple e FB: faro Antitrust al Congresso Usa

Nel 1994 i Big del tabacco furono i protagonisti di una storica seduta del Congresso Usa in cui i re delle sigarette, compatti, sostennero che non c’era evidenza scientifica che le sigarette creassero dipendenza. Ma il clamore suscitato da quell’audizione potrebbe essere largamente superato oggi da un’anteprima eccezionale. Per la prima volta sfileranno davanti al Congresso i quattro protagonisti assoluti della rivoluzione del web: Jeff Bezos, numero uno di Amazon, Tim Cook di Apple, Mark Zuckerberg di Facebook e Sunday Pichai in rappresentanza di Google. Un poker che in Borsa vale poco meno di 4.900 miliardi di dollari chiamato alla sbarra dal comitato parlamentare Antitrust che chiederà loro conto dello strapotere esercitato dalle loro piattaforme sul web.

Per carità, l’impatto immediato sarà modesto. Comunque vada a finire il “processo” ci vorranno mesi perché, in una nuova legislatura dopo le presidenziali, si studino provvedimenti ad hoc. Inoltre, la scenografia non sarà quella di un processo. I big risponderanno in remoto, non in una sala del Congresso. E gli avvocati hanno chiesto ed ottenuto che i quattro rispondano in contemporanea, di modo che si crei un’atmosfera più simile ad un dibattito che non ad un processo, il clima che senz’altro favorirà leader abituati a gestire presentazioni ed eventi. Ma la novità è comunque rilevante: I Big, un tempo osannati quali portavoce del progresso e del benessere globale, dovranno per la prima volta rispondere dell’eventuale abuso della propria posizione dominante. L’epoca in cui Google poteva adottare il motto “don’tbe evil” è ormai alle spalle. Cresce nel mondo, assieme alla diffusione delle fake news, la scomoda sensazione che Mark Zuckerberg sia il domino di un impero personale votato al suo massimo profitto senza alcun scrupolo morale o politico.

I quattro grandi, che da settimane si stanno esercitando con uno stuolo di comunicatori ed avvocati per affrontare la sfida, sono consapevoli che in palio c’è molto di più di una censura o di un giudizio politico. È in gioco l’immagine pubblica del web ovvero, per rifarsi all’immagine del tabacco, il rischio che le piattaforme dominanti vengano percepite come tossiche, espressione di poteri che in qualche maniera debbano esser messi sotto controllo. “Finora –ha dettami democratico David Cicilline, vicepresidente della commissione parlamentare – queste società hanno fatto quel che volevano, mettendosi d’accordo tra di loro, senza alcun rispetto della concorrenza”. Ma quando mai, è la risposta in coro che emerge dalle memorie anticipate dai Big.

Il successo di Amazon, dirà Jeff Bezos, uno che parla di rado (l’ultima intervista, due anni fa, è stata dedicata alle avventure spaziali), farà presente che ogni suo successo è stato strappato alla concorrenza del commercio fisico mentre Zuckerberg si spingerà a definirsi “un figlio dei valori americani: democrazia, concorrenza e libere espressione del pensiero”. Più convincente sembra lo speech di Tim Cook: “Apple è una società autenticamente americana che se la vede con i coreani ed i cinesi di Huawei (il fantasma che ruba i sonni di Washington) senza avere una posizione dominante in alcuna parte del mondo”.

Fin qui le dichiarazioni iniziali in attesa del contraddittorio, cioè la parte più ghiotta in cui democratici e repubblicani si confronteranno sui temi più caldi, quelli legati al trattamento dei dati riservati da parte dei social media. Ma a dar tono alla sfida sarà soprattutto la mole di documenti, più di un milione, selezionati dal Congresso per confortare l’accusa di pratiche monopolistiche da parte dei giganti che dominano ormai non solo sul web, ma anche a Wall Street.

Uno scontro tra titani, dunque, a cui Mark Zuckeberg si è preparato con una squadra di assistenti e legali, oltre a un discreto numero di parlamentari (non della commissione, ovviamente). Ma attenzione, ammonisce il suo “allenatore”, Matt Perault, docente alla Duke University: “In questo tipo di contronti – dice – è in pratica impossibile vincere. L’importante è non perdere”.

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