Prima il sisma e adesso l’apocalisse dell’alluvione: al di là delle responsabilità dell’uomo, più sfortunata di così l’Emilia-Romagna non poteva davvero essere. Ma la locomotiva d’Italia “ripartirà anche stavolta” sostiene con convinzione l’economista industriale Franco Mosconi, che insegna all’Università di Parma e che ha visto in faccia entrambe la tragedie. L’originale modello di sviluppo emiliano, che Mosconi racconta e analizza da anni e che trova nuove suggestioni nel suo nuovo libro “Modello Emilia. Imprese innovative e spirito di comunità” (Posteditori, 270 pagine) ha in sè le forze per avviare da subito la rimonta. E la ragione della speranza sta nella principale virtù della Regione che il Presidente della repubblica, Sergio Mattarella, ha riassunto perfettamente in queste parole: “In una terra così industriosa si è rimesso il lavoro al centro della vita della comunità”. Poi c’è la crescita dimensionale delle imprese, la loro internazionalizzazione, i loro investimenti in tecnologie e soprattutto in capitale umano, ma alla base della metamorfosi e del successo del modello di sviluppo emiliano c’è la centralità del lavoro, l’innovazione e lo spirito di comunità. In questa intervista a FIRSTonline il professor Mosconi racconta la forza e le origini del miracolo emiliano..
Professor Mosconi, essendo lei di Carpi e insegnando all’Università di Parma, ricorderà molto bene i danni del terremoto del 2012 in Emilia-Romagna: tra quel sisma e l’alluvione di oggi chi ha fatto o rischia di fare danni maggiori all’economia, alle imprese e alla vita sociale della sua Regione?
“Sì, sono ormai da molti anni in Emilia e i danni me li ricordo bene. La mia famiglia di origine invece vive in Romagna, fra Bagno di Romagna e Cesena (la Valle del Savio). Valutazioni oggettive e soggettive si sommano ed è per me impossibile fare stime: prevale, e sarà così ancora per molti giorni, la preoccupazione per coloro, familiari e amici, che là vivono. Il Nobel Giorgio Parisi nei giorni scorsi in una sua intervista al Corriere della Sera (19 maggio) ha affermato, primo, che “sono eventi estremi ai quali dovremo abituarci” e, secondo, che “dipendono dai cambiamenti climatici” per combattere i quali “stiamo facendo davvero pochino”.
Dal terremoto del 2012 le imprese dell’Emilia-Romagna si rialzarono velocemente e molto bene: stavolta le difficoltà per le imprese saranno le stesse o no e, a una prima valutazione, quanto tempo ci vorrà per riprendere la normale attività? Quali sono gli interventi più urgenti per riprendere l’attività produttiva della Regione?
“Da Bologna alla Riviera, passando per Faenza, Forlì, Cesena, e tenendo conto di tutte le vallate colpite (come è stato posto in rilievo, sono esondati oltre 20 fiumi), parliamo di un’area assai vasta. Certo, fu ampia anche l’area colpita dal sisma di fine maggio 2012: in quell’occasione i danni più gravi, sia in termini di vite umane sia di strutture, furono concentrati soprattutto nel distretto del biomedicale di Mirandola. Guardando ora le immagini dall’alto e le fotografie, e ascoltando le voci delle persone che in Romagna vivono, lavorano e operano, la prima impressione è che questa volta l’ampiezza delle zone duramente colpite sia molto, molto ampia. E si tratta di zone destinate sia alle produzioni agricole, sia alle attività industriali, sia a quelle turistiche. Questa coesistenza renderà il processo di ripresa difficile perché le prime sono andate completamente distrutte (con gravissimi danni per le famiglie degli agricoltori, le cooperative, le imprese del settore), mentre le seconde e le terze hanno subito danni strutturali. Il presidente Bonaccini ieri ha parlato di “danni per qualche miliardo di euro”. E penso sia giusto quello che il Governo e la Regione stanno facendo: chiedere alla Commissione europea di attivare il fondo di solidarietà per aiutare la ricostruzione dell’Emilia-Romagna dopo questa devastazione causata dal maltempo”.
Tre anni fa in un suo libro dal titolo già di per sé molto significativo “La metamorfosi del modello emiliano” lei ha spiegato con molta chiarezza quali sono i fattori di successo di questo modello economico. Quali nuove riflessioni suggerisce il suo nuovo libro “Modello Emilia. Imprese innovative e spirito di comunità” ?
“Il Prologo inizia con una citazione del Presidente della Repubblica. Era il 20 maggio 2022 e a Medolla, provincia di Modena e parte del distretto di Mirandola, in occasione del 10^ anniversario del sisma, il presidente Mattarella affermava: “In una terra così industriosa si è rimesso il lavoro al centro della vita della comunità”. Non penso ci siano parole migliori per descrivere quello che è successo”.
Stefano e Vera Zamagni, nella prefazione al suo nuovo libro, sostengono che il caso dello sviluppo economico emiliano è un’eccezione, nel senso che non ha seguito il percorso tradizionale dell’industrializzazione da grande impresa ma ha scommesso sull’industrializzazione diffusa e specializzata, molto orientata all’export e alla qualità del capitale umano e che tutto questo si è abbinato a standard di vita “fra i più alti al mondo”. In Emilia è l’eccellenza dell’impresa che ha reso virtuosa la società o il contrario?
“Il legame virtuoso fra eccellenza dell’impresa e coesione della società è a due vie e si influenzano vicendevolmente. Imprese eccellenti contribuiscono a innalzare il livello tecnologico del sistema economico regionale, ma al tempo stesso il sistema-regione offre capitale umano preparato e servizi di welfare adeguati alle necessità delle famiglie, in primis delle donne lavoratrici (pensiamo agli Asili nido)”.
Nell’introduzione del suo libro, lei avverte che “la prosperità non è sempre”, ma si può pensare che almeno per i prossimi tre anni l’Emilia-Romagna continuerà ad essere la locomotiva d’Italia?
“È una domanda da macroeconomista e, come lei sa, io insegno Economia e politica industriale ed è in questo campo che svolgo la mia attività di ricerca. Posso solo attingere, e l’ho fatto più volte anche nel libro, a chi di Scenari macro si occupa professionalmente. L’Ufficio studi di Unioncamere Emilia-Romagna diretto da Guido Caselli, rielaborando dati di Prometeia, ci dice che tra il 2000 e il 2022 il Pil dell’Emilia-Romagna è aumentato del 13,1%, quello della Lombardia del 16,8% e quello del Veneto del 7,6%. Dove l’Emilia-Romagna è nettamente prima è nel valore aggiunto dell’industria (23,2% contro l’11,3% del Veneto e un decremento della Lombardia) e nelle esportazioni (+92,9% sempre nel periodo 2000-2022 contro il 52% della Lombardia e il 51,3% del Veneto). Una ulteriore e significativa evidenza macroeconomica: Mario Draghi, visitando nella sua veste di Presidente del Consiglio il distretto di Sassuolo (giugno 2021), pronunciò un discorso, anch’esso riportato nel mio libro: “Tra il 2010 e il 2019 – disse il professor Draghi – il prodotto interno lordo dell’Emilia-Romagna è cresciuto di quasi il 7% a fronte di un aumento del prodotto nazionale dello 0,8%”. In conclusione, mi lasci dire che è bene lasciare ai lettori giudicare se tutte queste prove vadano, come io credo, nella direzione della locomotiva”.
Che cos’ha di meglio il modello emiliano rispetto a quello milanese o a quello veneto e che cosa potrebbe invece importare da quei due modelli?
“Non c’è, oggigiorno, un’Emilia felix (ammesso e non concesso che nel passato sia mai esistita). Lo affermo nel libro, e lo dico a maggior ragione oggi in presenza di quello che sta accadendo con le devastazioni. C’è un’economia regionale che, come dicevo dianzi, viene da un percorso più che ventennale di crescita (nel Pil e nell’export) e di trasformazione: la metamorfosi, appunto. Lungo la Via Emilia funziona molto bene il dialogo e la cooperazione fra le istituzioni, il mondo delle imprese (singole e per il tramite delle loro Associazioni), il mondo bancario e – si badi bene – il “terzo pilastro” (copyright Professor Rajan), ossia la società civile. Su alcuni fondamentali obiettivi, utili al benessere e alla crescita di tutta la comunità regionale, questi attori sanno trovare soluzioni condivise. È quello che chiamiamo spirito di comunità e che caratterizza nel profondo la società Emiliano-romagnola”.
Il modello emiliano sarà ancora per molto tempo basato sulle medie imprese del Quarto capitalismo o, prima poi, potrebbe tenere a battesimo una nuova grande impresa nei settori industriali più avanzati?
“Anzitutto, ci sono già oggi alcune multinazionali nel settore alimentare. Ancora: Le indagini di Mediobanca sia sulle principali società italiane che sulle medie imprese industriali (quest’ultima in collaborazione con Unioncamere e Istituto Tagliacarne) ci dicono che queste categorie di imprese sono ben rappresentate in Emilia-Romagna. Di più: il Monitor dei distretti industriali di Intesa Sanpaolo nostra una diffusione capillare di questa particolare forma di organizzazione della produzione, dove – in un numero sempre maggiore di casi – emergono imprese leader o capo-filiera (di dimensione medio-grande). Infine, nello stesso mondo cooperativo, di cui questa regione e’ la “culla”, sono molte le cooperative che hanno fatto il salto dimensione combinando crescita interna e crescita esterna (via M&A). Certo, non c’è un colosso come quello nato dalla lungimirante fusione, voluta da Leonardo Del Vecchio, fra Luxottica ed Essilor, un vero ‘campione europeo’”.
Oltre alla propensione all’export, alla crescita dimensionale delle imprese, al loro sviluppo tecnologico, alla capacità di attrarre talenti e investimenti strategici, lei pone spesso l’accento sull’importanza della qualità del capitale umano dell’Emilia e non per caso lei si è battuto spesso in passato per la creazione anche in Italia degli ITS. Finalmente questi istituti ci sono: che effetti stanno avendo sull’Emilia Romagna e quanto possono giovare al miglioramento del mercato del lavoro e alla crescita economica dell’intero Paese?
“Sì, il PNRR prevede una riforma e un potenziamento degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) e lo fa citando esplicitamente il “modello ITS dell’Emilia-Romagna …”. Speriamo che quel miliardo e mezzo di euro destinato a questo scopo venga investito fino all’ultimo centesimo in questo fondamentale canale di istruzione terziaria non accademica, parallelo all’università; un canale fondamentale per formare i tecnici specializzati per le nostre imprese manifatturiere di qualità, vuoi nei settori classici del Made in Italy, vuoi in quelli high-tech. Altre reti (o network, se si preferisce) esistono in regione e, al pari della Rete Politecnica (che raggruppa tutti i percorsi ITS e IFTS), contribuiscono a creare legami virtuosi tra economia e società, tra imprese e ricerca, tra istituzioni e associazioni”.
In conclusione, il modello emiliano è, per la sua tipicità, destinato a restare imperniato sul suo territorio d’origine o può rappresentare la base di una moderna politica industriale sulla scia di Industria 4.0. e, in questo caso, quali ne potrebbero essere i pilastri portanti?
“Una regione che ha un rapporto fra esportazioni e Pil superiore al 40% e’, certo, una regione dove il territorio d’origine conta: come spiegare altrimenti la crescita delle eccellenze presenti nei nostri distretti/cluster e nelle nostre filiere? In una parola, un po’ in tutte le nostre città e valli. Ma una regione (un’economia, meglio) fatta così e’ naturalmente aperta al mondo, sia per i flussi commerciali (import/export) sia per i flussi di investimenti diretti esteri (IDE in entrata e in uscita). La politica industriale, oggi più di ieri, va finalizzata agli investimenti in conoscenza (R&S, capitale umano, ICT) e allo sviluppo delle tecnologie abilitanti. La nascita della Data Valley, imperniata a Bologna sul Tecnopolo, e’ la più emblematica tra le nuove iniziative costruite lungo l’asse Bruxelles-Roma-Bologna. Ossia, la nuova politica industriale, nel terzo decennio del XXI secolo, la puoi plasmare soltanto grazie a una collaborazione fattiva tra i tre livelli di governo – comunitario, nazionale, regionale – che, a vario titolo, hanno competenza su questa fondamentale area di policy. Che tutto il mondo sta (ri)scoprendo”.