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Allarme siccità: per il meteorologo Luca Mercalli servono progetti a lungo termine, concertazione e occhio ai cambiamenti climatici

Fondazione Golinelli

La siccità che ha colpito l’Italia non finirà con il 2023. Il fenomeno è legato ai cambiamenti climatici e incide su un sistema che ha grandi debolezze in quanto ad infrastrutture, politiche contro le emergenze, progetti di lunga durata. Una conta dei danni è quella riportata nel Libro Bianco 2023 “Valore Acqua per l’Italia”, curato  dall’Osservatorio della Community Valore Acqua per l’Italia dello Studio Ambrosetti. Nella quarta edizione è scritto che l’emergenza idrica sta mettendo a rischio 320 miliardi di euro, pari al 18% del PIL. Per  avere qualche speranza di successo il Libro Bianco propone il modello delle 5R: Raccolta, Ripristino, Riuso, Recupero e Riduzione. Per la siccità il governo ha istituito una cabina di regia ed è alla ricerca di un Commissario straordinario cui affidare la gestione dell’emergenza. Siamo sicuri che è la scelta giusta? E come l’Italia si prepara per il futuro?

Ne abbiamo parlato con Luca Mercalli, climatologo, divulgatore scientifico e Presidente della Società  Meteorologica Italiana.

Professor Mercalli, quanto è utile la nomina di un Commissario alla siccità?

Credo sia utile solo a gestire l’emergenza da un punto di vista  burocratico. A mettere d’accordo i vari utenti. Purtroppo quando di acqua c’è n’è poca, ognuno rivendica il proprio diritto ad averla, però alla fine si litiga.

In quali settori dovrebbe intervenire?

Nei grandi settori. Al primo posto c’è ovviamente l’acqua potabile, poi ci sono l’agricoltura, l’energia idroelettrica e gli atri usi industriali. L‘unica cosa che può fare il Commissario straordinario è di far  sedere tutti intorno ad un tavolo e gestire il razionamento con buon senso. In fondo è un lavoro di tipo amministrativo.

Ma il problema resterà

Certo. Da un punto di vista tecnico le azioni da fare sono molto più lunghe. Dobbiamo attrezzarci per la siccità del futuro, cosa che avremmo dovuto fare molti anni fa e non abbiamo fatto.

Parla di infrastrutture?

Si. Se dobbiamo costruire una diga, non la facciamo in due mesi, ma in dieci anni. 

In un’altra occasione Lei ha detto che contro la siccità c’è bisogno di un programma politico definitivo.  Può spiegare meglio?

Quando si lavora con l’acqua sul territorio, bisogna fare un’attenta progettazione e farla tutti insieme. Le faccio un esempio: se un fiume nasce in montagna ed arriva al mare bisogna essere tutti d’accordo su quello che si vuole fare. Non sono cose che può fare un singolo Ente o un Comune. Queste cose, purtroppo, le vediamo nei grandi Paesi africani. Basta che un Paese faccia una diga – mettiamo sul Nilo- e si scatena una guerra. Pensi, per l’acqua! Nel nostro piccolo rischiamo di farla anche in casa nostra.

Non arriveremo a tanto, ma non è facile gestire situazioni come questa legate ai cambiamenti climatici

Vero. Per questo dico che ci vuole una concertazione di tutti coloro che hanno a che fare con la gestione dell’acqua. Bisogna rispettare l’ambiente, il territorio, gli scenari climatici del futuro, poi finalmente quando si decide cosa fare inizia la fase autorizzativa. Anche questa, una fatica da superare che in Italia non è poca cosa.

Cosa deve fare la politica, allora?

Deve preparare programmi che vanno al di là del governo del momento. Cambia il governo e si ferma tutto?  No. Abbiamo bisogno di progettualità di lungo periodo.

Sono progetti molto impegnativi, evidentemente. Lei ha anche un’idea dei costi da sostenere?

I costi sono stati quantificati più volte e dipende dai settori. L’agricoltura per esempio ha quantificato i suoi, sugli acquedotti bisogna intervenire per chiudere le falle e sappiamo di avere acquedotti vecchi che perdono mediamente il 40% dell’acqua. Sono investimenti importanti, ma non credo che sia un problema di soldi.

Questa è una notizia…..

Si, perché di soldi ne buttiamo via tanti. Pensiamo alle armi, a quanti miliardi stiamo spendendo per le armi. Mi lasci dire, forte e chiaro, che personalmente preferisco usare i miliardi che ci sono per fare canali o acquedotti, gestire la siccità. Se i soldi li usi per fare altre cose, alla fine mancano.

Guardiamo avanti. Per rimettere a posto il Paese è stato preparato un Piano di ripresa con investimenti in infrastrutture, tecnologie, transizione ecologica e digitale. Che idea si è fatto ?

Il PNRR, purtroppo, ha fatto fare le progettazioni delle opere troppo in fretta. Molti progetti per la scadenze di consegna, non hanno quelle caratteristiche di cui dicevo prima. Spesso sono progetti che giacevano nei cassetti e sono stati ritirati fuori. Ovviamente mi auguro che parte dei soldi del Piano affrontino questi temi, compresa la siccità. Però, si poteva fare decisamente meglio. 

In linea di massima ritiene adeguati i 60 miliardi di euro del PNRR per rivoluzione verde e la transizione ecologica ? 

No, penso che sono briciole. Pensiamo solo a quanti soldi servono per l’ammodernamento degli acquedotti….e poi tutto il resto. 

Secondo Lei perché l’Italia non aggiorna il Piano clima? Il capo Dipartimento Energia del Ministero dell’Ambiente l’altro giorno ha ammesso che hanno appena cominciato a lavorarci.

L’Italia nel 2014 ha redatto il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici che è rimasto semplicemente un programma. Deve essere trasformato in qualcosa di attuativo. Soltanto oggi, quasi dieci anni dopo, il Ministero lo ha messo in consultazione. Ma la consultazione scade il 14 aprile prossimo ed è piena di burocrazia. Come sempre accade in questi casi il documento lo consulteranno coloro che avranno degli interessi da difendere.

Lei pensa che su questi ritardi incidano interessi delle aziende delle energie fossili ? 

Certamente ci sono interessi di questo genere. E’ chiaro che ogni lobby tira l’acqua o il petrolio (sic!) al proprio mulino. Ma è normale.

E cosa si aspetta faccia il governo?

Che metta tutti insieme per non far prevalere interessi di parte che possono nuocere alla collettività e soprattutto alle generazioni future.

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Professor Mercalli, entro i prossimi otto anni dobbiamo eliminare metà delle emissioni nocive per arrivare a zero emissioni al 2050. Ce la faremo?

Penso che ci siano ancora le possibilità di riuscita, ma sarà un’impresa epocale e faticosa, per questo dobbiamo iniziare subito e con convinzione, come dice l’Ipcc, il Gruppo Intergovenativo per il cambiamento climatico. È come una dieta ed abbiamo davanti a noi  degli anni  per arrivare alla decarbonizzazione. Non deve farlo solo l’Italia, sia chiaro, per questo dico che sono importanti i programmi attuativi.

Ma il governo Meloni nelle ultime settimane ha firmato diversi accordi per importare più gas dai Paesi del bacino del Mediterraneo. C’è il progetto di realizzare l’hub del gas europeo. Cosa ne pensa?

Con la scusa dell’emergenza del gas russo ci siamo ipotecati un lungo futuro. Non conosco le clausole degli accordi, ma certamente quegli accordi rallenteranno la transizione energetica.   

Mi scusi: da un lato importeremo più gas, dall’altro dobbiamo ridurre le emissioni climalteranti. Sono due fenomeni che nel medio periodo si accavallano. Se ne può venire fuori?

Paradossalmente il miglior metodo era insistere sull’ecobonus togliendo le storture che c’erano e favorire così il risparmio energetico nelle nostre case. Il 40% dell’energia europea viene dispersa nelle abitazioni. Penso che avremmo ottenuto quasi lo stesso risultato usando meno gas attraverso l’efficienza delle abitazioni.

Vede, dunque, ricadute negative?

Si, perché con l’eliminazione dei bonus abbiamo affondato il settore edilizio e quello della riqualificazione degli edifici. Chi è rimasto scottato dalla soppressione improvvisa dell’ecobonus non si fida più dello Stato. Le aggiungo che la prossima volta che ci sarà un provvedimento sul risparmio energetico, il cittadino si terrà ben lontano. Secondo me è stata un’operazione drammatica per la credibilità delle istituzioni. 

Ma sui bonus ci sono stati anche abusi e truffe. Il governo ha deciso di non eliminare del tutto il gas che per un certo periodo serve ad accompagnare la transizione verde.

Per me la decisione rallenta il risparmio energetico e continueremo ad essere incoraggiati ad usare il gas. Ma lo useremo male, perché lo buttiamo via nel colabrodo del nostro patrimonio edilizio. Non per niente in tutta Europa è chiamato passoir énergétique.

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