L’epoca in cui viviamo si caratterizza per alcuni gravi squilibri che riguardano il funzionamento e la gestione dei sistemi agroalimentari su scala globale. Si tratta di autentici paradossi legati alla produzione del cibo e alla sua distribuzione. Tre di questi paradossi, in particolare, colpiscono l’attenzione per la loro importanza. Il primo paradosso riguarda la presenza nel mondo di quasi un miliardo di persone che soffre la fame, a fronte di un numero ancora maggiore di uomini e donne che si alimentano – senza un’adeguata cura del mix e dell’equilibrio tra i cibi – in modo eccessivo, andando incontro a maggiori rischi di gravi malattie metaboliche (come il diabete), di tumori e di patologie cardiovascolari.
Si potrebbe dire che è il paradosso del mancato “accesso” verso l’“eccesso” di consumo di beni alimentari. Il secondo paradosso riguarda l’uso non ottimale delle produzioni alimentari, in termini di destinazioni di consumo. A fronte di un quadro d’insicurezza alimentare globale molto acuta, un terzo dell’intera produzione alimentare globale è destinato alla nutrizione di circa tre miliardi di animali da allevamento. A ciò si aggiunge un’ulteriore forma di uso improprio delle risorse della Terra: la concorrenza tra biocarburanti e cibo. Il cibo per l’alimentazione dell’uomo (food) è posto in competizione con la produzione di beni alimentari per la nutrizione degli animali da allevamento allevamento (feed) e con la produzione di beni alimentari per scopi estranei all’alimentazione (fuel). Il terzo paradosso riguarda lo spreco di beni alimentari a fronte dei crescenti fenomeni di scarsità di risorse produttive agricole.
Si tratta del fenomeno del cosiddetto food waste/losses. I tre paradossi, letti congiuntamente, offrono la misura della distanza che separa la realtà attuale da una situazione che possa essere giudicata, se non ottimale, almeno accettabile. Di seguito proporremo una descrizione di maggior dettaglio di ciascun paradosso e delle cause profonde degli squilibri evidenziati. “Accesso al cibo” verso “Eccesso di cibo”.
Denutrizione ed eccesso di nutrizione minacciano, ogni anno, per ragioni diverse, la vita di milioni di uomini e donne. Nel mondo, infatti, il peso delle malattie può essere attribuito per oltre la metà alla fame, agli apporti energetici sbilanciati o alle deficienze vitaminiche e minerali. Partiamo dall’analisi del primo aspetto, quello relativo all’accesso al cibo. La gravità del problema della food security – intesa come livello di disponibilità e possibilità di accesso al cibo per le persone e per le popolazioni – emerge chiaramente dall’analisi dei dati.
Nel 2011 il numero complessivo di persone che hanno sofferto la fame è stato, secondo le stime della FAO, di 868 milioni. Su una popolazione di circa 6,9 miliardi di persone, il problema della denutrizione e malnutrizione riguarda oggi il 12,6% del totale. 36 milioni di persone muoiono ogni anno per le conseguenze della denutrizione. “Fame” non significa solamente mancanza di adeguato quantitativo di cibo. Altrettanto importante è la composizione della dieta. Chi non riceve i corretti apporti nutritivi nelle giuste quantità non riesce a svolgere una vita sana e attiva: le conseguenze sono malattie gravi, morti e un’incalcolabile perdita delle potenzialità umane e dello sviluppo sociale.
Le principali cause della denutrizione e della malnutrizione sono i disastri naturali, i conflitti, la povertà endemica, la scarsità d’infrastrutture per l’agricoltura e lo sfruttamento eccessivo dell’ambiente. Mentre quasi un miliardo di persone lotta per sopravvivere in condizioni di sottonutrizione, centinaia di milioni di persone – prevalentemente nelle aree più ricche della Terra – soffrono le conseguenze di malattie provocate da diete alimentari eccessive o sbilanciate. 29,2 milioni di persone muoiono ogni anno per patologie collegate a stili alimentari sbagliati, a fronte di 1,5 miliardi di persone significativamente sovrappeso o obese. Si tratta di un’autentica epidemia.
Purtroppo però, in tutti i Paesi occidentali si sta osservando una crescita esponenziale del fenomeno dell’obesità e del sovrappeso già negli anni dell’infanzia. Secondo i dati raccolti dall’International Obesity Task Force, i bambini in età scolare obesi o sovrappeso nel mondo sono 155 milioni, cioè 1 su 10. Parallelamente, nelle realtà dei Paesi emergenti (come, ad esempio, Cina e Brasile), si assiste alla preoccupante diffusione di entrambi i fenomeni estremi, poiché, da un lato, vengono assunti modelli alimentari che portano parte della popolazione all’obesità e, dall’altro, si verificano, invece, situazioni di preoccupante denutrizione e malnutrizione in molte aree del Paese. Le cause dei fenomeni descritti sono molto diverse, come abbiamo osservato. Il paradosso “accesso – eccesso” è però il sintomo più evidente delle difficoltà che gli attori dei sistemi agroalimentari sperimentano oggi nel trovare soluzioni ottimali alle esigenze nutrizionali di uomini e donne, a tutte le latitudini.
Destinazioni di consumo dei beni alimentari (Food vs Feed vs Fuel)
Il secondo paradosso è relativo agli impieghi alternativi dei prodotti agricoli alimentari. In una realtà nella quale le risorse chiave per l’agricoltura (su tutte, acqua e suolo) sono sempre più “scarse”, la competizione per assicurarsi il loro impiego è molto accesa e coinvolge anche processi ed attività estranei all’alimentazione umana, quale la produzione di biocarburanti. Per comprendere la portata dei problemi legati alla scarsità delle risorse, basti pensare che oggi centinaia di milioni di persone hanno accesso limitato e insufficiente all’acqua potabile e circa quattromila bambini muoiono ogni giorno per questa ragione. Ogni stile di vita, ogni processo produttivo che comporti un utilizzo di acqua eccessivo deve essere pertanto rimesso in discussione e ridefinito alla luce di una proiezione futura di maggiore sostenibilità. In questo quadro, anche le scelte di consumo alimentare assumono rilievo, in quanto attivano processi produttivi a diverso impatto ambientale.
Per supportare la diffusione di stili alimentari maggiormente consapevoli, il BCFN ha ideato e messo a punto uno strumento che consente di valutare le conseguenze delle scelte di consumo in ambito alimentare, per la salute delle persone e per l’ambiente: la cosiddetta Doppia Piramide nutrizionale e ambientale. L’attività di analisi svolta ai fini della costruzione della Doppia Piramide ha evidenziato, una volta di più, come la dieta mediterranea costituisca un approccio nutrizionale ottimale per mix di ingredienti e impatto sull’ambiente. Il tema degli impieghi alternativi dei beni alimentari riguarda inoltre la produzione di biocarburanti, i cosiddetti biofuel. Gli obiettivi di sicurezza energetica e il problema dell’esaurimento delle fonti fossili d’energia sono due tra i fattori che hanno determinato una crescente attenzione verso le energie rinnovabili, sia da parte dei Paesi occidentali che di quelli emergenti e in via di sviluppo. Tra le fonti di energia “verde”, la quota di produzione e consumo di biocarburanti è aumentata rapidamente negli ultimi anni e si prevede continui a crescere anche nel prossimo futuro. La produzione a livello globale dei biofuel è passata, infatti, in pochi anni dai 49,6 miliardi di litri del 2007 agli 88,6 miliardi di litri del 2010, anno che ha registrato una produzione record prima della lieve frenata nel 2011.
Questa crescita è stata trainata soprattutto da politiche energetiche nazionali e sovranazionali (come i mandati sulle quote di biocarburanti e gli obiettivi di produzione di energie rinnovabili), da sussidi, sgravi fiscali e misure di protezione. Va ricordato che i biocarburanti possono essere di “prima” o di “seconda” generazione: secondo una definizione dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), i biocarburanti di prima generazione sono tipicamente l’etanolo da zucchero di canna, da radici o mais e il biodiesel. I biocarburanti di seconda generazione sono, invece, prodotti da sostanze organiche non alimentari, quali la cellulosa, l’emicellulosa o la lignina. Il fatto che la produzione di questi ultimi sia molto più complessa e costosa, fa sì che la loro quota sul totale resti ancora oggi piuttosto contenuta. È questa la ragione per la quale la crescente produzione di biocarburanti compete direttamente con l’utilizzo di materie prime nel settore alimentare. Gli effetti di sostituzione tra colture per via della domanda di biocarburanti non solo hanno contribuito a spingere verso l’alto i prezzi dei cereali in occasione della crisi alimentare del 2008, ma hanno generato una tendenza rialzista su tutte le tipologie di cibo, con effetti negativi soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. L’aspetto critico sollevato dall’analisi del secondo paradosso riguarda le scelte di destinazione alternativa dei beni alimentari. Si tratta, in altre parole, di valutare la misura nella quale sia corretto che gli impieghi nel campo, ad esempio, dell’energia possano limitare le potenzialità di sbocco verso il mercato dell’alimentazione umana, condizionando le scelte di opportunità economica degli agricoltori.
Spreco alimentare (food waste/losses)
Il terzo e ultimo paradosso riguarda lo spreco del cibo, in un passaggio storico di grande preoccupazione per la ridotta disponibilità di risorse agroalimentari (suolo fertile, acqua, materie prime per la produzione di fertilizzanti, ecc.). Non esiste ancora una definizione univoca del fenomeno degli sprechi alimentari, né vi sono dati omogenei e confrontabili a livello europeo per misurarne l’entità. Una definizione che considera tutte le fasi della filiera agroalimentare propone di distinguere tra:
- food losses, ossia le perdite che si determinano a monte della filiera agroalimentare, principalmente in fase di semina, coltivazione, raccolta, trattamento, conservazione e prima trasformazione agricola;
- food waste, ossia gli sprechi che avvengono durante la trasformazione industriale, distribuzione e consumo finale.
L’analisi realizzata nel 2011 dalla FAO stima gli sprechi alimentari nel mondo in 1,3 miliardi di tonnellate l’anno, pari a circa un terzo della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. Se lungo la filiera agroalimentare, oltre alle perdite e agli sprechi, si considera anche la conversione della produzione alimentare in mangime per animali, si scopre che solo il 43% dell’equivalente calorico dei prodotti coltivati a scopo alimentare a livello globale viene direttamente consumato dall’uomo. Mentre nei Paesi in via di sviluppo le perdite più significative si concentrano nella prima fase della filiera agroalimentare, soprattutto a causa dei limiti nelle tecniche di coltivazione, raccolta e conservazione, o per la mancanza di adeguate infrastrutture per il trasporto, la consegna e l’immagazzinamento, nei Paesi industrializzati la quota maggiore degli sprechi avviene nelle fasi finali della filiera (consumo domestico e ristorazione, in particolare). Anche in questi Paesi si registrano però perdite di entità non trascurabile nella fase agricola: in Italia, ad esempio, nel 2009 la merce agricola rimasta nei campi ammontava a 17,7 milioni di tonnellate, pari al 3,25% della produzione totale. Le cause dello spreco differiscono nelle diverse fasi della filiera agroalimentare:
- in agricoltura, le perdite alimentari sono riconducibili in prima analisi a fattori climatici e ambientali, alla diffusione di malattie e alla presenza di parassiti. La dotazione tecnologica e infrastrutturale, le competenze agronomiche e le tecniche di preparazione del terreno, semina, coltivazione, raccolta, trattamento e immagazzinamento sono alla base delle significative differenze tra Paesi in via di sviluppo e Paesi sviluppati;
- nelle fasi di trasformazione del prodotto agricolo e dei semilavorati le cause che determinano gli sprechi sono individuabili principalmente in malfunzionamenti tecnici e inefficienze nei processi produttivi: normalmente si parla di “scarti di produzione”;
- nella distribuzione e vendita (sia essa all’ingrosso che al dettaglio) gli sprechi dipendono da molteplici cause, tra cui ordinazioni inappropriate e previsioni errate della domanda;
- gli sprechi domestici nascono dalla difficoltà del consumatore di interpretare correttamente l’etichettatura degli alimenti; perché vengono preparate porzioni troppo abbondanti (tanto nei ristoranti quanto a casa); a causa degli errori commessi in fase di pianificazione degli acquisti (spesso indotti da offerte promozionali); quando gli alimenti non vengono conservati in modo adeguato.
Superare le contraddizioni
I sistemi agroalimentari moderni hanno conosciuto, nell’arco degli ultimi quaranta anni, notevoli progressi tecnico-produttivi un po’ ovunque nel mondo, garantendo – pur tra luci ed ombre – l’accesso al cibo ad un numero crescente di persone. Come spesso accade, però, la risoluzione di antichi problemi ha reso possibile l’affiorare di nuovi problemi con cui occorre ora confrontarsi. La sfida futura è quella di affrontare e risolvere tali problemi, facendo nel contempo fronte alla scarsità delle risorse, al fenomeno del cambiamento climatico, alla crescita demografica. Numerose sono le azioni da realizzare, come anche sottolineato nei lavori del BCFN, da parte dei diversi attori. Quelle che a noi sembrano più urgenti sono:
- creare un’unica agenzia mondiale che si occupi, come fa l’OPEC con il petrolio, di monitorare e coordinare in modo integrato le politiche alimentari;
- rafforzare i meccanismi di governo globale delle filiere. Occorre superare il paradigma del mercato capace di autoregolarsi e promuovere il coordinamento delle politiche globali e la riduzione nel tempo delle logiche protezionistiche. Serve, in altre parole, un miglior mercato, su scala mondiale;
- realizzare incrementi di produttività agricola. La sfida è quella di continuare ad innovare, orientandosi verso la messa a punto di modelli agricoli e produttivi a elevata produttività, maggiore qualità e minor impatto ambientale;
- investire di più in Ricerca e Sviluppo per migliorare la qualità e l’efficienza della produzione agricola;
- migliorare i processi di distribuzione dei beni alimentari;
- adeguare la filiera produttiva alimentare per gestire la volatilità dei prezzi e garantire reti di protezione in caso di crisi;
- indirizzare gli stili alimentari. Per la prima volta nella storia, l’azione di governo e indirizzo dei modelli alimentari sta diventando una variabile decisiva di politica economica;
- “educare” i consumatori a comportamenti più responsabili sul versante delle scelte di consumo e dello spreco di beni alimentari;
- ridurre gli sprechi non ancora eliminati attraverso la distribuzione a persone svantaggiate, una maggior attenzione all’adozione di standard di produzione che non introducano perdite e sprechi ingiustificati, lo sviluppo di accordi di filiera tra agricoltori, produttori e distributori per una programmazione più corretta dell’offerta alimentare.
I paradossi segnalano, in sintesi, l’esistenza di contraddizioni irrisolte. Il superamento delle contraddizioni richiede nuovi approcci, insieme ad una rinnovata attenzione da parte delle Istituzioni e degli attori del sistema agroalimentare.