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Alimentazione: dieta “senza glutine”, a chi fa bene e a chi fa male

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Siamo sommersi da un numero crescente di diete per ogni situazione patologica e per ogni condizione fisiologica. Una dieta per ogni fascia di età e una per ogni attività lavorativa, ci sono quelle che promettono di far perdere peso in tre giorni, altre in un mese, alcune fanno venire la pancia piatta anche solo per il week end, esistono poi le diete senza: senza glutine e senza lattosio, senza zuccheri e senza grassi ma anche quelle senza muco. Insomma un esercito di diete una per ogni esigenza del consumatore la cui instabilità e fragilità invece di essere un limite è un punto di forza perché ogni fallimento porta ad un altro tentativo che andrà ad alimentare il ricchissimo mercato della diet industry.

Ad aggravare il fenomeno c’è da considerare che anche quando la dieta non sortisce l’effetto voluto (perdita di peso, ventre piatto, muscoli da lottatore ecc.) può comunque creare problemi alla salute. È il caso della dieta “gluten free” – senza glutine!

Ma che cos’è il glutine e perché fa male a chi è celiaco?

La parola glutine deriva dal latino gluten ovvero colla, si tratta di un complesso proteico presente in alcuni cereali composto da due tipi di proteine non solubili in acqua. Per le sue caratteristiche il glutine conferisce estensibilità e tenacia agli impasti delle farine che lo contengono. Durante l’impastamento della farina con l’acqua queste proteine (gliadina e glutenina) formano un reticolo che prende il nome di “glutine” detto anche “maglia glutinica”. Il gas (anidride carbonica) prodotto dai lieviti nel tentativo di uscire dall’impasto per disperdersi nell’ambiente, spinge sulla maglia glutinica in modo tale da far lievitare l’impasto. Questo processo dura finché il lievito è in grado di produrre gas. La lievitazione sarà tanto migliore quanto più elevata è la produzione di gas da parte dei lieviti, ma anche quanto migliore sarà il contenuto in glutine di una farina e quindi la maglia proteica formatasi, che sarà più estesa e reticolata e quindi capace di trattenere maggiormente i gas che si sviluppano all’interno dell’impasto. I cereali che contengono glutine sono il frumento, avena, farro, grano khorasan (Kamut), orzo, segale, spelta e triticale e di conseguenza in tutti i derivati alimentari di questi prodotti come per esempio la pasta e i prodotti da forno (pane, pizza, torte, biscotti, cracker etc.) preparati con questi cereali.

Contrariamente a quanto accade nella stragrande maggioranza degli individui, nelle persone affette da celiachia la presenza della gliadina del glutine scatena un’infiammazione cronica dell’intestino tenue. Il potenziale tossico del glutine è tale che è sufficiente anche una piccola quantità di proteina per scatenare la malattia celiaca. I sintomi vanno dalla diarrea profusa con marcato dimagrimento, calo di peso, astenia, gonfiore, dolore addominale e nei bambini anche rallentamento o arresto della crescita. Tuttavia queste manifestazioni intestinali non sempre sono presenti, mentre altri sintomi possono essere quelli extraintestinali, così come l’associazione con malattie autoimmuni. La Celiachia non trattata può portare a complicanze anche drammatiche, come il linfoma intestinale. Oggi la dieta gluten free rappresenta l’unico trattamento disponibile per la celiachia ed è necessaria per ottenere la remissione dei sintomi e segni associati alla celiachia e prevenirne le gravi complicanze, la sua diagnosi può essere fatta con assoluta sicurezza attraverso gli esami del sangue e la biopsia della mucosa duodenale.

La celiachia è la più frequente intolleranza alimentare a livello globale. La prevalenza in Europa nella popolazione adulta è pari all’1% con un intervallo di variabilità che va dallo 0,2% della Germania al 2-3 % della Finlandia e della Svezia. Negli Stati Uniti la prevalenza si assesta intorno all’1% così come in Europa; scende allo 0,6% e 0,8% rispettivamente in Centro America e in Sud America per fermarsi allo 0,5% del continente oceanico. In Italia si ritiene che i celiaci siano circa 600.000, l’1% della popolazione, ma ad oggi meno di 200.000 sono stati diagnosticati con una maggiore presenza nelle donne (145.759 casi) rispetto agli uomini (60.802 casi). Le ragioni per cui la malattia è sottostimata nascono dal fatto che questa si può manifestare con sintomi generici e variabili.

Altri disordini collegati al consumo di glutine riguardano la sensibilità non celiaca al glutine, l’atassia glutinica, la dermatite erpetiforme di Duhring e l’allergia al grano, nel quale il glutine ricopre un aspetto centrale nell’insorgenza degli effetti avversi. La percentuale di sensibilità non celiaca è di circa l’1,5 %, ed è un disturbo di recente introduzione nel linguaggio clinico, utilizzato per identificare tutti quei casi in cui un paziente manifesta sintomi caratteristici della malattia celiaca, e trae beneficio da una dieta priva di glutine, nonostante non presenti celiachia o allergia al grano.

Il mercato dei prodotti gluten free in Italia vale 320 milioni di euro ma li usa anche chi non ne ha bisogno

Il dato che oggi sorprende di più è il crescente mercato negli ultimi anni dei prodotti gluten free. Negli Stati Uniti nel 2016 sono stati spesi per la vendita al dettaglio di alimenti senza glutine più di 15,5 miliardi di dollari e in Italia, stando a una analisi di Coldiretti, si spendono 320 milioni di euro all’anno per acquistare prodotti senza glutine non sempre per motivi legati alla salute, facendo registrare un aumento del 20% di vendite l’anno. Anche i ristoranti e altri luoghi di consumo che offrono ricette senza glutine sono saliti oltre il 58%. Un cambiamento di abitudini che – continua la Coldiretti – è stato riconosciuto anche dal paniere Istat che nel 2015 ha sancito l’ingresso della pasta e dei biscotti gluten free per il calcolo dell’inflazione.

La denuncia viene fatta anche dall’AIC – Associazione Italiana Celiaci, preoccupata dal diffondersi del mercato del senza glutine, di cui una consistente porzione, un terzo dei consumatori, esula dalla terapia della celiachia che, in assenza di alcuna evidenza scientifica, ritiene che una dieta di esclusione del glutine sia benefica indipendentemente dall’essere celiaci.

Questo comportamento è guidato da molteplici fattori, tra cui il marketing aggressivo orientato al consumatore da parte di produttori, letteratura medica e stampa tradizionale dei benefici clinici dell’esclusione del glutine, così come conseguenza anche di quanto sostenuto da numerosi personaggi noti dello spettacolo, non celiaci, che seguono la dieta gluten free e lo dichiarano pubblicamente nell’erronea convinzione che garantisca un maggior benessere o che faccia dimagrire. Tuttavia, anche se l’abolizione del glutine può essere utile per alcuni pazienti con sintomi gastrointestinali (come quelli con la sindrome dell’intestino irritabile), le prove di alta qualità scientifica a sostegno dell’eliminazione del glutine per sintomi fisici o malattie diverse da quelle specificamente note per essere causate da risposte immuno-mediate al glutine, non sono né solide né convincenti.

Fa bene togliere il glutine dalla dieta anche quando non se ne ha bisogno?

Le persone che eliminano il glutine dalla propria dieta anche in assenza di celiachia o di altro disturbo che implichi l’esclusione di glutine, sono persuase che questo modello dietetico possa essere più salutare di altri o che possa aiutare a perdere peso. Peccato che tali ipotesi non siano supportate dalla ricerca, anzi in numerosi casi gli studi vanno nella direzione opposta. Inoltre, alcuni atleti, che hanno dichiarato di seguire una dieta gluten free dopo autodiagnosi di sensibilità al glutine, riferiscono che sono migliorate le performance atletiche nonché il grado di resistenza. È interessante notare che gli intervistati hanno indicato che le loro principali fonti di informazione sulla dieta gluten free le avevano ricevuto da siti internet, dal loro allenatore o da altri atleti. Singolare sono i risultati di un trial clinico nel quale 13 ciclisti professionisti non celiaci si sono sottoposti ad uno studio di intervento con dieta senza glutine per una settimana e dieta con glutine dopo un periodo di 10 giorni di dieta libera. Dall’analisi dei dati è emerso che non sono state riscontrate differenze significative tra le due diete quando sono stati analizzati sia i sintomi gastrointestinali che le prestazioni atletiche su prove cronometrate.

A questa analisi va aggiunto anche che la qualità nutrizionale di una dieta priva di glutine può determinare carenze nutrizionali a causa del minor contenuto di nutrienti negli alimenti privi di glutine, tra cui fibre alimentari, folati, ferro, niacina, vitamina B1 e vitamina B2. In particolare il ridotto consumo di cereali integrali, e quindi di fibra alimentare, è stato collegato ad un incremento di coronaropatia. Per questi motivi, i ricercatori dicono che la promozione di diete prive di glutine tra le persone senza celiachia non dovrebbe essere incoraggiata. E avvertono che “la promozione di diete prive di glutine ai fini della prevenzione delle cardiopatie coronariche tra le persone asintomatiche senza celiachia non dovrebbe essere raccomandata”.

Sulla base delle attuali conoscenze scientifiche non è assolutamente consigliabile una dieta senza glutine nei soggetti che non siano celiaci o che non abbiano una condizione di ipersensibilità al glutine. Si rischia di non raggiungere un adeguato apporto di carboidrati complessi, come previsto dal modello alimentare mediterraneo. Studi recenti hanno osservato come gli individui affetti da celiachia tendono per lo più a seguire un’alimentazione eccessivamente ricca di grassi per compensare la riduzione quotidiana dei carboidrati. Questo determina un maggior apporto calorico e di conseguenza di peso corporeo. Senza dimenticare infine, che nelle persone sane, una completa eliminazione del glutine comporta nel tempo un’avversione del glutine per il proprio organismo che non riconoscendo più tale sostanza può scatenare reazioni anche gravi quando lo si riprova a mangiare.

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