“Uscire dall’euro non conviene a nessuno” è il titolo di una lunga intervista concessa prima del vertice europeo di Bruxelles dall’ex amministratore delegato di Unicredit, Alessandro Profumo. Se sfortunatamente l’Italia andasse in bancarotta “succederebbe – dice Profumo rispondendo alla prima domanda – che usciamo dall’euro, la moneta unica crolla e il progetto di integrazione europea subisce una brutale battuta d’arresto, retrocedendo di un paio di generazioni” e ricomincerebbe la competizione tra Paesi “a suon di svalutazioni competitive” con il rilancio dell’inflazione e gravi riperciussioni sulla coesione sociale. Inoltre “la brutale svalutazione successiva all’abbandono della moneta unica – le stime oscillano tra il 40 e il 50% – provocherebbe un forte deprezzamento del patrimonio pubblico e privato, specialmnete immobiliare” con effetti recessivi e gravi danni alle famiglie, alle imprese e allo Stato.
Per scongiurare scenari così nefasti è necessario che l’Italia e l’Europa facciano la loro parte e che il governo Monti dia la priorità, secondo Profumo, alle “riforme strutturali, dalle pensioni al mercato del lavoro” ma senza perdere di vista la lotta all’evasione fiscale e ricorrendo anche a un patrimoniale, “che non può coprire l’intero aggiustamento ma il cui apporto dovrebbe essere più che simbolico”.
Profumo auspica poi che, per contribuire a portare l’euro fuori dalla crisi, la Bce sia “prestatrice di ultima istanza” ma “ciò richiede un salto del processo di integrazione (europea), dalla sfera economica a quella politica”.
Quanto alle banche “la loro responsabilità principale è stata quella di dar vita a gruppi transnazionali che hanno reso obsolete e inadeguate le tradizionali strutture politiche e di controllo, rimaste “tarate” su una dimensione nazionale. E’ difficile dire se questa evoluzione sia stata, nel complesso, un bene o un male: come attore coinvolto in prima persona propendo per la prima ipitesi, perchè l’internazionalizzazione ha aumentato la dimensione dei gruppi bancari e li ha messi in condizione di erogare credito a imprese e governi in un momento difficile. Oggi – aggiunge Profumo – il problema delle banche è la liquidità: i grandi gruppi bancari raccolgono passivi a breve scadenza e impiegano attivi a scadenza più lunga, in tal modo compensando le passività. Ma se, come in questa fase, le passività in scadenza precorrono gli attivi, si crea un ammanco di bilancio che obbloiga l’istituto a ricapitalizzare”. “Dal crack di Lehman Brothers, le autorità di vigilanza si sono concentrate quasi esclusivamente sui requisiiti di capitale delle banche, trascurando lo sfasamento temporale tra attivi e passivi”. Il ridimensionamento è il rischio principale che – a giudizio dell’ex numero uno di Unicredit – corrono in questa fase le banche.
Anteprima di Limes 6/11 “Alla guerra dell’euro”