“Non voglio nemmeno pensare all’effetto domino che l’assenza di un accordo sul debito americano scatenerebbe sui mercati finanziari di tutto il mondo con ripercussioni sul dollaro, sui tassi, sulle Borse e sui titoli di Stato e sono sicuro che, alla fine, una soluzione si troverà. Ma i problemi di fondo restano tutti sul tappeto, ben oltre la scadenza del 2 agosto per il tetto del debito Usa”. Chi parla, dal suo osservatorio di Ancona, è Pietro Alessandrini*, economista di qualità, grande esperto di moneta e credito, un passato alla Banca d’Italia, allievo di Giorgio Fuà e ordinario di Politica economica all’Università Politecnica delle Marche.
FIRSTONLINE – Professore, Usa ed Europa fanno a gara a spaventare i mercati e tra i due continenti non si sa chi stia peggio: c’è un parallelismo tra le due crisi?
ALESSANDRINI – Hanno in comune gravi problemi interni e l’assenza di leadership politica, economica, finanziaria e monetaria in grado di offrire stabilità a livello mondiale. Stiamo attraversando una lunga fase di transizione che vede il declino del sistema monocentrico basato sulla supremazia degli Stati Uniti e del dollaro, come moneta di riferimento. L’euro ha rappresentato un importante fattore di stabilità negli equilibri mondiali, ma non è certamente in grado di sostituirsi al dollaro. Non è ancora la moneta di tutta la UE e la crisi greca ha messo in evidenza tutta la debolezza del processo di integrazione europea. Entrambe le aree sono attanagliate da problemi interni: gli Stati Uniti devono rivedere i problemi redistributivi del proprio modello di sviluppo e la Unione Europea deve affrontare la costruzione di un modello di governance comunitario più solido e credibile. Nello stesso tempo nuovi protagonisti si affacciano alla ribalta internazionale, conquistando quote di mercato e acquisendo crediti. La domanda di stabilità internazionale è superiore alla offerta, che non può gravare sulle spalle degli Stati Uniti, né dell’Europa e non ancora della Cina, la cui moneta non è pienamente convertibile. I segnali sono da tempo chiari: i diversi fattori di leadership si sono redistribuiti tra più aree, pertanto vanno ricomposti con un accordo cooperativo sovranazionale.
FIRSTONLINE – Pensa a una nuova Bretton Woods?
ALESSANDRINI – L’idea non è nuova, risale addirittura agli anni Sessanta all’emergere dei primi segnali di instabilità del sistema dollaro-oro. Un primo passo avanti è stato compiuto relegando l’oro da standard monetario a bene rifugio. Il secondo passo avanti è quello di superare il dollar standard. Questo non significa rinunciare all’uso del dollaro nel sistema dei pagamenti internazionali. Significa riconoscere, in primis da parte del governo americano, la impossibilità di lasciare nelle mani di un solo paese, non più leader indiscusso, i vantaggi e le responsabilità della stabilità monetaria mondiale. E’ questa la novità storica da gestire rispetto alla Bretton Woods del 1944. Le soluzioni tecniche ci sono. Fratianni ed io abbiamo proposto la creazione di una moneta paniere presso il Fondo Monetario Internazionale costituita da depositi in titoli di stato garantiti ed espressi nelle valute più rappresentative dollaro, euro, yen e anche yuan, purché diventi convertibile. L’importante è che si trovi un accordo internazionale che, su basi nuove, dia stabilità alle monete e ai mercati. Non è facile, ma è indispensabile avviarsi in questa direzione. Nel frattempo, ognuno rimetta ordine a casa propria.
FIRSTONLINE – Con l’accordo di giovedì scorso dei Capi di governo e di Stato, l’Europa s’è mossa in questa direzione?
ALESSANDRINI – Sia pure in ritardo e con diverse lacune, l’accordo europeo mi sembra un primo passo in direzione della stabilità senza perdere di vista l’urgenza dell’aggiustamento degli squilibri.
FIRSTONLINE – Qual è l’aspetto più positivo del colpo d’ala dell’Europa?
ALESSANDRINI – L’aspetto positivo è avere imboccato la strada della multilateralità dei rapporti di sostegno tra i paesi membri. Il sostegno bilaterale tra Stato e Stato ha dato luogo a ritardi e incertezze che hanno dato spazio alla speculazione. Il sostegno finanziario è ora indiretto, passa attraverso l’EFSF, il Fondo di stabilità europeo, che agisce da intermediario sovranazionale, con la possibilità di emettere eurobond, garantiti pro-quota dai singoli stati. La quota di garanzia assegnata all’Italia è di 13 miliardi, che correttamente vengono fatti gravare sul nostro debito pubblico. Ma l’Italia guadagna in termini di attenuazione del rischio di contagio sul proprio debito complessivo. Questo vale per l’intera area comunitaria.
FIRSTONLINE – Qual è l’aspetto che la lascia più perplesso?
ALESSANDRINI – Si ha ancora l’impressione di soluzioni improvvisate, decise come salvagente per non cadere nel baratro della crisi definitiva dell’Eurosistema. L’accordo di giovedì è un passo avanti ma a Bruxelles manca un secondo pilastro che affianchi il pilastro monetario: quello dell’unità fiscale. Per invertire la rotta e fare dell’Europa un reale protagonista sulla scena economica internazionale, bisogna assegnare più risorse alla gestione europea, anche attraverso forme di tassazione e la raccolta di finanziamenti sul mercato mediante emissione di eurobond. Non per coprire i debiti dei singoli Stati ma per finanziare investimenti infrastrutturali che facciano da volano allo sviluppo. Se si va in questa direzione ha senso richiamare il Piano Marshall, come è stato recentemente ricordato, anche se la situazione attuale è ben diversa dalle necessità di ricostruzione del secondo dopoguerra.
FIRSTONLINE – Ci sono le condizioni per una svolta del genere?
ALESSANDRINI – Ogni volta che arriviamo sull’orlo del baratro troviamo il colpo d’ala per rialzarci. Bisognerà vedere quale realmente sarà il seguito dell’accordo di giovedì. Certamente, se la crescita in condizioni di stabilità diventerà l’imperativo categorico dell’Europa, bisognerà indirizzare gli strumenti in questa direzione.
FIRSTONLINE – Per esempio?
ALESSANDRINI – Per esempio in presenza di un secondo pilastro fiscale si potrà ampliare gli obiettivi della BCE, che attualmente ha come unica priorità la lotta all’inflazione. Si dovrebbe assegnare pari rilievo anche all’obiettivo della crescita, come avviene per la Fed.
FIRSTONLINE – I mercati però non aspettano riforme in tempi lunghi e sono di nuovo inquieti: si aspettava che, dopo l’accordo europeo di giovedì, le agenzie di rating tornassero all’attacco?
ALESSANDRINI – E’ inutile demonizzare le agenzie di rating, né è pensabile sospendere la loro attività in periodi di crisi. Sarebbe controproducente. Il loro ruolo va però disciplinato obbligandole ad accreditarsi, ad esempio, presso il FMI che valuti le loro credenziali in termini di trasparenza e affidabilità, con possibilità di sospensione o penalizzazione in caso di clamorosi errori, come avvenne nel caso della Lehman Brothers, considerata affidabile ancora alla vigilia del fallimento. Va inoltre limitata l’attività speculativa sui titoli pubblici, vietandone le vendite allo scoperto. Questa soluzione va presa a tutela dei piccoli risparmiatori e della stabilità economica in generale. Anche su questo fronte serve un accordo cooperativo internazionale delle autorità di controllo. Non basterebbe una decisione della Consob, facilmente aggirabile a livello internazionale.