Uno studio di Aaster di Aldo Bonomi, commissionato da Unioncamere, traccia il ritratto dell’istituto della mediazione extragiudiziale, sondando la profondità della sua penetrazione nella cultura del diritto italiano e nella società a un anno dalla sua entrata in vigore. La ricerca di Aaster, consorzio diretto da Aldo Bonomi, si basa su un doppio campione: 50 interviste in profondità rivolte principalmente a responsabili degli organismi di mediazione, incrociate coi risultati di un questionario rivolta a circa 1.200 professionisti, mediatori e non mediatori.
Il quadro che ne emerge è il ritratto in chiaroscuro di un cambiamento, prima ancora culturale che pratico, che tarda ad arrivare, e di uno strumento giovane e ancora inespresso, che potrebbe trasformare la cultura del nostro diritto, ma è ancora ben lontano dal farlo, schiacciato com’è tra l’aggiudicazione formale delle corti e l’ostilità dei professionisti, nonostante il “costante favore dell’autorità politica e del mondo delle Camere di Commercio”.
Sono molti i numeri contenuti nel rapporto di Aaster, intitolato “Il diritto mite – La mediazione e il mondo delle professioni”, e utili a disegnare i contorni del discorso.
I nuovi mediatori sono circa 40mila, equamente suddivisi tra uomini e donne, e la buona parte di loro (58,6%) viene dall’avvocatura. La ragione principale dichiarata per cui hanno scelto di fare i mediatori sarebbe l’idealismo, indicato come motivazione dal 37,5% degli intervistati, mentre la componente finanziaria (oltre il 60% degli intervistati, peraltro, si dichiara insoddisfatto della propria retribuzione) appare poco rilevante nella scelta.
Appaiono molti i problemi che bloccano l’espansione dell’istituto della mediazione, problemi di difficile risoluzione come la debole professionalizzazione del mediatore (solo il 5% la esercita in via esclusiva), la poca fiducia, e la scarsa legittimazione culturale.
Intricatissimo, e centrale, è il rapporto con gli ordini professionali. Un rapporto assai complicato che, come spiega efficacemente Bonomi nel rapporto, paga il prezzo salato della difficile congiuntura in cui si è inserita l’introduzione della mediazione extragiudiziale, in un momento critico nel rapporto tra Stato e Ordini, scesi sul piede di guerra contro la minaccia rappresentata dalle liberalizzazioni.
E rimane, infatti, molto elevata la diffidenza, che in un primo momento aveva raggiunto proporzioni ancora più radicali, degli ordini professionali nei confronti della mediazione, ritenuta da due terzi dei professionisti come un qualcosa che peggiorerà le loro condizioni di lavoro.
E l’ostilità degli ordini, sotto forma di “poca volontà di proporre la mediazione ai clienti”, sembra essere una delle ragioni più forti del mancato boom delle Adr (Alternative dispute risolution), insieme alla scarsa conoscenza dello strumento da parte di imprese e cittadini e di un’arretratezza cuturale degli italiani sul tema.
Tante ragioni, quindi, un mare di spiegazioni diverse per raccontare un’unica storia, quella di uno strumento, la mediazione, che tarda ancora ad affermarsi, e oggi rimane irrisolto, sospeso a mezz’aria, come un’appendice negletta del diritto. La via per diventare qualcosa d’altro (o forse semplicemente qualcosa) c’è, ed è già tracciata, ma è lunga e tortuosa da percorrere.
In allegato il rapporto di Aaster “Il diritto mite – La mediazione e il mondo delle professioni”
Allegati: sintesi rapporto mediazione (def).pdf