Nel 1922, dopo aver studiato presso la Scuola di Belle Arti di Ginevra, Giacometti si recò a Parigi. Frequentò lo studio di Antoine Bourdelle e conobbe il cubismo, che influenzò così le sue prime opere. Appassionato di statue antiche, in particolare di arte egiziana, africana e oceanica al punto tale da rinunciare alla modellazione della figura e utilizzare invece una combinazione di simboli per rappresentare i tratti del viso.
Nel 1929, divenne noto ai surrealisti e divenne il loro compagno per alcuni anni. Da questa periodo rientrano alcune delle sue opere più inquietanti, come le “gabbie” popolate da strane figure o “cose spiacevoli” con un forte connotazione sessuale.
Nel 1935, Giacometti lasciò il movimento di André Breton e si rivolse alla figura umana e al ritratto che rimase al centro delle sue preoccupazioni fino alla sua morte nel 1966. La questione della somiglianza con il modello vivente rimane centrale nei suoi ritratti dipinti e scolpiti. Per risolvere la sua incapacità di rappresentare il modello come lo vede, invoca gli artisti e le civiltà che lo hanno preceduto, e in particolare la statuaria egiziana. Molte delle sue opere iconiche ne portano il segno.
Dopo la seconda guerra mondiale, Giacometti sviluppò il modello di figura che conosciamo. Estremamente allungati e fragili, uomini e donne immobili o sequestrati si evolvono, da soli o in gruppo.
Negli anni ’50 e ’60, il dipinto rivelò anche figure spettrali collocate in uno spazio a metà strada tra la vista dell’officina e il mondo dei sogni, un universo parallelo in cui l’umano si trova il più bene possibile.