I mercati internazionali sono i protagonisti della 83sima edizione di Pitti uomo, inaugurata oggi alla Fortezza da basso di Firenze. E questo sia per le presenze, 1.062 marchi dei quali 392 provenienti dall’estero così come più del 35% dei buyer, sia per gli accordi annunciati in occasione della conferenza stampa.
“C’è una grande domanda in giro per il mondo – ha ricordato Michele Tronconi, presidente di Sistema moda Italia – fuori dall’Europa si torna a consumare”. Poi ha aggiunto: “nei primi nove mesi del 2012 il saldo commerciale del tessile/abbigliamento è risultato attivo per 6,4 miliardi, tanto quanto nei dodici mesi dell’anno precedente”.
Anche Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia Ice, ha sottolineato che “il settore moda dà un contributo enorme alla bilancia commerciale italiana, che quest’anno dovrebbe raggiungere un attivo di 10 miliardi di euro”. Ma il mondo della moda in Italia è caratterizzato da una folta schiera di aziende piccole e medie che sui mercato esteri fanno fatica ad arrivare o non hanno le forze o le competenze necessarie. Tanto più che i Paesi con una crescita più vivace sono gli Stati Uniti (+21,4% l’export di moda maschile italiana nei primi nove mesi dell’anno scorso) o il Giappone (+20,7%) oppure la Cina (+15,9%), cioè Paesi lontani, anche culturalmente, mentre l’export nei 27 Paesi Ue (che comunque rappresenta sempre una quota del 54,1% sul totale) è arretrato l’anno scorso dell’1,5%.
Per dare un sostegno concreto alle tante pmi italiane, il Centro di Firenze per la moda ha firmato ieri un accordo con UniCredit. “Il progetto si chiamerà “Fatto in Italia” e raggrupperà le piccole e medie aziende della moda che possono certificare che il loro prodotto è tutto made in Italy” ha spiegato Stefano Ricci, al suo debutto nella veste di presidente del Centro moda. E ha aggiunto: “Saranno premiate le aziende che assumono e saranno aiutate quelle in grado di andare oltre il mercato domestico, soprattutto facendo squadra”.
Un aiuto che potrà essere molto importante per la filiera produttiva italiana, che spesso si trova in situazione di grave difficoltà. Per Tronconi, infatti, “l’effetto domino in questo momento è uno dei principali problemi della filiere produttiva: si susseguono le aziende che chiudono, o non pagano, mettendo così in crisi anche le altre, che a loro volta si trovano in condizione di non poter pagare”.
Il progetto UniCredit – Pitti (che peraltro va ad affiancarsi a un accordo simile definito tempo fa con Intesa Sanpaolo da Smi, l’associazione che raggruppa tutte le aziende italiane della moda) ha due obiettivi: “Da un lato favorire le aziende che vogliono produrre interamente in Italia, e Pitti aiuterà a scegliere il cliente giusto – ha spiegato Federico Ghizzoni, amministratore delegato di Unicredit – dall’altro aiutare le Pmi a raggiungere i mercati esteri, offrendo un supporto logistico in loco, trovando le controparti, finanziando la partecipazione a fiere commerciali e il trading. Il nostro impegno è totale, crediamo molto in questo progetto”.
Qualche scetticismo si avverte tra gli operatori presenti, ormai convinti che trovare reali sostegni alla propria attività sia sempre più difficile. Sarà la prova dei fatti a dimostrare la validità di questo nuovo progetto.
La necessità di raggiungere i mercati all’estero non poteva che essere sottolineata anche da Riccardo Monti, presidente dell’Agenzia Ice, che ha lanciato un forte invito alle aziende a “scoprire una nuova geografia dei mercati: non più solo i Brics ma Paesi come l’Azerbaigian, oppure quelle megalopoli della Cina (sono almeno 50) dove ancora non c’è un solo negozio italiano. Occorre anche saper bilanciare la valorizzazione della varietà di tradizioni, luoghi e stili italiani con la necessità di fare massa critica sui mercati internazionali. Il nostro obiettivo è portare all’estero ogni anno 20mila aziende italiane; in questo ci aiuterà anche la nuova Export bank che stiamo cercando di creare nei prossimi mesi”.
Ma esportare non basta. O meglio, per esportare di più dobbiamo produrre di più: “Il vero problema è quello dell’offerta di prodotto, non della domanda” sostiene Tronconi. E ricorda che l’attivo della bilancia commerciale dipende soprattutto dal crollo delle importazioni: “a ottobre la produzione italiana era scesa dell’8,8%. Nel nostro Paese produrre è poco incentivato, c’è una marea di norme amministrativo-burocratiche che se non adempi comportano sanzioni amministrative. Con la crisi sono state rispolverate una quantità di leggine, prima dimenticate, e ora applicate senza alcun grano salis, solo per far vedere che la pubblica amministrazione funziona, ma che stanno creando un vero corto circuito nel Paese. La nostra classe politica – conclude – manca di coerenza, mentre dovrebbe cominciare dal cancellare tante norme. Non basta dire questo e quello a parole, e poi agire contro quelle stesse cose che si sono dette”.