La Russia è l’unico Paese dei Brics che è stato colpito dalla crisi europea in modo significativo. La Banca Mondiale ha abbassato le stime di crescita del Pil al 4% nel 2011 e al 3,8% nel 2012. All’interno del dibattito accademico la maggioranza degli economisti russi vedono nel rallentamento globale il segnale della fine del dominio degli Stati Uniti e della loro leadership nel sistema economico mondiale. FIRSTonline ha intervistato Aleksandr Aivazov, un economista indipendente interessato ai Brics e all’espansione commerciale della Russia nell’Asia centrale e in Corea.
FIRSTonline – In Russia è appena stato pubblicato il suo ultimo libro “I Brics come una realizzazione del consensus di Pechino”, che cosa intende esattamente con quest’ultimo termine?
Aivazov – Ritengo che la crisi iniziata nel 2008 abbia segnato il termine del cosiddetto consensus di Washington: ovvero di quel mondo politico economico caratterizzato dall’unipolarità degli Stati Uniti, che hanno imposto al resto del mondo la loro ideologia liberale. Il termine “consensus di Pechino” indica un mondo multipolare in cui convivono varie economie con diverse strategie e dove non ci sarà più un solo leader dominatore ma diversi centri di influenza. E dove i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) giocheranno un ruolo fondamentale. Insomma non più una sola economia liberale ma più Paesi sovrani e diversi sistemi economici, con una prevalenza di politiche keynesiane.
FIRSTonline – Potrebbe definire l’economia cinese keynesiana?
Aivazov – Sì certamente. I principi sono quelli di Keyenes ma con un punto di vista più asiatico.
FIRSTonline – Dunque lei vede una fine ben precisa per questa crisi e uno sviluppo preciso di quello che succederà dopo.
Aivazov – Sì, in un mio paper, pubblicato nel 2008 con il professor Kobyakov, abbiamo elaborato una curva che mostra evidentemente che la lieve ripresa che si era osservata e che molti ritenevano segnasse la fine della crisi, fosse in realtà una boccata d’aria temporanea. Dimostravamo che nel 2012 il mondo sarebbe entrato in un periodo di recessione molto più lungo, che avrebbe distrutto il sistema finanziario basato sul dollaro. Secondo i nostri dati l’economia sta iniziando una fase di recessione che durerà fino al 2016, quando vivrà una lieve espansione, per poi ridiminuire nel 2018 e comincerà a riprendersi solo nel 2020 e da lì ci sarà un altro boom e si entrerà in un nuovo fase: la sesta era tecnologica.
FIRSTonline – E nel frattempo la geopolitica globale cambierà?
Aivazov – Esattamente. Come diceva Braudel: “L’autunno di un ciclo di accumulazione, è la primavera di un altro”. E ora, seguendo la teoria dei cicli di Arrighetti, finirà il periodo americano e inizierà il ciclo asiatico. In realtà questo cambiamento avrebbe potuto aver luogo molto prima, ma gli Stati Uniti hanno fatto di tutto per evitare di perdere lo scettro del potere attraverso lo strumento della speculazione finanziaria. Hanno soffocato il credito giapponese e hanno gettato il Paese nella stagnazione. Hanno fatto lo stesso con le tigri asiatiche. Ma dal nulla, è apparsa la Cina e questo non rientrava nei piani degli Stati Uniti. Ma dal momento che il gigante asiatico rimane chiuso finanziariamente, gli Usa non hanno modo di usare le loro armi speculative contro la Cina.
FIRSTonline – Dunque i Brics rappresenterebbero i centri del nuovo mondo multipolare?
Aivazov – Sì, si formeranno 6 unioni: quella nordamericana, il cui leader sarà il Messico; il Sudamerica invece si appoggerà al Brasile; la zona euro-asiatica alla Russia; l’Asia orientale alla Cina; l’India sarebbe un’unione a se stante; in Africa sarà il Sudafrica a guidare gli altri Paesi verso lo sviluppo; infine bisogna considerare anche i Paesi islamici, le cui sorti sono però ancora da definire.
FIRSTonline – In che modo la Russia farà da leader nell’unione Euroasiatica? Da un lato non fa neanche parte dell’Ue, dall’altra i Paesi dell’Asia centrale sembrano più interessati a legarsi alla Cina che a mantenere i rapporti con il vecchio regime?
Aivazov – L’Europa rimarrà un’entità separata ovviamente, ma la Russia ha molto spazio per crescere: come aveva proposto il Giappone già nel 1994, la Siberia potrebbe essere il nuovo territorio di sviluppo, se si includesse nell’unione eurasiatica anche il Paese nipponico e la Corea del Sud. E’ vero che i Paesi dell’Asia centrale ultimamente stano facendo accordi con la Cina, ma il gigante non può inglobare tutto. Dipenderà molto dalle politiche che la Russia adotterà in futuro.
FIRSTonline – E lei crede che Putin sia l’uomo adatto per portare avanti questo piano?
Aivazov – La maggiore sfida per Putin ora sarà rispondere in modo adeguato alla crisi, ma non riesco a vedere molti esperti nel suo team. Credo che Putin sia ancora troppo legato all’Europa e le sue politiche sono troppo eurocentriche. Se ci legassimo commercialmente anche con il Giappone e la Corea del Sud, aggiungeremmo 250 milioni di consumatori a un mercato di circa 500 milioni: sarebbe un’aerea perfetta per espandersi e formare alleanze.