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Agricoltura: il nuovo censimento Istat evidenzia i grandi cambiamenti che la rendono parte del sistema agro-industriale

Imagoeconomica

Nello scorso giugno del 2022 l’Istat ha iniziato a pubblicare i primi dati del Censimento 2021 dell’Agricoltura annunciando che si tratta dell’ultimo della serie dei censimenti decennali, i quali saranno sostituiti da censimenti permanenti e campionari. Quest’ultimo censimento decennale è di particolare importanza perché mette in evidenza la presenza nel settore primario di significativi cambiamenti in corso negli ultimi dieci anni. Sulla portata di questi cambiamenti si sta discutendo sia con interventi su riviste come la REA, il Mulino, Terra e vita, sia con corposi rapporti di centri di ricerca specialistici come ISMEA e CREA. In tutti questi contributi di analisi i cambiamenti in atto vengono giustamente considerati come momenti di un processo di trasformazione del “settore agricolo” che si sta sempre più caratterizzando come componente basilare del “sistema agroindustriale”. Tutto ciò è ben diverso da quanto avveniva nel corso della seconda metà del secolo scorso quando le pubblicazioni dei dati censuari sono state per lungo tempo oggetto di saggi e di dibattiti tra storici, sociologhi, economisti che consideravano, invece, quei dati come indicatori della lunga trasformazione che interessava l’agricoltura in quanto realtà sociale caratterizzante i processi storici di cambiamento dell’intero Paese. A questo riguardo si può ricordare l’imponente letteratura sviluppatasi sul lungo processo di esodo dalle campagne che, documentato dai dati dei Censimenti, ha prodotto la scomparsa della società rurale sulla spinta della industrializzazione e della prevalenza delle città. Si può ricordare, ancora, la letteratura cui ha dato luogo il tema della riforma agraria attuata nel decennio 1950-60, con la rottura definitiva del latifondo: un evento che ha messo in gioco interessi economici e contrapposizioni politiche e sociali rilevanti dando luogo a un’area di aziende caratterizzate da lavoro contadino e un’altra da lavoro salariato. Oppure, i convegni e i saggi che nel decennio 1990-2000 hanno parlato di “controesodo” e “rivincita delle campagne” mentre si stava realizzando un diffuso processo di urbanizzazione che alzava i consumi, i redditi e il modo di vita delle campagne seppure al costo di una pesante cementificazione del paesaggio. In sostanza, attraverso l’analisi del Censimenti svoltisi dagli anni ’50 alla fine del secolo scorso, discutendo sulle modalità della progressiva scomparsa della società rurale nelle campagne italiane si constatava l’esaurimento della “questione agraria” in quanto dato caratterizzante di un lungo periodo storico del mondo agricolo italiano.

Oggi, come si diceva, le varie pubblicazioni e riflessioni che discutono sui dati degli ultimi Censimenti non rispecchiano più i caratteri di una società rurale in cambiamento. Quest’ultima non esiste più, ne rimangono poche tracce destinate ad estinguersi nei prossimi anni o a rimanere come isole di testimonianza. Anche se bisogna sempre tenere ben presente il peso e il ruolo che l’agricoltura mantiene nel caratterizzare il profilo culturale dei vari territori del Paese, nel definirne i paesaggi, nell’esprimere una esigenza crescente di tutela climatica e ambientale.

La letteratura specialistica attuale, quindi, giustamente riferisce di un’agricoltura che, seppure con differenze interne, sta vivendo un intenso processo di ristrutturazione produttiva che la porta progressivamente a configurarsi come componente fondamentale e insostituibile del “sistema agro-industriale” nazionale. Un “sistema” che ha posizioni di grande rilievo nella bilancia commerciale del Paese e che compete con Francia e Germania per le prime posizioni in Europa. Un “sistema” che ha un peso sul valore aggiunto dell’intera economia pari al 15,2% (se si considera la produzione agricola prodotta e trasformata assieme all’indotto comprensivo delle attività di trasporto, intermediazione e distribuzione resi necessari). Un “sistema” composto da numerose filiere che viene significativamente monitorato con continuità dalla Direzione studi e ricerche di Intesa San Paolo attraverso la continua pubblicazione di resoconti sui processi innovativi e sui risultati di tutte le sue componenti. Un “sistema” al cui interno la componente agricoltura, mentre partecipa per l’11,2% del valore aggiunto totale, sta facendo registrare profondi cambiamenti. Tra questi si vuole qui fare riferimento a due particolarmente significativi, ben evidenziati nell’ultimo Censimento e nelle corrispondenti analisi prodotte. Il primo riguarda la forte diminuzione del numero delle aziende agricole, il corrispettivo aumento delle dimensioni medie e il peso che stanno assumendo le aziende più grandi. Il secondo si riferisce alle caratteristiche di dinamismo che sta assumendo la quota, peraltro ancora ridotta, di aziende gestite da giovani.

Per quanto riguarda il cambiamento relativo al numero delle aziende agricole, si è verificata innanzitutto una loro accentuata scomparsa: esse si sono più che dimezzate (-53%) negli ultimi venti anni passando da 2,4 a 1.1 milioni. La forte riduzione delle aziende, attuatasi a fronte di una modesta diminuzione della superficie agraria utilizzata, ha portato a un raddoppio dell’ampiezza media aziendale (da 5,5 a 11,1ha. tra il 2000 e il 2020), a una forte diminuzione delle piccolissime aziende (-51,2% quelle fino a 0.99ha.) a fronte della crescita di quelle di grandi dimensioni (+13,4% sopra i 50ha). Queste ultime con il 4,5% del numero (solo il 2,8% nel 2010) costituiscono oggi il corpo produttivo centrale del settore rappresentando ben il 47,5% della superficie (nel 2010 il 41,7%). In aggiunta alla crescita delle dimensioni si è prodotto un notevole movimento nell’acquisizione dei terreni che ha portato a una sensibile diminuzione delle aziende gestite esclusivamente in proprietà, contro un forte aumento di quelle costituite di terreni in solo affitto o in proprietà e affitto o in proprietà e uso gratuito. Si sta registrando cioè un’evoluzione verso forme gestionali maggiormente strutturate confermata anche da un aumento significativo della manodopera salariata a fronte di una spiccata diminuzione di quella familiare.

Aziende agricole: cambia la struttura gestionale con un peso crescente dei giovani

All’interno del processo evolutivo relativo all’ampiezza e alle forme gestionali, come si diceva, il Censimento ha evidenziato un secondo aspetto da tenere in considerazione: le caratteristiche che stanno assumendo le aziende gestite da giovani. Queste, da un lato si sono ridotte di numero (-43,8%) soprattutto nel Mezzogiorno, dall’altro sono state oggetto di un significativo processo di modernizzazione. Si tratta di 105 mila aziende che gestiscono quasi 2 milioni di ettari di terra (il 15,3% della Sau totale). Hanno raggiunto un’ampiezza media di 18,3 ha. (rispetto ai 9 ha. delle aziende guidate dai “non giovani”). Ricorrono all’affitto per il 60% della loro superficie. Hanno un livello di istruzione più elevato: il 60% sono gestite da diplomati e il 19% da laureati, mentre tra i conduttori oltre i 40 anni prevalgono i titoli di licenza media e scuola elementare. Presentano una quota di aziende che commercializzano superiore al 71% e sono caratterizzate da una maggior propensione alla cooperazione. Per un quinto del loro numero adottano metodi di coltivazione biologica e sono più informatizzate e disponibili all’innovazione. Per il 12% (rispetto al 5% delle aziende oltre i 40 anni) esercitano una diversificazione delle attività produttive con agriturismo, prima trasformazione dei prodotti, servizi agricoli per le altre aziende, produzione di energia da fonti rinnovabili. Le aziende gestite da giovani sono ancora una realtà circoscritta ma, come le aziende più grandi, attenta alla modernizzazione e, soprattutto, alla pluriattività. Una realtà che presumibilmente nel prossimo futuro potrà trovare ulteriore spazio tenendo conto del livello ancora molto elevato del grado di anzianità: il 57% dei conduttori di aziende agricole ha più di 60 anni e il 23% sono ultrasettantacinquenni.

Agricoltura: prevalgono le aziende medio-grandi ma le disparità tra Centro-Nord e Sud restano forti

Per concludere. Le fotografie lasciate dall’ultimo censimento, e in particolare quelle che abbiamo evidenziato, parlano di un’agricoltura che sta sperimentando un accelerato processo di ristrutturazione. Si va verso la prevalenza di aziende medio grandi (sopra i 20ha.) che con il 12% del numero gestiscono quasi il 70% della superficie agraria. Non mancano i problemi. Non ne abbiamo parlato ma il processo non è territorialmente omogeneo e sono ancora forti le disparità tra Centro-Nord e Mezzogiorno, nel senso che la parte meridionale procede molto più lentamente. La modernizzazione delle tecniche di gestione ha ancora ampi spazi da coprire; si è ancora indietro, ad esempio, rispetto alla situazione di Francia o Germania, ma è indubbio che un processo di avvicinamento si sia avviato. I dati dicono che la strada da percorrere per un pieno ammodernamento non è breve. Se e come si percorrerà dipenderà molto dalle scelte politiche nazionali su tematiche come quelle dell’accompagnamento dell’innovazione tecnologica, del sostegno alla fascia del lavoro giovane, dello sviluppo del Mezzogiorno, dell’attenzione ai flussi migratori, al controllo dei fattori climatici e ambientali, alla tutela della qualità delle produzioni. Quindi, c’è molto ancora da fare, ma intanto l’ultimo dei censimenti decennali ci dice che l’agricoltura italiana, in quanto componente di un “sistema” produttivo molto incidente nell’economia nazionale, non è un settore in crisi, ma una realtà che esprime un gran bisogno di politiche di sostegno al suo processo di ammodernamento.

°°°°L’autore è Presidente del Centro di Ricerche Economiche e Sociali Manlio Rossi Doria dell’Università Roma Tre e Presidente della Fondazione Romaeuropa

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