Erroneamente viene considerato un parente dell’aglio comune, più delicato e meno indigesto, ma non è così. Il povero Aglione della val di Chiana ha dovuto subire nel corso dei secoli non solo l’oblio ma anche la profanazione della sua identità vegetale. Perché quello che da sempre è conosciuto come Aglione, il cui nome scientifico è Allium ampeloprasum var. holmense, considerato un parente più grande, per le sue notevoli dimensioni, dell’aglio comune, è invece una modificazione genetica del porro selvatico, noto come “Porrancio”, e, come il porro, appartiene alla famiglia delle Liliaceae, anche se il suo bulbo è più simile all’aglio, cosa che porta a confonderlo con quest’ultimo.
La sua storia è antica. Un tempo era diffuso in tutto il mediterraneo, era di uso comune per gli Egizi prima e per gli Etruschi e i Romani poi. Tracce di bulbi di Aglione sono state rinvenute nel palazzo di Cnosso a Creta (1400-1700 a.C.). All’epoca, infatti, si riteneva che l’Aglione avesse proprietà dopanti e Ippocrate ne consigliava l’uso per curare disturbi polmonari, come disinfettante o purgante e per rigonfiamenti addominali, e problemi uterini.
Gli Etruschi ne fecero larghissimo uso e veniva coltivato soprattutto nella zona che corrisponde all’attuale Val di Chiana. Ma anche sull’isola del Giglio. Cosa quest’ultima che ha una ragione storica. La bellissima isola toscana, un tempo coperta di macchia mediterranea, a lecci, sughere, erica e corbezzolo, dove pascolavano capre in abbondanza, subì un drammatico saccheggio nel 1544 ad opera del pirata Khayr al-Din detto il Barbarossa, che uccise chiunque si opponeva e deportò, come schiavi, a Costantinopoli, oltre 700 gigliesi.
La signoria dei Medici che governava la Toscana decise l’immediato ripopolamento dell’isola, a fini difensivi e strategici, con famiglie provenienti dalla Val di Chiana, che nel loro spostamento dalle terraferma, fra le loro masserizie sicuramente portarono con loro bulbilli di Aglione.
Incredibilmente, nonostante la storia che si porta dietro, l’Aglione è una specie che è stata poco considerata dai botanici, al punto che si avevano scarse conoscenze fino a qualche anno fa. Poi finalmente nel 2016 è stato avviato un importante progetto di ricerca sulle sue qualità nutraceutiche ed organolettiche finanziato dalla società Qualità e Sviluppo Rurale di Montepulciano e dall’Associazione per la Tutela e la Valorizzazione dell’Aglione della Valdichiana, diretto dal prof. Stefano Biagiotti, docente di Economia e Politiche dell’Ambiente all’Università Telematica Pegaso.
Le analisi condotte dal Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa sui campioni di aglio e Aglione hanno fatto emergere differenze sostanziali dal punto di vista metabolomico e nutraceutico.
Come prima cosa si è avuta conferma che l’Aglione rispetto all’aglio mostra un ridotto contenuto di fibre rispetto ai campioni di aglio e non presenta tracce di allicina, il composto che rende difficile la digestione dell’aglio e che determina la tipica alitosi in chi lo consuma, di qui la maggiore digeribilità di questa eccellenza della Valdichiana Toscana e la ragione per cui, nei mercati veniva soprannominato “aglio del bacio” o “kissingarlic”.
Lo studio ha permesso inoltre di appurare che “ il contenuto di fenoli totali è risultato essere circa il doppio nei campioni di Aglione, lasciando presupporre un sensibile potenziale antiossidante attribuibile a questa classe di metaboliti secondari. Infine, lo screening metabolomico ha messo in luce la presenza di una serie di molecole ad azione antimicrobica, antitumorale e antiinfiammatoria maggiormente rappresentate nei campioni di Aglione”.
Non ci si crederà ma l’Aglione della Val di Chiana stava un po’ cadendo nel dimenticatoio. Coltivato sporadicamente da un pugno di agricoltori per lo più ad uso personale e familiare, se ne era arrivati a produrre non più di 2.000 capi all’anno, era considerata una specie a rischio.
Finalmente in tempi recenti si è corsi ai ripari. La Regione Toscana nel 2016 ha inserito l’Aglione nell’elenco regionale e nazionale dei prodotti agricoli tradizionali (PAT) ovvero prodotti «ottenuti con metodi di lavorazione, conservazione e stagionatura consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato, secondo regole tradizionali, per un periodo non inferiore ai venticinque anni»
Subito dopo a Montepulciano per volontà di 23 produttori e amministrazioni comunali si è costituita l’Associazione per la tutela e la valorizzazione dell’Aglione della Valdichiana. E a seguire è stato avviato il percorso per ottenere il marchio DOP (Denominazione di origine protetta) ritenuta un’azione necessaria per tutelare sia i produttori che i consumatori da possibili contraffazioni, rendendo immediatamente riconoscibile l’Aglione della Valdichiana garantendone provenienza e qualità. Non da ultimo, Slow Food ha inserito l’Aglione fra i suoi presidi. Tutto ciò ha riscosso un successo crescente sia sotto il profilo della redditività per i produttori, sia per la visibilità mediatica, facendo riaccendere l’interesse per questo straordinario prodotto a lungo misconosciuto e gettando le basi per una valorizzazione dell’Aglione della Valdichiana come prodotto ad elevato valore nutraceutico.
Oggi si può dunque, a ragione, considerare un nuovo futuro per questa testimonianza storica di biodiversità che oggi appare definita sotto gli aspetti culturali e scientifici grazie agli studi condotti tre anni fa. “Con questo progetto – dichiarò il prof. Biagiotti al momento della presentazione della ricerca – si è messo un altro tassello del puzzle sulla conoscenza di questo prodotto tipico. I risultati saranno a disposizione dei produttori dell’associazione, perché possano essere utilizzati come leva di promozione ed informazione verso i consumatori che vogliono essere sempre più informati”.
“I risultati fanno ben pensare – aggiunse Lucia Guidi del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-Ambientali dell’Università di Pisa – tali da giustificare la sua coltivazione e la volontà di divulgarne l’utilizzo anche in un contesto più ampio delle attuali aree di coltivazione e di consumo. La ricerca ha messo a punto un modello di analisi che i produttori potranno replicare per le proprie produzioni sito-specifiche”.
Dalla scienza passiamo ora ai fornelli.
In
cucina l’Aglione è impiegato come l’aglio ma per il suo sapore estremamente
delicato e dolciastro è adatto a un maggior numero di preparazioni perché il
suo aroma delicato non copre quello degli altri ingredienti e risulta
perfettamente digeribile anche da coloro che solitamente evitano l’aglio.
Il suo matrimonio storico è con i Pici, piatto umile della tradizione contadina toscana , ma che si è diffuso anche alle regioni confinanti, dall’Umbria al nord del Lazio nel viterbese, fin nelle Marche mutando nome come umbricelli, lombrichelli, ciriole, bigoli, bringoli torcolacci, filarelli, pisciarelli, lilleri, stringoli e stringozzi. La ricetta però resta uguale per tutti: una pasta fatta di farina, acqua e sale dalla forma allungata, che ricorda gli spaghettoni, che si prepara lavorando l’impasto di acqua farina e sale col palmo delle mani che viene reso sottile e allungato con un movimento di sfregamento che viene definito “appiciare”, da cui è derivato il nome della pasta.
Piatto povero si è detto, che nella versione più lussuosa si arricchisce della presenza di un uovo nell’impasto. Povero ma molto antico. Ce ne è traccia in un monumento funerario del V secolo a.C nella celeberrima Tomba dei Leopardi di Tarquinia, che raffigura un banchetto dove compare una pasta lunga, irregolare, che presumibilmente possiamo considerare antesignana dei Pici.
La ricetta dei Pici all’Aglione prevede che si prepari il sugo mettendo in padella spicchi di Aglione, vino bianco e olio. L’Aglione non va assolutamente soffritto, errore da non fare per non togliere la dolcezza del piatto, ma cotto fino a quando non si sfalda in una crema, a quel punto si aggiunge del pomodoro a tocchetti e si mischia fino a raggiungere una salsa della consistenza desiderata.
Qualche tempo fa per assaggiare questo semplice ma gustoso piatto della tradizione contadina toscana bisognava obbligatoriamente recarsi in Val di Chiana perché, come si è visto, la sua coltivazione stava scomparendo.
Ora però le cose stanno cambiando, la tendenza in voga di recupero delle antiche tradizioni, ha fatto sì che l’Aglione ricominci a circolare almeno sulle piazze più importanti e molti chef hanno sposato la filosofia dell’ “aglio del bacio”.
Ecco di seguito quella che viene considerata tradizionalmente la ricetta originale:
Pici all’Aglione per 4 persone
Ingredienti
4-5 Spicchi di Aglione (100-110 gr.)
g. 300/350polpa di pomodoro o pelati, meglio pomodori ben maturi freschi olio
sale
vino bianco
Preparazione
Versare dell’olio (4-5 cucchiai), in una padella capace, schiacciare l’Aglione e e versare mezzo bicchiere di vino bianco (oppure acqua). Coprire e lasciare cuocere a fuoco moderato per circa 15′ facendo attenzione a che il vino non sfumi completamente, nel caso aggiungerne ancora un po’. Con la forchetta fare pressione sopra i pezzi di Aglione come quando si schiacciano le patate, quando si schiacceranno facilmente continuare finché non saranno tutti ben sminuzzati, versare il pomodoro e salare. Continuare a cuocere abbassando la fiamma fino a che non avrà raggiunto la consistenza desiderata. Questa è la ricetta originale, se poi la si vuole personalizzare si possono aggiungere altri aromi come pepe, peperoncino ecc. oppure introdurre il mix e formare una crema. Importante, non soffriggere l’Aglione.