Giovedì 28 novembre il presidente senegalese ha annunciato la chiusura delle basi francesi sul suo territorio; nello stesso giorno, il Ciad ha disdetto gli accordi di difesa con la Francia. Contemporaneamente una numerosa delegazione russa è atterrata a Bamako in Mali, prima tappa di una visita presso l’Alleanza del Sahel (A.E.S.–Alliance des Etat du Sahel) proseguita il 29 ed il 30 novembre con visite in Burkina Faso e Niger, gli altri due stati membri dell’Alleanza.
Se la presenza francese in Senegal era importante, ma limitata ad una base aereonavale di 400 uomini, nel Ciad vi è la principale forza francese in Africa, composta da oltre 1.000 militari stanziati in permanenza e da altri 1.000 della forza appena ritirata dal Niger e da un’importante base aerea e logistica che ne ha fatto per decenni il punto di forza francese per le decine d’interventi militari francesi in Africa.
La delegazione russa, guidata dal vice primo ministro Alexander Novak, è accompagnata dal vice ministro della difesa della Russia Yunus-Bek Yeukurov, il capo dell’Africa Corps e un alto funzionario del ministero della Difesa Andrei Аveryanov ed è stata impegnata, in conclusione di nuovi accordi bilaterali nel campo della lotta contro il terrorismo, per garantire la sicurezza nella regione, in cui i militari russi, veterani della guerra in Ucraina, formeranno gli eserciti dei tre paesi con particolare riferimento all’uso di droni.
La concomitanza degli eventi è sufficiente a far rabbrividire le fila della diplomazia e della difesa francese mentre l’interventismo africano della Russia, imperniato su una diplomazia economica e militare che seduce parte delle élite continentali, attrae partner vecchi e nuovi, strizza l’occhio a giunte golpiste e soppianta la Francia come gendarme di Paesi in fermento. La strategia russa abbina pragmatismo e identità di visioni politiche e come tale è lontana anni luce dai condizionamenti democratici, a geometria variabile, che informano le relazioni occidentali con il resto del mondo. Propone alternative; sfrutta un certo sentimento antifrancese e antioccidentale; lo fomenta con infiltrazioni di “troll” sui media sociali e con molteplici iniziative incentrate sulla sfera informativa.
Gli attuali uomini chiave russi sono il viceministro della Difesa, generale Yunus-Bek Yevkurov, e il generale Andreij Averyanov, che supervisiona l’Africa Corps e che comandava fino a poco tempo fa il 161° centro del Gru, il servizio di azione speciale dell’intelligence militare. I due erano in viaggio nell’area nell’estate 2023, per rinfrescare gli accordi bilaterali con Algeria, Mali, Niger, Burkina Faso, Centrafrica e Libia, la cintura di sicurezza russa in Africa, con una megabase in itinere in Centrafrica e un meccanismo vincente per le varie parti, fatto di protezione in cambio di diritti minerari. La rivoluzione geopolitica avvolge il sud del mondo, ridisegna sfere d’influenza e porta a un declassamento strategico dell’Occidente.
I nuovi stati di riferimento in Africa
Mosca, Pechino, Ankara ed Emirati Arabi Uniti sono nuovi punti di riferimento per i Paesi africani, e in particolare gli Emirati sono diventati i secondi investitori netti in Africa dopo la Cina. A parte Ankara, che ha inoltrato richiesta ai primi di settembre, le altre tre capitali fanno già parte del polo dei Brics, in continua espansione e sempre più aperto ai Paesi africani, ai neo-membri Egitto ed Etiopia, e al Sudafrica dal 2010.
La Russia schiera al sud il meglio del suo nuovo capitalismo economico, non meno predatorio di quello altrui, combinando l’azione dei colossi di stato e dei gruppi privati. Gazprom, Rosneft e Lukoil (società energetiche) sono le punte di lancia, affiancate da Rusal nel settore minerario e Rosatom nel nucleare civile. Quest’ultima, nonostante la perdita del mercato sudafricano, ha progetti di cooperazione non solo con l’Egitto, ma anche con l’Algeria, la Nigeria, il Burkina Faso e lo Zambia. I documenti di politica estera del Cremlino parlano chiaro: marginale nella dottrina del 2016, l’Africa ha acquistato una centralità inedita nel documento del 2023 e le visite ufficiali di Sergeij Lavrov confermano il dato. Il numero uno della diplomazia russa va spesso nel Continente: ai primi di giugno 2024 era in Guinea, Congo Brazaville, Burkina Faso e Ciad. La cosa non sorprende, perché il Cremlino ha relazioni diplomatiche con tutti gli Stati africani e una rete di ambasciate in 49 dei 54 Paesi continentali, il cui voto pesa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Lo si è visto al tempo delle risoluzioni contro la Russia per la guerra in Ucraina: grazie alla tiepidezza africana, il Cremlino si è sentito un po’ meno isolato.
La ruota degli armamenti
Il business russo in Africa ruota intorno agli armamenti. 20 sono le nuove intese militari fra la Federazione Russa e gli Stati africani dal 2015 ad oggi, in crescita rispetto alle sette iniziali; 30% la quota russa del mercato africano delle armi, dove si delinea da tempo una concorrenza multilaterale e un’illegalità diffusa. 18 miliardi di dollari l’ammontare totale nel 2023 dell’interscambio commerciale fra la Russia e l’Africa, con un 400% di crescita (nell’ultimo decennio) degli scambi russi con l’Africa, ma con una quota di mercato più simile al 4-5% olandese che non al 27-28% cinese.
I sogni di grandezza di Putin
Eppure il presidente Vladimir Putin coltiva sogni di grandezza. Pensa ai sovietici che avevano una presenza militare nell’Oceano Indiano, una quinta Squadra per il Mediterraneo e accessi in Guinea e in Angola. Negli anni 70, l’Urss aveva 40mila consiglieri militari all’opera in Africa e godeva di facilità navali in Yemen, in Egitto e in Libia. Oggi il Cremlino ha molto meno da offrire. La sua flotta è ridotta a un decimo di quella sovietica e i suoi mercenari non sempre brillano: hanno subito rovesci cocenti in Mozambico, perdendo affari e contratti, e di recente sono incappati in una nuova sconfitta contro i tuareg maliani, dopo i successi a Kidal.
Nonostante tutto, Mosca ha un’impronta crescente, dal Sudafrica, al Congo, al Madagascar alla Guinea Equatoriale dove ha appena inviato consiglieri militari. Suoi soldati di ventura lavorano in Libia, nella triplice alleanza del Sahel e in Centrafrica. Il Cremlino usa la Cirenaica come piattaforma logistica, snodo dei militari diretti a sud e crocevia delle armi. Ha un’influenza innegabile sui contendenti della guerra civile sudanese. Punta a una base navale, a insediarsi a Port Sudan, e a penetrare nel Mediterraneo, con Tobruk nel mirino, per disegnare una rotta fra la siriana Tartus, Suez, l’Oceano Indiano e il Golfo Persico.