L’Africa non è quella che i suprematisti della razza bianca si ostinano a vedere. E cioè soltanto una terra di migranti e di barconi. E’ anche un gigante che cresce sia pure in modo molto diseguale e che addirittura in alcuni indici di sviluppo, come per esempio nella percentuale di presenza femminile ai livelli dirigenziali delle aziende pubbliche e private, che è del 23 per cento, supera quello italiano e di altri paesi cosiddetti sviluppati. O nella corsa alla scolarità, in forte crescita, tenendo anche conto che nei paesi francofoni si parla anche l’inglese e in quelli anglofoni il francese. E anche l’italiano, sempre più diffuso. Già nel 2011, la Banca Africana per lo Sviluppo (BAD) aveva rilevato che il 34 per cento della popolazione apparteneva al ceto medio. Ad aiutare uno sviluppo che è – sottolineiamo ancora – molto diversificato ogni anno si svolge un evento di straordinaria importanza per il livello dei partecipanti e degli sponsor, l’Africa Ceo Forum. Per la settima volta infatti 1.500 tra capi di stato, ministri, Ceo di importanti multinazionali e di istituti finanziari e bancari mondiali si riuniscono – questa volta dal 25 al 26 marzo, a Kigali, capitale del Rwanda – per questo summit mondiale dove si prendono decisioni, si stilano accordi secondo un programma finanziario che ogni anno stabilisce un’area precisa di priorità. Che – è bene sottolineare – nonostante la frammentazione del continente in tanti stati e staterelli, nonostante la debole crescita e l’immane tragedia della sovrappopolazione qualche risultato lo ha raggiunto.
Arriva il vero mercato comune africano?
Nel 2018 finalmente e proprio a Kigali c’è stata la firma del primo accordo interafricano per la creazione della Zona di libero scambio continentale (ZLEC). Lo hanno sottoscritto 48 paesi su 57 riconosciuti come stati indipendenti anche se le divisioni e le polemiche sono cominciate subito. Il centro della diaspora africana è lo strapotere delle multinazionali non africane e degli stati ancora coloniali e neo-coloniali (Usa, Inghilterra, Francia, Cina) che controllano gran parte dell’economia africana. E che se si aprono dogane e frontiere, potrebbe prevalere sulle aziende africane, ancora strutturalmente e finanziariamente fragili. In realtà, l’accordo ZLEC prevede un controllato e lento processo di liberalizzazione e come fanno osservare esperti africani i veri problemi del continente sono la spaventosa corruzione delle classi dirigenti, la miseria da sovrappopolazione e l’incapacità di controllare le proprie immani ricchezze. Peccato perché uno studio uscito dalla Banca Africana per lo Sviluppo e dalla Commissione economica dell’Onu per l’Africa, stima che l’eliminazione delle barriere doganali tra i paesi africani potrebbe da qui al 2022 un rialzo del 55,3 per cento degli scambi commerciali intrafricani in confronto al livello del 2012.
Le fake news dei 5 stelle sulla moneta francese africana
Le esportazioni industriali del continente, con l’eliminazione delle barriere doganali, potrebbero superare ampiamente il 50 per cento, mentre i salari reali dei lavoratori non qualificati aumenterebbero con uno spostamento della forza lavoro dall’agricoltura a settori non agricoli. Tra i paesi che non hanno per il momento sottoscritto l’accordo c’è la Nigeria poiché il presidente Muhammadu Buhari ha dovuto rinunciare su pressione degli industriali nigeriani, due dei quali sono nella classifica Forbes dei miliardari del continente, uno addirittura è il più ricco con 12 miliardi di dollari. Un esponente dei 5 stelle aveva incautamente dichiarato che sarebbe la Francia l’ostacolo ad una progressiva liberalizzazione delle frontiere perché la Francia si oppone a che i paesi francofoni rinuncino al franco francese africano attualmente usato come moneta comune. Una fake news, l’ennesima dei 4 stelle, poiché paesi africani che hanno firmato l’accordo ZLEC tra i quali vi sono i 14 francofoni, sono controllate al 90 per cento dalle potentissime multinazionali del petrolio, della finanza, delle armi americane, inglesi e olandesi che si impongono con la corruzione dei politici locali, loro emissari, e con le polizie private. Così controllano tutti i paesi africani anglofoni che risultano essere, nella classifica Trasparency i più corrotti, i peggio governati e i più miseri. Non solo, ma l’esponente del 5 stelle non avendo informazioni di prima mano, non sa che non pochi governanti dei paesi che hanno adottato il franco francese africano, ad una richiesta della Francia di sciogliere questo link, hanno risposto di non avere nessuna intenzione di farlo.
L’Africa cresce con le tecnologie
Nel giro di pochi anni molti paesi africani hanno avuto performance decisamente elevate poiché secondo uno studio di Pwh 5 dei 10 paesi al mondo che negli ultimi 10 anni sono maggiormente cresciuti sono africani, innanzitutto il Rwanda, poi la Nigeria, il Mozambico, l’Angola e il Tchad. Nel 2018 i maggiori aumenti del Pil sono stati messi a segno secondo la Banca Mondiale-Quartz, dal Ghana con un +8,3 per cento, dal’Etiopia con l’8,2, dalla Costa d’Avorio con il 7,2, da Djibuti con 7, dal Senegal con 6,9 e dalla Tanzania con il 6,8 per cento. La diffusione di Internet mobile tra il 2016 e il 2020 arriverà dall’attuale 26 per cento al 38 per cento mentre la copertura delle reti della telefonia mobile del territorio africano abitato è già dell’ 80 per cento. Gli smartphone sono attualmente 350 milioni e raddoppieranno entro il 2020, con molti apparecchi di tecnologia e produzione africana. Il cellulare è oggi lo strumento di pagamento usato dalla stragrande maggioranza della popolazione perché le agenzie bancarie sono molto poco diffuse. I parametri di una contraddittoria crescita e cioè molta tecnologia e molta povertà sono al centro delle giornate del Forum, con un problema che sta diventando decisamente pesante per alcuni paesi: debiti colossali contratti con il vero protagonista della crescita contraddittoria africana: la Cina. Una presenza capillare e assai costosa.
Il blog di Paola Guidi.