Nel post “Perché risparmiare e soprattutto come investire in tempi di crisi?” abbiamo parlato dei mattoni fondamentali per costituire il risparmio in modo saggio. Scendiamo un po’ nel dettaglio e affrontiamo il problematico tema della pensione. Già, perché nel futuro di molti odierni quarantenni c’è una pensione a 70 anni o quasi, con assegni in media molto più magri degli ultimi redditi dichiarati. Va anche peggio se consideriamo i trentenni e i ventenni.
Vale la pena ribadire quanto sia importante un buon reddito pensionistico:
. a livello di singolo individuo, serve a mantenere un il proprio tenore di vita quando non si è più in età da lavoro, garantendo al contempo un margine di sicurezza per gli imprevisti (che, a pensarci bene, da anziani diventano una certezza);
. a livello pubblico, evita che una moltitudine di anziani gravino sul resto della società.
Gli strumenti a disposizione del risparmiatore per “farsi la pensione” sono essenzialmente due: la previdenza obbligatoria e la previdenza integrativa. Vediamo di che si tratta.
1) Pensione obbligatoria INPS d’anzianità lavorativa o vecchiaia
Per tutta la vita lavorativa, una parte della retribuzione è costituita dai c.d. “contributi previdenziali”, che vengono versati all’INPS e servono per pagare le pensioni di chi ha già cessato di lavorare.
Al termine dell’attività lavorativa, chi ha versato regolarmente i contributi previdenziali e ha maturato i requisiti riceve la pensione obbligatoria dall’INPS. Questo è ciò che viene spesso chiamato il “primo pilastro” pensionistico.
Il fatto che in Italia oggi ci siano relativamente pochi giovani (che versano contributi) e tanti anziani (che ricevono reddito pensionistico) fa sì che la pensione pagata dall’INPS sia sempre più scarna. Come se ciò non bastasse, andrà sempre peggio: l’invecchiamento progressivo della popolazione italiana implica che questo sistema non abbia più i presupposti demografici per funzionare bene.
2) Pensione integrativa (o complementare)
Per evitare una drastica riduzione del reddito una volta raggiunta l’età della pensione, la pensione obbligatoria non basta, occorre guardare alle forme di pensione integrativa. Vediamo quali sono, analizzandone le principali caratteristiche.
2.1 Fondi pensione “chiusi” di categoria o aziendali
Costituiscono il c.d. “secondo pilastro” della previdenza e sono anche noti come “fondi negoziali” in quanto sono frutto di accordi tra le organizzazioni sindacali e quelle imprenditoriali di settori, aziende o categorie specifiche. Ad esempio, il fondo pensione Cometa è destinato ai lavoratori del settore metalmeccanico, mentre Fondoposte è per i dipendenti di Poste Italiane.
Sono prodotti finanziari in cui sia il datore di lavoro che il lavoratore versano mensilmente dei contributi. I dipendenti possono destinarvi il TFR (Trattamento di Fine Rapporto) e la contribuzione è favorita da agevolazioni fiscali. I soldi accumulati nei fondi vengono gestiti da società specializzate che li impiegano sui mercati finanziari con diverse linee d’investimento, chiamate “comparti”, più o meno rischiose (es. azionarie, obbligazionarie o garantite). È il lavoratore a scegliere in quale comparto investire: una scelta cruciale (e pertanto rivedibile) per determinare il proprio reddito da anziani – sul tema tornerò con un post specifico, credo ne valga la pena.
Il capitale matura nel tempo grazie ai versamenti regolari e ai rendimenti sugli stessi ottenuti dai gestori (dedotti i costi). Sia chiaro: a priori, non è noto quanto sarà il capitale finale, detto anche “montante”.
Al momento della pensione, il lavoratore ha due possibilità: convertire il montante in una pensione (ad integrazione di quella erogata dall’INPS) oppure riscattare non più del 50% del capitale maturato e convertire in rendita (cioè pensione mensile) il resto.
Il capitale accumulato nei fondi può essere riscattato anche prima dell’età della pensione per ragioni straordinarie per una quota tra il 75% e il 100%: ad esempio in caso di disoccupazione o per gravi motivi di salute. Inoltre, dopo almeno 8 anni di versamenti, per qualsiasi ragione il lavoratore può ritirare fino al 30% dei capitale maturato.
Pro
. Fiscalmente conveniente
. Passando dal TFR al fondo pensione di categoria si incassa ogni anno il “premio” versato dal datore di lavoro: oggi pari a circa l’1,5% della retribuzione
. Gestione professionale
. Costi estremamente contenuti
Contro
. Limitazione alla totale disponibilità del capitale durante la fase di accumulo dei contributi e al momento del pensionamento
2.2 Fondi pensione aperti e PIP (Piano Individuale Pensionistico)
Si rivolgono a tutti i lavoratori, siano essi dipendenti o autonomi, di qualsiasi categoria o regione (in pratica si rivolgono a chi non ha disposizione un fondo pensione chiuso) e costituiscono il c.d. “terzo pilastro“. Si dividono in fondi pensione aperti, distribuiti da banche e società finanziarie e PIP, venduti da compagnie di assicurazione.
Funzionano in modo molto simile ai fondi pensione chiusi, in quanto i contributi raccolti e destinati ad un comparto scelto dal risparmiatore vengono investiti sui mercati finanziari dai gestori con l’obiettivo di generare un montante, da convertire poi in rendita al momento del pensionamento. Anche in questo caso è possibile avere il riscatto del capitale in anticipo.
Il contributo del datore di lavoro non è automatico, come per i fondi pensione chiusi, anche se i datori di lavoro possono decidere di contribuire al fondo pensione, traendone benefici fiscali.
Pro
. Fiscalmente conveniente
. Gestione professionale
. I versamenti si possono variare o interrompere e il capitale può essere trasferito ad altra forma di previdenza complementare
Contro
. Costi più elevati (in media oltre il doppio dei fondi pensione “chiusi”)
. Il contributo del datore di lavoro non è automatico
. Limitazione alla totale disponibilità del capitale durante la fase di accumulo dei contributi e al momento del pensionamento
2.3 Piani di risparmio personale
Si tratta di creare volontariamente un portafoglio d’investimento personale con l’obiettivo d’accantonare regolarmente, ad esempio mensilmente, una cifra al fine di costruire un capitale da utilizzare per quando si andrà in pensione. È una soluzione che, in vista della vecchiaia, può essere attuata con diversi prodotti finanziari come obbligazioni, ETF, fondi comuni d’investimento, azioni, i quali possono essere sottoscritti anche attraverso dei Piani d’Accumulo (PAC). Trattandosi di portafogli creati in modo del tutto autonomo non sono soggetti ad alcuna regolamentazione particolare.
Un esempio di portafogli di questo tipo, creati appositamente da Advise Only, sono Obiettivo Pensione e Obiettivo Pensione PAC, entrambi liberamente consultabili sul sito (e di cui abbiamo spiegato le caratteristiche anche sul blog).
Sempre all’interno del sito Advise Only troverete un portafoglio, Obiettivo Rendita (anche di questo portafoglio troverete una presentazione sul blog), creato per chi è già in pensione e deve convertire il proprio capitale in una rendita, cioè un reddito integrativo.
Pro
. Costi di gestione contenuti (selezionando opportunamente gli strumenti finanziari)
. Liquidità: massima libertà alla disponibilità del capitale durante la fase di accumulo dei contributi e al momento del pensionamento
Contro
. La gestione è lasciata all’iniziativa e del risparmiatore
. Nessuna agevolazione fiscale particolare
Attenzione ai costi: sono l’unica componente certa di qualunque investimento e, su un investimento come quello previdenziale, che può interessare un periodo lungo, incidono pesantemente. Per esempio, una differenza dell’1% nei costi di gestione per un lavoratore che decide di investire nella previdenza integrativa 2mila euro l’anno per 35 anni con un tasso lordo di rendimento annuo del 4%, impatterebbe negativamente per oltre 26mila euro sul montante finale dell’investimento. In pratica, in questo esempio, 1% di costi si mangia, nell’arco di vita dell’investimento, circa il 18% del capitale destinato alla pensione!