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Addio Lucio: l’improvvisa scomparsa di Dalla, uno dei padri della musica italiana

La notizia è semplice e improvvisa, a dirla tutta un po’ raggelante: Lucio Dalla è morto, stroncato da un infarto, a pochi giorni dal suo sessantanovesimo compleanno. È morto a Montreux, un pezzo anomalo di Svizzera verde cantato persino dai Deep Purple e affacciato sul lago di Ginevra, uno strano cimitero degli elefanti (anche Rilke e Nabokov sono morti qui) che ospita 25 mila anime, svariati festival musicali e una statua di Freddy Mercury nella piazza principale.

Per uno che cantava di voler morire in piazza Grande, in mezzo ai gatti senza padrone, forse non era proprio quello che aveva immaginato, ma non sempre si può scegliere.

Questa è la notizia. Poi viene tutto il resto, ed è difficile non essere retorici, perchè la tristezza diventa contagio quando viene a mancare una persona che ne ha emozionate così tante, quando muore uno dei padri fondatori della (decadente) patria della canzone d’autore. Un padre forse un po’ sterile, senza figli se non sbilenchi, a metà, perchè troppo raro, troppo unico e inimitabile, come dicono certi slogan.

Ti metti a pensare all’ultima volta che l’hai visto, su quel palco a Sanremo, mentre dirigeva l’orchestra intabarrato in un abito blu notte che lo faceva sembrare un bambino invecchiato, uno che ha preso in prestito dai genitori un vestito non suo e ora ci sguazza dentro imbarazzato. Era lì per accompagnare Carone, forse un altro figlio mancato, generato di sbieco, nell’esecuzione di Nanì, che, a dirla tutta, non era neanche una bella canzone, e in un modo malinconico ricordava “Disperato erotico stomp”. Nel ritornello cantava anche Dalla, con la voce nera un po’ schiarita, ma sempre ragazzina, in qualche modo senza età.

A pensarci, quello che ti ferisce è che non lo sapevi che era l’ultima volta.

Poi viene tutto il resto, la celebrazione e i social network invasi di lutto e link, le sue immagini a ciclo continuo nelle televisioni nazionali, la solita corsa al cordoglio. Giusta o sbagliata che sia, di fronte a Lucio Dalla, ogni celebrazione diventa superflua, ogni idea di perpetuazione della memoria pleonastica. Semplicente non serve, non ce n’è bisogno.

“Non morirò del tutto”, diceva Orazio. Dalla è morto per se stesso, per le persone che aveva accanto e che lo avevano amato, ma il suo corpo artistico è al sicuro, immortale, perchè è una parte bella della nostra cultura popolare. Un innamorato guarderà ancora la sua donna immaginando una bimba bella come una star che sia la sua miniatura, qualcuno scriverà ancora un messaggio ad un amico lontano pensando di scriverlo più forte, per annullare la distanza, e un gruppo di amici canterà ancora un disperato erotico stomp, urlando fuori tempo di puttane ottimiste e di sinistra. Useremo ancora le sue parole per dare un nome ai nostri pensieri.

Oggi i fortunati tireranno fuori un vinile, o una vecchia musicassetta mezza bruciata che non ascoltavano più da anni, gli altri ricorreranno ad un mp3 o a un video su Youtube, metteranno le cuffie oppure alzeranno il volume, e la sua voce sarà ancora lì, la stessa di sempre.

Spenga la luce e così sia. Gli sia lieve la terra, per il resto.

 

 

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